Vi avevo fatto cenno in questi giorni. Una giovane e assai brillante blogger, che si firma Malitia e gestisce Dusty Pages in Wonderland, si è iscritta a Ask.fm per esperimento. Le ho chiesto di raccontarlo a Lipperatura, ed ecco le sue riflessioni.
Tutti hanno un motivo per odiarti: su Ask, sull’odio e sulla gestione dei social network.
di Malitia Wonderland
La relazione del singolo con la società – o del singolo con l’alterità – è la prova più difficile che l’individuo si pone quotidianamente. I rapporti interpersonali costituiscono una rete fitta, effimera, una partita a scacchi in cui “l’altro” è un avversario da sondare. Relazionarsi quindi con qualcuno all’inizio della conoscenza comporta uno studio, talvolta inconsapevole, della psiche e della sensibilità altrui: parliamo cautamente e, se esprimiamo giudizi, cerchiamo di individuare i sentimenti dell’altro per non offenderlo.
Il rapporto con l’alterità, dicevo, è una sfida che inizia all’asilo, continua a scuola – lo scontro con i compagni e l’autorità – sfocia nel mondo del lavoro. Nel frattempo abbiamo imparato a mostrare o a nascondere alcuni lati di noi – quelli spiacevoli, quelli fragili – e a farne emergere altri, o addirittura inventarli. I social network rielaborano quelle che sono le tattiche di relazione, sono campi aperti dove esibirsi e mostrare la propria personalità – vera o fittizia che sia – e dove, protetti dallo schermo e dal contatto assente con l’oggetto dell’interazione, è facile lasciarsi andare ai più disparati commenti. Il riserbo e l’inibizione a cui siamo soggetti davanti a una persona reale spesso sparisce. Così, se i più imprudenti e ingenui usano facebook come un diario, quasi sfogare la propria emotività in una piazza pubblica non avesse ripercussioni nei pensieri e nelle azioni di chi legge – e chi legge ride, giudica, trae le proprie considerazioni – c’è chi invece utilizza il proprio profilo come un perfetto alter ego. Se si è un personaggio noto o microfamoso diventa quasi d’obbligo: le parole verranno lette, interpretate e male interpretate. Sono un’arma a doppio taglio, l’esempio perfetto di come, ad ogni azione, ne corrisponda una uguale e contraria.
Gioco molto con le parole e le reazioni degli altri.
La provocazione è la via più semplice per ottenere feedback e per testare il metro della propria visibilità o della sensibilità del “pubblico” del social network. Pensate che basta un commento caustico su un libro, riportato su un gruppo Facebook, per spingere una persona con cui non hai mai nemmeno parlato a bloccarti. La sincerità brutale raramente viene apprezzata e, se non porta a uno scontro immediato, un flame, suscita reazioni come blocco e cancellazione del “nemico”. In questo caso, si deve ponderare anche il tipo di amici presenti nella propria cerchia. Un post perfido o insinuante potrebbe risultare popolare quanto impopolare (il numero di “mi piace” è proporzionale al successo dell’esperimento e serve a valutare con che tipo di persone abbiamo a che fare), uno stato in cui molti si identificano avrà un numero altissimo di approvazioni, ma sono soprattutto quelli che condividono informazioni e pezzi di vita personali a suscitare il maggiore successo. L’annuncio di aver preso trenta all’esame universitario avrà più like di quello in cui dico che un dato libro è da buttare – se invece dico che il libro è meraviglioso, i “mi piace” aumenteranno esponenzialmente, ma non arriveranno mai al numero dello stato sul trenta.
Sull’onda dei miei soliti esperimenti, ho quindi deciso di iscrivermi per un breve periodo sul noto social Ask.fm, conscia di quello che avrebbe comportato: esporre alla massa anonima un individuo che pecca di consapevole arroganza, pronto a non tirarsi indietro davanti alle considerazioni sulla pessima offerta di una certa editoria attuale, che per di più è un blogger e quindi esprime giudizi piuttosto fermi, severi e sentenziosi su libri di cui è oggettiva la scarsa qualità ma che risultano tuttavia molto amati, significava mettersi alla gogna.
