Queste poche e probabilmente superflue parole non riguardano il modo in cui i giornali raccontano dell’incendio di Notre Dame, ma la nostra reazione emotiva. Non con stupore, infatti, leggo di molti moniti, declinati in vario modo, verso chi si commuove per il rogo di una cattedrale e non ha magari versato una lacrima per le migliaia di morti nel Mediterraneo, oppure, potrei aggiungere, per le migliaia di vivi che hanno attraversato tre inverni senza casa né certezze, oppure ancora, aggiungerei con non poca rabbia, per le centinaia di morte ammazzate ogni anno, oppure, oppure, oppure.
E’ che è molto difficile controllare l’emotività quando si parla di simboli, o per meglio dire, non essendo semiologa, per quei luoghi che noi associamo alla bellezza incontrata nella nostra vita, sia pur di sfuggita. Ci commuoviamo davanti all’immagine del buco nero e piangiamo per la cupola che si spezza. Anche quelli di noi che non hanno un legame diretto con Parigi: avevano le facce tristi i miei figli, che pure Notre Dame la conoscono solo attraverso il cartone animato di quando erano bambini. E anch’io, certo. Ricordo di aver pianto, in una casa che non abito più, guardando in televisione le fiamme che distruggevano il Petruzzelli, nel 1991. E di aver pianto ancora, nel 1996 e in un’altra casa che non abito più, davanti alla Fenice incenerita.
E non sono certo indifferente al dolore e all’orrore dei bambini e delle donne e degli uomini che muoiono respinti dai nostri porti, e agli orrori che si consumano ogni giorno davanti ai nostri occhi. E’ evidentemente una corda segreta che vibra quando qualcosa di bello e che consideriamo, a torto o a ragione, parte della nostra esistenza, viene distrutto. Anche se, certo, ogni bellezza può rinascere. E se, arcicerto, non è l’Europa che vediamo bruciare se non nelle dichiarazioni di qualcuno, o nei titoli di qualcun altro. Ha ragione Evelina Santangelo quando scrive:
“Brucia il dolore per un’opera d’arte che, quando crolla si porta giù in macerie bellezza, sogni, immaginari, cultura… ma l’Europa, l’Europa brucia nei suoi valori fondativi tra gli annegati nella fossa comune del Mediterraneo centrale, delle rotte balcaniche, nei muri che si sono moltiplicati, brucia nella guerra civile in quella Libia con cui si sono fatti accordi criminali che violano le Convenzioni internazionali, accordi che bruciano sulla pelle di chi li ha subiti, e adesso è scudo umano… L’Europa brucia nelle masnade di neonazisti che imperversano spavaldi e, alle parole d’ordine di uno che è andato al governo salendo sulle ruspe, vorrebbero far bruciare il paese nell’odio (ora contro i migranti ora contro lo 0.2 % della popolazione rom).
Ecco, sí, l’Europa brucia, ma non a Notre-Dame… che brucia rovinosamente di fiamme che tutti vorremo essere lì a spegnere e non ad alimentare. Brucia nelle fiamme che vengono alimentate per distruggerla”.
Semplicemente, quel che penso è che non ha molto senso il rimprovero, né il rammentarci che abbiamo altro su cui piangere. Il senso, semmai, è capire come possiamo fare ad ampliare il numero di quelle corde che vibrano in ognuno di noi, e far sì che la nostra pietà si estenda, e imparare a comprendere che la bellezza è anche nelle vite che non vediamo, e che il cordoglio per tutto ciò che svanisce dovrebbe, semmai, farci sentire uniti.