RICONNETTERE PASSATO E PRESENTE: I CELERES E I TRAPPER

Mentre ero rinchiusa a Più Libri Più Libri (reclusione molto felice, peraltro, e peraltro è stata felice la scelta degli ascoltatori di Fahrenheit e dei gruppi di lettura,, che hanno eletto libri dell’anno “Da un altro mondo” di Evelina Santangelo e “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino), molto avveniva là fuori, e forse il tempo obbligato del silenzio è stato utile per provare a capire.
L’orrore di quello che è accaduto a Corinaldo, e che va ancora evidentemente capito, dovrebbe chiamare  la riflessione. Invece, quel che è avvenuto, come ricorda Mario Di Vito nel suo articolo per il Manifesto, è tutt’altro:
“Su Twitter e Facebook in molti sembravano aver bisogno di trovare subito un colpevole su cui scaricare il peso di una strage troppo assurda, e allora al centro del mirino ci sono finiti prima di tutti i proprietari del Lanterna Azzurra (che avrebbero venduto il doppio dei biglietti rispetto alla capienza del locale), poi i buttafuori che non avrebbero saputo gestire la situazione, poi ancora, ovviamente, chi ha spruzzato lo spray al peperoncino, e via di seguito: i genitori irresponsabili, i ragazzi «che non sanno divertirsi», lo stesso trapper Sfera Ebbasta, che avrebbe atteso troppe ore prima di commentare, costernato, l’accaduto”.
Ora, l’onda emotiva è comprensibile, ed è evidente che i social la innescano e la amplificano. E’ altrettanto evidente  che quanto accaduto porti in primo piano la corsa all’incasso e la mancata osservanza delle norme di sicurezza, come probabilmente è successo, per  avidità. Però ho letto molto e troppo altro sui ragazzi, sui loro gusti musicali, sulla loro incoscienza, sul loro flirtare inevitabilmente con il pericolo.
Ecco, mi piacerebbe poter ascoltare parole sagge. Come sono state, ai tempi, quelle di uno storico come Giovanni Levi, che molti anni fa curò per Laterza una Storia dei giovani dove si imparava a riconnettere presente e passato. E si scopriva, per fare un parziale elenco dei capi d’imputazione oggi ricorrenti, che ad essere impudicamente, superficialmente attratti dall’aspetto esteriore non sono solo i ragazzi del 2018: perché amava le stesse cose un loro coetaneo che visse in un altro millennio (siamo, diciamo, fra il 1170 e il 1180, gli anni di Chrétien de Troyes e del Conte du Graal): si tratta nientemeno che del giovane Perceval, abbagliato nelle foreste materne dallo splendore delle vesti e delle armi di un cavaliere di re Artù prima ancora che dalla nobiltà del suo credo. O, ancora, si potrebbe confrontare il nostro orrore nei confronti dei figli che uccidono i genitori, e per denaro, con la paura suscitata nel XV secolo da una gioventù di “formidabile appetito” davanti alla quale “tutta la società pare temere il parricidio”. Ancora due esempi fra i moltissimi suggeriti: oggi le bande del sabato sera, ieri l’ altro i celeres, i “veloci” che accompagnano Romolo nelle sue scorribande fra i boschi. Oggi le notti bianche in discoteca, ieri le notti folli del carnevale e delle feste patronali, assegnate ai giovani come unico spazio riconosciuto e consentito di trasgressione e apparente libertà.
Uno storico serve a capire che fin dalle sue origini il mondo dei padri ha esaltato e temuto i figli, affidando loro il duplice ruolo di portatori del nuovo e di censori della società adulta, “incoraggiandoli come speranza del futuro e reprimendoli come nemici”.  Uno storico serve a centrarci, a provare a interpretare nel contesto, ad allargare lo sguardo, a non porre sempre e comunque noi stessi come misura unica per interpretare il mondo circostante. Serve, anche, a insegnarci il rispetto per la sofferenza degli altri, e a ricordare quante sofferenze hanno accompagnato la giovinezza nei millenni.
Invece, siamo ancora al qui e all’ora, all’analisi del testo dei trapper e al facile anatema. Temo che non funzioni così. Non dovrebbe, almeno, funzionare così.

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