Ma c’è una verità imprescindibile che ognuno dovrebbe tenere a mente in qualsiasi momento: tutti hanno un motivo per odiarti, qualsiasi sia il tuo carattere e il tuo modo di porti. Anche la più stucchevole, disponibile, dolce e sensibile persona del mondo ha un hater. E su questo tornerò più avanti, quando valuterò le conseguenze di uno strumento come Ask nelle fasi adolescenziali.
In cosa Ask è diverso da Facebook? Nell’anonimato, naturalmente.
Se su Facebook, nonostante la virtualità, siamo tutti individuati da un nome, un cognome, una reputazione, Ask è il lasciapassare per sfogare la propria frustrazione senza che nessuno venga a saperlo. L’iscrizione da parte mia ha subito comportato un collasso di domande, finalizzate a offendere dal punto di vista personale: ho lasciato trasparire su Facebook, senza nessuna vergogna, che ai tempi dell’esordio di Twilight – si parla del 2006, quando anche io, all’età di circa quindici anni, avevo scoperto l’urban fantasy – ne ero stata grande fan, tanto da scrivere fan fiction (in realtà non ho mai scritto fan fiction su Twilight, essendo le mie erano tutte originali, e l’esperienza come fan è stata una delle più utili della mia vita nel capire che la scrittura non era fatta per me, e nel comprendere anche quali siano i meccanismi che agiscono in una testa fertile e ingenua di adolescente nel momento in cui si imbatte in un prodotto come quello della Meyer).
La domanda che giunge immediatamente è:
Quanto ti senti patetica all’idea di fingere di odiare i romanzi mainstream quando in realtà scrivevi ficcine simil-twilight?
E, subito dopo,
Mi hai beccato! Perciò, se sai chi sono, sai anche che secondo me scrivi pessimamente? Giusto per onorare il tuo amore per gli avvebi che finiscono in ‘ente’ :’)
Come immaginavo, la prima reazione dell’anonimo – che non è affatto anonimo, visto che grazie all’errore grossolano sugli avverbi in “ente” (quelli che alle scuole medie ti dicono chiamarsi avverbi in “mente”) è stato smascherato poco tempo dopo su Facebook, mentre lamentava le stesse lacune su un altro libro e reiterava l’errore – mira a smontare le mie continue critiche sui romanzi dal gusto discutibile. Ma gli anonimi non si fermano, facendo sgorgare offese, accuse, insinuazioni non corrispondenti al vero, cercando di smontare la fiducia in chi mi circonda e che ho le prove non può essersi comportata in quel modo (“Io ho il link delle tue ficcine, dato che la tue care amiche lo spacciano in privato alla gente ridentoti dietro e dandoti della sfigata”).
L’anonimo, insomma, attua delle strategie minatorie: in mancanza di argomenti – l’anonimo raramente ha argomenti, ti odia per partito preso – si aggrappa a particolari insignificanti, cercando di bruciarti la terra attorno. L’anonimo cerca anche di farti esprimere giudizi su altri, cerca la zizzania, lo scandalo dietro cui barricarsi per ridacchiare e godere dello spettacolo: anche non riuscendoci, instilla negli altri il sospetto che sia stato tu a porti da solo la domanda pur di fare polemica su una data persona.
L’anonimo è anche sensibile alle provocazioni: è facile portarlo al limite, farlo scoppiare, indurlo a dare il peggio di sé. D’altronde non ha inibizioni, stuzzicarlo significa dargli il destro per vomitare un risentimento spesso del tutto immotivato. Posso anche andare sulla bacheca di una persona in cui si sta svolgendo il flame e indurlo a venire da me con un commento:
Epic fail malitia. Andare sull’ask di Leo per attirare i suoi Haters su di te perché ti annoi? Ma torna sul tuo blog a parlare del ruolo della letteratura, va. Ruolo della letteratura nel 2013, ahahahah.
Stai andando di merda, ma sempre meglio rispetto al blog, di merda
Gli anonimi-hater sono quindi piuttosto manipolabili: la conversazione può essere spostata nelle zone che si preferiscono, e farle arrivare a un punto di non ritorno. Si verificano persino situazioni paradossali in cui gli hater si confondono tra di loro e non si attribuiscono le responsabilità di quello che ha detto un altro.
