RONDINI

Avevo scritto un post decisamente furibondo, ma l’ho cancellato. Stop polemiche per un po’. In compenso, il link della recensione di Genna a Le rondini di Montecassino di Helena Janeczek. Parliamo di cose, e di libri belli. Non vale la pena fare altro.

28 pensieri su “RONDINI

  1. iihihihih ho fatto in tempo a leggerlo! Era meraviglioso – ma nel fondo credo che tu abbia fatto bene a cancellarlo. Il rischio del trend “faccia da cipolla te! no faccia da zucchina! no faccia de carota”… era altissimo.

  2. Ti capisco cara Loredana, capisco il tuo avvilimento, la frustrazione, il senso d’impotenza che fa sembrare tutto in salita. Parlare e non essere ascoltati, non essere capiti, è scoraggiante!
    Anch’io mi sento così, forse per altri motivi, ma mi sento spiaccicata come se avessi sulle spalle un peso enorme.
    I miei motivi sono personali, ma certamente questa situazione politico/farsesca che ci circonda non mi fa star bene.

  3. Parlo anche per me. C’è una differenza tra ‘indignarsi’ e ‘intignarsi’, per cui sì all’indignazione no alla tigna! 🙂
    Non ho letto il post che hai cancellato, ma secondo me hai fatto bene, anche perché la recensione di Genna è molto bella.

  4. Leggiti ‘Che la festa cominci’ di Ammanniti, biondillo. Anzi, leggetelo tutti e… meditate gente, meditate… letterati. E se qualcuno lo ha letto e non ha meditato, vuol dire che ha messo la testolina sotto la sabbia.
    saluti.

  5. “Che la festa cominci” di Ammaniti è uno dei più brutti e inutili libri che mi sia capitato di leggere. Satira da cabaret di bassa lega su un mondo (quello della crapula capitalistica e dei suoi giullari letterati) che era già diventato farsa prima ancora che Ammaniti nascesse (e ne entrasse con tutt’e due i piedi recitando la parte del sempre-giovin scrittore).
    Ho il sospetto che questa generazione di lettori abbia essenzialmente problemi di memoria, se va in solluchero per roba così.
    Gert, Mai sentito un signore che si chiama Stefano Benni?
    Guardfa che una pagina di Benni vale il libro intero che hai citato.

  6. Problemi di memoria? ‘un signore che si chiama Stefano Benni’?
    Avrai letto allora ‘Achille piè veloce’, Binachi. Certo, tutt’altra cosa per come è scritto e per COME lo dice.
    Ma dice la stessa cosa che dice Ammanniti.
    Non non sono andato in sollucchero, per ‘La festa’ di Ammanniti. Ma l’ho trovato molto molto verosimile, purtroppo, vista la fine del Grinzane Cavour. E chissà cosa si cela negli altri premi italiani strombazzati dai media. E in quelli meno noti…
    Per ‘Il bar sotto il mare e ‘Saltatempo’, sì, sono andato in sollucchero.
    E si va tutti in sollucchero per le ‘Rondini’: benissimo, è un grande romanzo storico, Biondillo, ho capito, hanno capito tutti che lo hai letto. E se tu dici che dobbiamo gettare via tutta la biblioteca per per leggerlo, ti credo. Ti crediamo tutti, biondillo. Crediamo in Te. Bene. Detto questo, mi chiedo se vi è ancora bisogno di storie inedite della Seconda guerra mondiale, seppure parli dei Maori a Cassino. Mio nonno mi raccontava che qui, nel mio paesino, hanno sostato, prima della grande battaglia, battaglioni di polacchi e indiani diretti a Montecassino. Siegmund, un tenente polacco, fece anche in tempo a concepire un figlio con una delle nostre donne, prima di morire in quell’inferno. Questo figlio, a sessant’anni, lo ha ritrovato nel cimitero polacco che lì esiste e custodisce le vite e i sogni di quegli sventurati. Ci sono dieci cento, mille milini di storie da raccontare – ancora – su quella battaglia, come su tutte le battaglie e le guerre che hanno devastato l’umanità.
    Ma oggi, OGGI , in Italia, in QUESTA Italia, quale sarebbe il compito dello scrittore, dell’intellettuale, dell’artista?
    Credo che la Letteratura oggi in Italia debba raccontare altre storie. Verismo. Denuncia. Ribellione. Verga, Capuana, Hugo… sarebbero davvero uomini della provvidenza, letterariamente parlando, degli Steinbeck, dei Gore Vidal… io vedo – oggi – il coraggio di UNO scrittore. Si chiama Roberto Saviano. Scopro l’acqua calda, certo. E vorrei tanto citarne altri dieci, cento, mille Saviano, cari Biondillo e Binachi, scoprendo altra acqua calda. Oggi persino un Ammanniti con il suo ‘brutto e inutile libro’, può essere considerato un atomo di ossigeno nell’asfittico deserto sotto la cui sabbia giacciono le coscenze degli intellettuali italiani, presi dal calcio e dai talk show, dalle passerelle e dai tappeti rossi…
    saluti.
    gert dal pozzo

  7. Caro Gert, se bastasse l’argomento di cui tratta a rendere grande un romanzo, o a renderlo “vero” se preferisci, un romanzo non si distinguerebbe da un documentario o da un trattato di teologia. Quel che si nota da quel che scrivi è proprio l’incapacità di cogliere lo specifico della qualità letteraria rispetto a un discorso puramente comunicativo. Diciamo che il romanzo-inchiesta di Saviano ha contribuito ad acuire questa confusione, ma non più di tanto, tra oggetto estetico e oggetto artistico: la sfida era già nei ready made di Marcel Duchamp

  8. Gert, calmati. E’ evidente che non hai letto il libro di Helena, se no comprenderesti che parla di noi, oggi. Non solo di Maori (e indiani, e polacchi, ed ebrei, etc.).
    In quanto al resto del tuo commento (calcio, talk show, passerelle, tappeti rossi) non so con chi ce l’hai. Io non ho nulla da dire, perché non mi riguarda.

  9. @Gert:“mi chiedo se vi è ancora bisogno di storie inedite della Seconda guerra mondiale”
    Beh, io direi proprio di sì visto che questi sono tempi di revisionismo storico spinto. Bisogna continuare a raccontarlo quel periodo.
    P.S.
    Dimenticavo, pochi giorni fa, al tg della 7 ore 20.30, (argomento del servizio, il premio David al film *L’uomo che verrrà*) la strage di Marzabotto di cui parla la pellicola in questione, è stata confusa con quella di S. Anna di Stazzema. E non è la prima volta.
    Qui non si tratta neanche più di revisionismo, ma di memoria collettiva che sta andando a puttane.

  10. Bene, allora, privilegiamo il ‘discorso estetico’ rispetto al ‘ al fatto puramente comunicativo’ (peccato che io abbia citato fior di romanzieri non solo ‘comunicativi’). Certo, la memoria storica della seconda guerra mondiale, come di tutte le guerre, è importante. Ma anche questo sfacelo un giorno sarà storia. La mafia, la corruzione nella politica, negli uomini, nelle istituzioni, nella maggior parte delle attività umane. E il razzismo, l’egoismo, la paura del diverso, la violenza, il qualunquismo, l’ignoranza, il culto della ricchezza e del potere, l’anticultura in senso lato, che i media continuano a coltivare nei nostri giovani attraverso la televisione e non solo, non è forse un’offensiva, una guerra che si ripercuoterà, se la si perde, sulle future generazioni come l’ultima guerra mondiale?
    E non deve forse, l’artista, lo scrittore, il romanziere denunciare, svegliare, mettere in guardia, farci scendere – appunto – in trincea contro tutto questo waste land? Questa barbarie?
    Credo di sì. Credo valga la pena assaltare Montecassino presidiata dal Male, affinchè le rondini possano tornare a volare sotto un cielo pulito da tutto questo.
    grazie
    gert dal pozzo