I miei hater colpiscono ovviamente l’area intellettuale, quella che espongo con il blog: tendono a sminuirla o a offenderla. Mi piacerebbe sapere se questa attività rilascia delle endorfine nel cervello che procurano piacere, e sono quasi sicura che sia così: l’hater gode nel pestare il nemico. Probabilmente, se volessimo tracciare un profilo psicologico, si tratta anche di individui vili, ipocriti e fondamentalmente insicuri, che non avrebbero il coraggio di dire una parola oltre lo schermo.
Non conoscono i miei difetti fisici, perché il mio volto rimane anonimo, ma sarebbe curioso sapere se e quanto si esporrebbero da quel punto di vista – intanto ho raccolto stranissime dichiarazioni d’amore rivolte al mio ragazzo, che mi fanno pensare a un troll. Ma se i troll fossero tutti così, ne sarei contenta.
Per quanto riguarda la mia persona, l’immagine della blogger suscita questo tipo di reazioni. Parlo proprio di immagine perché, come accennavo all’inizio, i rapporti interpersonali, soprattutto sui social network, sono complicati e ti costringono a misurare ogni parola, che poi potrà essere utilizzata contro di te – in special modo su Ask.
Il gioco dell’immagine e della maschera sociale sui social network è così complesso da essere talvolta poco gestibile. Come dicevo, c’è una sorta di imprudenza e di ingenuità in cui lo usa come un diario. Gli adolescenti fanno di più: non usano soltanto Facebook come un diario, ma addirittura You Tube. Moltissimi non hanno capito che c’è l’esigenza pregnante di non esporsi più del dovuto: non parlo soltanto di foto, ma anche di stati dove emerge tutta la loro sofferenza. Gli adolescenti sfogano, piangono, si arrabbiano su Facebook e You Tube, diventano vittime della crudeltà di hater che, insultandoli, si sentono meglio con loro stessi. La violenza verbale si riversa anche su Ask. Non è certo Ask l’unico colpevole, quanto l’assenza di regolamentazioni su Internet e di un’educazione responsabile – sia da chi subisce l’hater che da chi lo è. Non attribuisco ovviamente nessuna colpa alle vittime: mi chiedo soltanto come possa saltare in mente a un ragazzo di piangere e urlare davanti a una videocamera perché l’ex ragazzina lo ha lasciato e ora parla male di lui. Convergono diversi fattori: la solitudine, l’incapacità di comunicare, la disperazione davanti a una situazione che appare tragica. Eppure, in queste circostanze, spiegare ai più giovani che utilizzare i social network significa gestire tra le mani il proprio rapporto con gli altri – cosa che forse alcuni totalmente ignorano – aiuterebbe a non farli diventare prede non solo di coetanei senza scrupoli, ma anche di estranei.
Il bullismo va oltre, non c’è bisogno di dirlo: mi sto limitando a parlare di quello di tipo virtuale, che nasce al di là della stretta compagnia scolastica. Quest’ultimo è il caso di Ask, in cui difficilmente si intromettono estranei e che è indirizzato a far sfogare chi ti conosce da vicino. Le conseguenze di un simile strumento nelle mani di una persona cattiva o talmente insicura da provare odio sono inqualificabili: se la psiche di chi maneggia questi social è debole o particolarmente sensibile, Ask è la freccetta acuminata del tiro al bersaglio. Se certe volte persino io, che ho le spalle ben coperte e mi sono iscritta consapevole delle conseguenze, ho provato fastidio per certe domande e, per una frazione di secondo, mi sono chiesta se avessero ragione, posso soltanto immaginare quanto sia devastante per un ragazzino l’attacco simultaneo di numerosi anonimi che ti fanno sentire una nullità: non sai che c’è sempre qualcuno che ha un motivo per odiarti, al di là di qualsiasi cosa tu faccia.
Il mio esperimento mirava a individuare la misura e la qualità degli hater che attraggo. In particolar modo, volevo capire su quali aspetti sono facilmente attaccabile e a che punto gli anonimi potessero arrivare – contrariamente alle mie aspettative, ho attratto più riferimenti alla mia vita personale che a quella di blogger.
Ciò che ne ho evinto è stato un profilo generale della figura dell’hater, forse non abbastanza approfondito come avrei voluto. E tuttavia, un mese di permanenza sul social network preferito dagli adolescenti è bastato a farmi scappare a gambe levate. Perché, dopo le risate e l’autoironia scaturite da commenti illogici e senza fondamento a cui tra l’altro ero ben pronta, la massa degli anonimi su Ask comincia a inquietare: hai l’impressione che quella della gogna non sia affatto una metafora e che, nonostante tu sia conosciuta solo per un nickname, la folla sarebbe pronta a sbranarti e rosicchiare le ossa – una figura enorme, indistinta e oscura che aspetta una mossa falsa alle tue spalle.
Una sperimentazione interessante ma molto pericolosa anche se consapevole dei rischi. Complimenti comunque per la relazione,il coraggio,l’audacia,l’onestà,la luciditò con la quale Malitia ha aputo gestire il tutto. M’hanno colpito alcune voci. “Tutti hanno un motivo per odiarti” “endorfine che nel cervello producono piacere” . Credo anch’io sia così anche se ho solo fatto esperienza di un blog,anche se inizialmente ciò che mi animava era solo il divertimento,la curiosità,la “ingenuità” che mi faceva pensare a scambi onesti perchè interessati a quello che mettevi. Ora che sono consapevole e assolutamente NON più ingenua uso il mio strumento di casa virtuale con più cautela,distaccata anche su chi commenta a meno che non ne conosca con certezza il link o la persona che scrive anche se non ha blog o… Concordo infine col dire che l’assenza di regolamentazione è si fonte di pericolo e rischio (soprattutto per chi ha una certa fragilità emotiva,aggiungo inoltre l’incoraggiamento a SCAPPARE veramente da ogni odore di poco pulito. Potrebbe essere zolfo abilmente mescolato ad essenza di ambra grigia. Bianca 2007
@ Bianca 2007
scusa, non voglio essere polemico, però mi stupisce un bel po’ la tua reazione all’analisi di Malitia. Nel senso: ne lodi l’audacia e il coraggio in relazione alla pericolosità di ciò che ha fatto. A me questo sembra il punto centrale, non le caratteristiche di Ask.me, che non dicono nulla di più di quanto già sapevamo in merito all’odio gratuito. Stiamo parlando di un social, non del Vietnam, quindi che rischi vuoi che ci siano a starci? Le uniche persone che ne possono soffrire sono gli adolescenti, che soffrono a prescindere. Ma che una persona passata l’adolescenza soffra per i commenti sul suo profilo è un problema di quella persona, perché non sta né in cielo né in terra che uno soffra per commenti da anonimi su anonimi. è allucinazione e paranoia collettiva. il problema è passare la vita sul social, non gli anonimi hater o ask o facebook. Già il chiamarli hater è un modo paranoico di guardare le cose, compreso il finale del pezzo cupo manco fosse stephen king. e poi parlare di profilo psicologico… spieghiamo ai ragazzi quello che può succedere, ma a un certo punto uno le difese se le deve fare da solo o con l’aiuto di qualcuno, ma si deve saper difendere, non è che per ogni problema cerchiamo una legge o una regola.
@Boris in realtà la massa degli anonimi si profila esattamente come quella che ho descritto: prendere atto che ci sono persone, alle tue spalle, disposte a dire e a pensare cose tremende, ti mette in qualche modo a disagio. Ripeto, un momento di disagio l’ho vissuto persino io, nonostante mi sia divertita a spingere gli anonimi fino all’inverosimile, anziché ignorarli – come avrei dovuto fare, se il mio non fosse stato un esperimento. Mi sono messa per un attimo nei panni di un adolescente, e ho capito che doveva essere terribile. Ma ho anche scritto che non si tratta soltanto di regolamentazioni (che su internet comunque dovrebbe esserci), quanto, cito, ” spiegare ai più giovani che utilizzare i social network significa gestire tra le mani il proprio rapporto con gli altri – cosa che forse alcuni totalmente ignorano – aiuterebbe a non farli diventare prede non solo di coetanei senza scrupoli, ma anche di estranei.” Se sei una persona particolarmente sensibile, mettersi su Ask consapevole dei commenti cattivi che attrarrai, è un “rischio”. Non lo è stato per me, ma lo è di sicuro per un adolescente privo di corazza.