  11. Forse è imbarazzante che mi faccia viva anch’io.
    Infatti vorrei rispondere a questioni che vanno oltre al libro che ho scritto. Il fatto è che capisco e condivido soprattutto il sentimento che Gert esprime, l’urgenza di mostrare ” il razzismo, l’egoismo, la paura del diverso, la violenza, il qualunquismo, l’ignoranza, il culto della ricchezza e del potere, l’anticultura in senso lato, che i media continuano a coltivare nei nostri giovani attraverso la televisione e non solo, non è forse un’offensiva, una guerra che si ripercuoterà, se la si perde, sulle future generazioni come l’ultima guerra mondiale”.
    C’è soprattutto un personaggio nel mio libro, un ragazzo che ha diciotto o dicianove anni nell’estate scorsa che esattamente colui che porta dentro questa rabbia. Questo bisogno di urlare che il male non è tutto lì nel passato, nella storia dell’ultima guerra, ma che ci sono guerre che continuano. Questo ragazzo va davanti ai cancelli del cimitero polacco di Cassino per cercare di rintracciare dei braccianti polacchi spariti in Puglia dove lavoravano in condizione di una neo-schiavitù che ricorda quella patita dai loro nonni nei lager sia tedeschi che sovietici.
    Insomma non ho voluto fare un romanzo storico, ma un libro sul passato che si propaga nel presente.
    Fin qui la (forse) imbarazzante apologia.
    Che serve come premessa per dire qualcos’altro. Così come non vedo nessuna opposizione fra passato e presente, non vedo nessuna necessità di scegliere fra estetica e “denuncia” o “comunicazione”. E’ la scoperta dell’acqua calda che la letteratura debba avere delle specificità estetiche per essere chiamata tale. Ma queste non escludono che si possa veicolare dei contenuti di un certo tipo. Solo che credo sia impossibile che una vera opera di letteratura sia soltanto un modo per trasmettere un messaggio. Gomorra non è – per me- principalemente un libro di denuncia, ma uno che crea un mondo, te lo fa vedere, conoscere, persino percepire fisicamente. E’ questo suo essere qualcosa che va ben oltre a un fine che gli ha conferito tanta forza.

  12. Dimenticavo: il ragazzo va alla ricerca degli schiavi scomparsi dopo aver fatto esperienza personalemente della violenza e del razzismo che ci sono oggi, in Italia.

  13. @Helena
    Sull’importanza etica e politica di un libro come Gomorra non discutiamo neanche, sulla “forza”, o meglio sulla natura di questa “forza” lo farei, e senza sconti. Io ci vedo un reportage che utilizza il romanzo come artificio retorico, ed è meglio così, perchè come romanzo gli mancherebbe troppo per rappresentare un “mondo”, cioè per essere davvero corale e pluridimensionale. Anche questa smania della letteratura come denuncia è equivoca. Il dovere dell’arte è di restituire un’esperienza primigenia e totale, della virtù o del vizio non importa, purchè la forma sia pura e tutt’intera. Proprio perchè la percezione corrente è inquinata dallo stereotipo linguistico e ideologico, la vera sovversione dell’arte sta nella restituzione di un’integralità o se preferisci nella trascendenza dalla prosa del mondo, non nell’indicizzazione di una patologia o di una terapia. Per parlare di una cosa che conosci tristemente bene, fa di più un film come “Ogni cosa è illuminata” che uno come “Schindler’s list” per svelare l’orrore della Shoah., non perchè è maggiormente documentario, ma proprio perchè lo è meno, anzi non lo è affatto.

  14. Helena, non ho letto il tuo libro, e, come dice giustamente Biondillo, dovrei leggerlo. Non ti prometto che lo farò, sarebbe ingiusto. Amo il romanzo storico, quando non è fine a sè stesso e non è altro che una vicenda da indiana jones, come alcuni romanzi recenti sul mondo classico, tanto reclamizzati dalla potente macchina divulgatrice dei grandi editori.
    Del resto, lo pseudonimo con cui mi presento lo conferma. Gert dal Pozzo è il protagonista di un romanzo storico illuminante, che io amo.
    Colgo l’occasione di dire a Anna Luisa della Memoria storica: vivo a pochi chilometri dal Mausoleo dei Partigiani Caduti della Brigata Majella. E non vedo mai gite di studenti lì dirette, come vorrei che fosse ogni giorno. Ogni ora. Ogni minuto. Con i professori che raccontano la Storia, quella vera. Sarebbe questa la Memoria: che lo Stato stesso, che si è formato tramite quelle giovani morti, sta dimenticando. Vorrei pellegrinaggi a Marzabotto, a S.Anna, alle Ardeatine, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, con professori appassionati che raccontano e studenti interessati. Ciò – forse – contribuirebbe a conservare la Memoria: e quindi evitare la deriva che stiamo vivendo.
    Torno per un attimo a Helena. Per dirle che la piaga della schiavitù è presente, vicina. Sarà sempre più così: ho letto oggi dei frustini che alcuni dirigenti di un cal center dell nord (anche nel nord succede, ormai) usavano contro chi non reggiungeva il suo ‘obiettivo’: sono stati denunciati da pochi coraggiosi: la Letteratura ha (anche) il compito di far si che ‘quei’ pochi coraggiosi diventino ‘molti, se non tutti. Allora avrà raggiunto lo Scopo (o uno degli scopi più importanti): quello di rendere più umana l’Umanità.
    Altrimenti è solo ‘estetica’: che un mondo imbarbarito non potrà mai apprezzare. E godere di essa….
    gert dal pozzo

  15. Gert, non volevo farti sganciare un tot di euro:-)
    La Brigata Maiella è una di quelle storie che quando le sai ti incazzi perché non è mai venuta a galla come merita (come meritano quelli che vi hanno combattuto e sono morti, soprattutto), mentre vengono offuscate da revisionismi e “sai che pizza” quelle che fino a ieri almeno erano cosidetto patrimonio comune.
    Il valore della resistenza per me oggi è soprattutto uno, molto semplice. Aver presente che alcuni di questi spesso beneducati, talvolta un po’ rincoglioniti nonni un tempo erano stati in grado di dire no. Di andare sino in fondo a questa scelta. Erano gente di tutti i ceti, colta e semplice, di ogni fede politica e religiosa. Non erano tutti dei stinchi di santo.
    Ma erano un numero di uomini capaci di non uniformarsi a quel che gli aveva impartito il fascismo e la precedente cultura della subalternità italiana declinata in mille modi. E oggi a me pare, ancora più di prima, una cosa enorme.
    Per il resto, ossia per le questioni che riguardano la letteratura – anche da Valter- vi rispondo quando sono meno bollita.

  16. Certo, è una cosa enorme! Vedo le foto di quei ragazzini sedicenni affagottati dietro il mitragliatore, la bandoliera che avvolge un corpo adoelscente, il fucile dietro le spalle esili, i loro sguardi attoniti e fieri nello stesso tempo. No, non lo puoi non considerare qualcosa che ha a che fare con il surreale, specie se lo si confronta con gli adolescenti di oggi. Una cosa enorme, Helena, certo.
    Non lo so perchè la formazione partigiana di Ettore Troilo che fu prefetto a Milano nei giorni precendenti il 25 Aprile, non sia venuta a galla a livello nazionale. Forse perchè è stata la più a sud. E la storiografia considera da sempre il partigianesimo come una prerogativa del nord. Non abbiamo avuto scrittori che hanno poi mitizzato le gesta dei partigiani. Non abbiamo avuto scrittori come Fenoglio, nè giornalisti partigiani come Bocca.
    Però – ripeto – il comandante della Brigata è stato prefetto di Milano durante i giorni precedenti il 25 Aprile 1945. Ma non è servito, evidentemente. Ci voleva un ‘cantore’… che non abbiamo avuto.
    Ma oggi, quanto avremmo bisogno di quei ragazzi, e dei cantori che celebrano le loro gesta. Recentemente il regista Monicelli ha avuto modo di dire che un paese messo così male come il nostro (altre corruuzioni stanno per essere smascherate, una tangentopoli 2, si dice), solo una Rivoluzione vera potrebbe salvarlo. E qualsiasi altro popolo sarebbe insorto. Noi, no. Forse perchè i nostri adolescenti e i giovani non hanno più Valori, se non quelli della ricchezza subito e non importa ‘come’ ; della visibilità e della fama televisiva – sia pure effimera – a tutti i costi. Un mio conterraneo, grande del cinema (come sceneggiatore) e della letteratura, Ennio Flaiano, disse della televisione, appena essa apparve, nel 1954: un giorno non saranno i politici a governare una nazione, ma la televisione. Oggi la televisione sta sostituendo i libri. E la barbarie imnpazza in essa, contagiando le nuove generazioni, insieme a uso deviato di internet. E’ una battaglia che il mondo intellettuale deve intraprendere, contro questa deriva, anche se la lotta è impari.
    Sono gli intellettuali, anche, i nuovi partigiani…. deponendo le armi, del cinema, della scruttura, del teatro ecc. si farebbe un torto a quei ragazzi. Vorrei che anche oggi ribellarsi a questo nuovo ‘totalitarismo’ mediatico, sia considerato dai posteri, dagli scrittori futuri, una cosa ‘enorme’, Helena….
    saluti
    gert