Ai giovanissimi si deve innanzitutto far comprendere che, appunto, c’è sempre qualcuno disposto ad odiarti. E soprattutto si deve far comprendere la portata di un fenomeno come il social network, dove non PUOI e non DEVI esporti, come e peggio che nella vita reale. E’ un errore che fanno anche gli adulti – sperando che almeno loro sappiano difendersi -, ma che nelle personalità più fragili può addirittura essere fatale, e numerosi casi di cronaca ce lo confermano. Non credo sia allucinazione definire hater una persona che in maniera compulsiva commenta il profilo ask con frasi cattive, parlando di te anche nei profili degli altri pur di offendere. La mia ovviamente era solo l’ipotesi di quello che può essere il profilo di chi sta oltre lo schermo e fa le domande su Ask. Non è scienza, per carità, e nemmeno verità. Siccome mi faccio delle domande, cerco di darmi anche delle risposte.
gentile Boris,se Lei legge attentamente ciò che ho scritto vedrà anche che i miei riferimenti a un certo tipo di rischio riguardavano “fragilità emotive” e,di queste,web non mancano certamente, oltre a sottili piaceri pervertiti. Personalmente sono CONTRO ogni tipo di censura .Ho lottato e continuerò a farlo ,(il “mio” DNA me ne ha dato ampio esempio,del resto),ma su certe questioni come quella di una giusta regolamentazione di Internet ,ne trovo necessaria l’applicazione per tutelare minori,adolescenti,deboli emotività bisognose sicuramente anche di altro aiuto. Cordiali saluti. Bianca 2007
Malitia, ho letto bene il tuo commento e capisco ovviamente l’importanza dell’educazione eccetera. Quello si fa a scuola e va benissimo. Ma non è che se spieghi a un adolescente ciò che succede se pubblica le sue robe o se frequenta ask gli cambia qualcosa. sono cose che uno apprende sbattendoci il muso, tale e quale per le frequentazioni reali. a un figlio serve non stare da solo. il resto è allucinante. lo è che tu passi il tempo a vedere ciò che succede per doverlo capire, quando lo sai già benissimo ( siamo già stati adolescenti e già sappiamo quanto sia terribile il giudizio altrui ), e lo è il fatto che ne stiamo parlando. stiamo parlando di tizi insignificanti che hanno lo stesso bisogno di quelli che tormentano. parlare di hater è ridicolo, ,ma non voglio offenderti. è ridicolo nella misura in cui stiamo parlando di persone come tante, che semplicemente fanno cose assurde. ne parli come si parla dei serial killer. vorrei capire di quale disagio parli, come fai a parlare di massa inquietante. non c’è nessuna massa. l’odio e la voglia di far male appartiene a tutti, non è che l’hater sia speciale. ma perché a te sembra più normale il resto della pubblicazione su facebook di fatti pensieri e cose insignificanti? le discussioni inutili che facciamo? se passi il tempo su Ask l’ultimo dei problemi è l’hater, anzi, l’hater non potrebbe esistere senza l’adolescente fragile. ti sembra normale che uno usi un diario pubblico che ti racconta come fossi un personaggio? così come so bene quanto sia ridicolo il fatto che sto qua a commentare con un nick, perché mi troverei enormemente a disagio a pensare di essere riconoscibile.
@ Bianca 2007, ho cercato solo di dirti quanto mi suonino sproporzionate le tue parole per descrivere quello che ha fatto Malitia. In generale sono d’accordo.
@Boris tu tendi a vedere il fenomeno dalla luce illuminata e protetta dell’adulto. Traslando il discorso nel mondo adolescenziale, credimi che si tratta esattamente di quello che dico: la massa anonima – che esiste appunto perché non capisci chi siano i singoli individui, o se siano una o più – diventa davvero un’entità minacciosa. Io ne ho avuto una percezione minima, ma l’ho sentita. Posso soltanto immaginare il senso di soffocamento di un ragazzo insicuro che si vede attaccato da una serie di persone di cui non conosce il volto. E non importa il fatto che siano anonimi e che, in teoria, non dovrebbero avere peso: c’è qualcuno, dall’altro lato, che ti sta dicendo che sei una nullità. Queste cose ti feriscono, a prescindere dal fatto che non abbiano un nome e un cognome. Al contrario, se lo avessero sarebbe tutto molto più semplice, perché le accuse potrebbero essere contestualizzate nel rapporto che hai con quella persona – o magari si potrebbe rispondere per le rime. Indipendentemente dall’intenzionalità di chi scrive – noia o altro – nel momento in cui l’anonimo attacca senti di stare subendo un’ aggressione verbale: la sensazione percepita è quella di odio. E magari il ragazzino vuole solo passarsi il tempo in maniera crudele, ma la percezione che ricava chi subisce l’offesa è quella dell’odio. Quindi è hating. Minimizzare questa cosa secondo me è un passo falso, mi sembra si stia deresponsabilizzando il bullo virtuale, che parla a sproposito o offende protetto da un’ipotetica inviolabilità. Io non trovo assolutamente normale l’uso che si fa dei social network, una sorta di diario dentro cui sfogarsi, come se non stessimo urlando al mondo i nostri fatti privati. Gestire un adolescente, fargli capire certe cose, hai ragione, è assolutamente difficile: ma se il ragazzo apprende la lezione della pericolosità di esporre la propria emotività nel contesto virtuale – magari anche, come dici tu, con l’esperienza – i rischi del bullismo su Internet sono ridotti. Dobbiamo comunque fare i conti con il dato che sia adulti che adolescenti trascorrono un numero altissimo di ore su Internet, e che spesso lo fanno nel modo sbagliato (con le parole “se passi il tempo su Ask l’ultimo dei problemi è l’hater” credo tu intenda dire che il problema non sia l’hater, quanto il fatto che l’adolescente passi molto tempo su Ask: a questo punto però dovremmo fare un discorso molto più ampio, e secondo me ormai purtroppo utopico, sul tempo eccessivo che si trascorre online Non credo, francamente, che un adolescente possa fare a meno della Rete. E non sono estremista, è la verità: è in Rete che nascono o continuano i diverbi nati a scuola, è in Rete che dimostri quello che di presenza non sei o non riesci a dimostrare, è in Rete che diffondi le tue foto, “reo” di un bisogno di attenzioni che dal vivo non sempre riesci a ricevere. Questo, ovviamente, non va bene per niente, ma anche quando sei un adolescente equilibrato estraniarsi da Facebook significa non partecipare a una parte della vita sociale. In qualche modo, ne sei escluso. Un uso responsabile e consapevole di questi mezzi mi sembra sia una delle poche soluzioni del bullismo virtuale. L’altra, dicevo, sta nell’educazione della vittima e nella necessità di infondergli sicurezza e autostima. Cosa che, ovviamente, serve soprattutto nella vita reale). Il fatto che io “sappia benissimo” quello che succede è errato: non lo sai finché non ci sei dentro. Appunto come non lo capisci tu, non capivo pienamente nemmeno io il disagio di essere attaccati sul personale. Io non sto lì a vedere quello che succede, presupponendo di vederlo benissimo: lo provo e poi ne parlo.
Quello che mi ha impressionato di Ask è la velocità, permette di ricevere attenzione istantanea (mi pare si possano rifiutare le domande anonime, ma probabilmente limita la velocità con cui si riceve attenzione).
Ho visto queste tipe che rispondono alle domande anonime più cretine e a ogni richiesta come fosse un automatismo: “Una foto in costume da bagno? Ok, non ti segare però!” (e non postarla?)
è una slot machine della gratificazione immediata, e penso crei una dipendenza altrettanto immediata in chi ha bisogno di questo.