  17. Lo vorrei anch’io, Gert. Vorrei che nonostante la stragrande maggioranza di noi che scriviamo, facciamo film, cerchiamo di vedere, analizzare e dire con i nostri mezzi, sperimantiamo tutti i giorni che non contiamo più un cazzo, che quasi nessuno si impippa delle nostre parole e opere, fossimo in grado di dare da soli un valore alto a ciò che facciamo. A porci obbiettivi ambiziosi. Ma non è facile.
    In più, molto semplicemente, l’impegno non è prescrivibile per l’arte. Questo non è una dichiarazione ideologica, ma una costatazione pratica.
    La gran parte di coloro che scrivono oggi in Italia, si colloca a sinistra. Molti di loro scrivono libri in cui si coglie poco di questa loro appartenenza. Spesso libri belli. Altri sono convinti che le loro opere siano specchio del loro impegno. Li leggi e sì, lo capisci, va bene, ma vedi anche che graffiano poco. Altri si mettono sul sociale e confezionano narrazioni molto prevedibili, piene di cliché, didascalische. Mi vengono in mente soprattutto dei film di questo tipo.
    Tutto questo porta alcuni a sostenere che sia impossibile sposare oggi le ragioni dell’estetica (ovviamente indispensabili) con quelle dell’impegno.
    E qui mi allaccio anche a quel che dice Valter (scusa sei hai atteso tanto una risposta). Personalmente non sento il bisogno di scegliere fra “Ogni cosa è illuminata” e “Schindler’s list” che può essere criticato, però nel suo intento di rappresentare e divulgare non è solo efficace, ma anche più attento di molti altri prodotti cinematografici. Il vero kitsch della shoah è più insidioso di Spielberg o di Benigni e spesso molto ma molto “artistico”.
    Certo che l’arte riguarda soprattutto la condizione umana, le sue contradizioni, che non può essere ridotta a messaggio.
    Però ci sono artisti in ogni campo che sentono l’urgenza dell’impegno civile, sociale, politico in modo urgente e necessario. E quindi trovano la lingua per esprimerlo, le forme per dirlo. E altri che magari, come persone, hanno altri modi per esprimere un dissenso civile, per darsi da fare socialmente. Ma sanno che questo non riguarda il loro percorso letterario o in generale artistico. Ed è una cosa onesta, semplicemente.
    E infine succede spesso una cosa strana. Libri che non si prefigurano nessun tipo di denuncia risultano più politici di altri che invece si credono molto impegnati.
    Questi appunti non molto approfonditi per dire che la questione è complicata. E che non bisogna applicare – da una parte e dall’altra- degli schemi troppo rigidi. Perché la cosa migliore in cui sperare, è che le sorprese non finiscano mai….

  18. Io lo so che spesso quello che dico viene interpretato come un rifiuto dell’impegno civile in arte, ma non è così. E’ che mi piace distinguere lo scrivente dallo scrittore. Lo scrittore è un uomo o una donna che non solo può ma DEVE impiegare la sua credibilità per una pedagogia dell’umanità. Lo swcrivente invece è il tramite di una visione. Deve darle forma, qualunque essa sia. Il suo scopo è fare sì che il lettore veda. Indurre un’esperienza estetica, è purificare uno sguardo abusato sulle cose. E’ diverso, dal persuadere a comportamenti secondo una moralità condivisa. E’ fare in modo che le sorprese non finiscano mai, appunto, perchè un lettore che si lascia sorprendere da una visione è un uomo un po’ più libero.

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