Sono d’accordo sulla consapevolezza e sull’autostima, solo non capisco perché ne fai una questione nuova. E ancora non capisco come fai a dire che non lo sapevi già cosa si prova. È forse differente subire il giudizio altrui in rete o a scuola o in strada? La differenza è quantitativa non qualitativa. Semmai l’esperimento ti fa capire cosa accade in te, ovvero che a forza di passarci il tempo il virtuale diventa reale, giovane o adulta non cambia. Molti adulti sono dipendenti da internet. Io stesso in certi periodi mi accorgo che ci passo troppo tempo ( e non c’è un modo corretto di trascorrere un mucchio di tempo in rete, è il tempo trascorso la dose ). Ho un profilo soundcloud e se carico un pezzo ho l’ansia che qualcuno lo ascolti. Anche scrivere commenti su Lipperatura è problematico, se perdo di vista il fatto che sono commenti. Questo è un problema mio, non del mezzo. So bene che si può soffrire su Ask, mi sono espresso male e non minimizzo la sofferenza. Ma non è un problema di Ask e di quelli che ti attaccano su Ask. L’educazione all’uso consapevole della rete serve a chi sta bene. Sapere cosa comporta pubblicare materiale proprio, sapere che ci sono estranei veri e davvero pericolosi eccetera. Ma l’adolescente fragile di turno non sta bene, quindi non può usare consapevolmente la rete. Se fosse in grado di farlo non sarebbe un adolescente fragile. Qua ci focalizziamo sul bullismo, come se l’educazione fosse finalizzata a difendersi dall’odio altrui e come appunto se il problema sia l’odio in rete. E come dici tu stessa, l’educazione serve nella vita reale. Mentre a scuola il bullo te lo becchi comunque, in questa parte di rete che descrivi il bullo lo subisce solo chi si mette in condizione di subirlo. E i problemi stanno a monte. Una ragazzina che pubblica le sue foto ha bisogno di qualcuno che le spieghi e la faccia riflettere sulle possibili conseguenze. Una ragazzina che si iscrive su ask e viene ripetutamente offesa e sta di merda cosa ha bisogno di capire? Ha bisogno di qualcuno che le stia vicino e che la allontani da quella follia masochista.
Condivido la conclusione del post che precede, quello di Boris. E, scusandomi per l’indiscrezione, mi permetto chiedergli quali “remore” gli impediscano di nominarsi, in questi tranquilli blog di opinione.
Quanto al tema, la comunicazione in rete, la trovo utile per molte, e in parte ovvie, ragioni, su cui ora sorvolo, ed è anche palese l’impossibilità socio-culturale di starne fuori. Stupisce (mica tanto) che ne abusi chi era già adulto agli esordi del mezzo.
Per metterla sul personale, frequento alcuni siti e ho un blog, ma (mi si consenta lo snobismo) ho deciso di non usare facebook e twitter, che pure -quale “piccola” autrice- potrebbero giovarmi.
Non stupisce invece affatto che internet e in particolare i social occupino tanta parte del mondo giovanile. Anche nel “bene”, s’intende, come del resto la globalizzazione in generale. Presentano grossi rischi, è risaputo, e gli adolescenti sono i soggetti più esposti.
Dovrebbero esserne ben consapevoli gli adulti che si occupano di loro e impegnarsi a tenerli sotto controllo: con l’ educazione all’uso e, soprattutto, con la vicinanza e la cura. Ma anche intervenendo autorevolmente con avvertenze e divieti.
Importante infine, e per me doverosa, la partecipazione socio-politica, o come chiamarla. Alcuni luoghi del web, sul genere appunto di ask, sono effettivamente pericolosi: un’adeguata pressione da parte delle famiglie potrebbe ottenerne la chiusura o almeno il maggior controllo. Famiglie però coordinate, socialmente attive, che da noi non abbondano. Con danno di tutti, a partire dai soggetti più deboli.
Anch’io d’accordo con Boris. c’è un aspetto demoniaco della comunicazione in rete che la rende pericolosa per tutti , non solo i più deboli. Usare un nick, o il proprio nome non cambia molto le cose; gli altri ti vedono e ti considerano per i messaggi che scrivi o le foto che posti etc,, per cui c’è il grave rischio, ( il rischio demoniaco ) di identificarsi con questa parzialissima e in autentica parte, comunque l’appelliamo. L’aspetto più grave del post di Malitia, come già sottolineato è appunto il non rendersi conto di questa intrinseca parzialità e falsità della comunicazione in internet, il cascarci dentro mentre la vuole analizzare, e non tanto perché dice di soffrire alle offese scritte su ask , ma per il linguaggio che usa, il non riuscire a separare il ragazzino dall’hater.
Da questo punto di vista poi , i Lovers sarebbero anche più molto più pericolosi degli haters, quest’ultimi magari ti fanno male, ma ti allontanano. I lovers invece rappresentano i tentacoli melliflui di questa Massa indistinta e irreale che ti vuole assorbire.
L’anima invece esiste, è unica e eterna. Ma come conoscerla come scoprirla? Scherzando posso darvi un aiutino: “Siete tutti degli imbecilli!”
Ciao,k.
Io invece sono d’accordo con Malitia e mi permetto di far notare a Boris e soprattutto a k. che la falsità della comunicazione sociale è stato un problema sul quale l’intera produzione pirandelliana ha scavato senza pietà in un mondo che neanche immaginava una cosa come Internet! Se io decido di indossare una maschera nei miei rapporti interpersonali, il mezzo poco importa; importeranno, al più, le occasioni che (mi) si presentano o che creo.
Dunque io non scadrei in una paranoia ma sarei semplicemente vigile, come lo siamo nei nostri rapporti interpersonali.
Piuttosto trovo interessante che vengano espresse difficoltà a esprimersi firmandosi con nome e cognome persino in un blog “civilissimo” come questo… perché!?
@ Luca, così rispondo anche a virginialess
nel mio caso credo derivi dalle mie difficoltà passate, che in qualche modo si riverberano. Durante l’adolescenza e il passaggio alla scuola superiore sviluppai una sorta di ansia che forse si legava anche alla tensione che vivevo in casa per via delle liti fra i miei ( dovute anche all’abuso di eroina di mio padre ). Nel tempo cercai di isolarmi il più possibile non uscendo di casa. Oggi su facebook ( che praticamente non uso ) sono con uno pseudonimo, mentre ad esempio su souncloud uso la mia identità, perché è un’attività che mi rappresenta e che mi rende felice, dunque lì non mi vergogno di me stesso.
Scusa se mi permetto in pubblica, Boris: cosa c’è da vergognarsi? Esprimi le tue idee con pacatezza ed educazione, ci dichiariamo d’accordo o dissentiamo, ci confrontiamo civilmente… almeno in questo blog trovo che non ci sia nessun problema a usare la nostra reale identità. Ovviamente rispettando profondamente chi, come te, sceglie comunque un avatar, un nickname.
…su Facebook posso solo dirti che mi sono cancellato definitivamente!!
Luca, se ci penso ovviamente non c’è nulla di cui vergognarsi, non è che mi vergogno di ciò che penso o dico, mi vergogno dei miei problemi ( non ho avuto una vita dura, sono quasi trentenne, ma certamente non è stata normale ) e ciò mi crea disagio nell’apparire. Ma d’altronde neanche li avrei nominati firmandomi con nome e cognome, anche perché non ci sarebbe stato motivo, dato che l’ho fatto per motivare la mia scelta con la mia esperienza. Poi c’è anche un livello meno problematico, per cui i primi tempi su fb ero con nome vero, ma mi metteva a disagio il fatto di essere connesso, perché per me è un’esposizione eccessiva, sono comunque introverso e riesco a trovare intimità con poche persone. Inoltre non mi va di far sapere cosa penso a tutti e non mi piace tutto ciò che penso. L’aspetto giocoso che può esserci nella condivisione lo posso vivere appunto con un nick. Sono anche stato invitato in un blog e scriverci non è male, anche se a volte mi chiedo che senso abbia pubblicare consigli di lettura o di ascolto o di visione. Mi è capitato di ricevere anche complimenti, però è come se non riuscissi a prendere con leggerezza l’esprimersi. Quello che mi piace del nick è che non è importante che sono io a dire una cosa, ma che magari può essere bella o utile per qualcuno. Poi so bene, e cerco di lavorarci criticamente, che mi piace incaponirmi nelle discussioni e attaccare pipponi ridicoli ( ridicoli nel fatto stesso che dico a qualcuno “non sono d’accordo con te, quel che dici è sbagliato” eccetera, che può essere appunto utile se fornisci informazioni o consigli di lettura ) quando non fastidiosi. Urge cambio nick
:-))
Io la butto lì: qual è esattamente la pretesa di veridicità e coerenza di un “esperimento” per cui io mi apro un account ask per farmi insultare? Il cyberbullismo è un’altra cosa, ed è molto più seria e subdola, questo è sciacallaggio bello e buono.