Ho fatto due chiacchiere con Glenn Cooper, per R2 Cult. Ecco qui.
La biblioteca dei morti, vendutissimo mystery di Glenn Cooper, lasciava insoluti molti interrogativi. Davvero tutti i libri compilati nell’abbazia di Vectis, con la data di nascita e morte di gran parte dell’umanità, sono custoditi nell’Area 51? Davvero il 2027 rappresenta la fine dei tempi? E davvero il rissoso protagonista, l’ex profiler dell’Fbi Will Piper, si è rassegnato alla pensione e alle gioie della famiglia? Naturalmente no: e le risposte sono ne Il libro delle anime, appena uscito per Editrice Nord (traduzione di Gian Paolo Gasperi e Velia Februari, pagg. 432, euro 19,60) e nato, racconta Glenn Cooper, per onorare un impegno.
“Ho scritto La biblioteca dei morti come romanzo unico. E’ stato il mio agente a venderlo prevedendo un seguito, e ho dovuto adeguarmi. Fortunatamente c’è stato il tempo per cambiare parti del primo libro e lasciare aperte alcune grandi questioni a cui rispondere nel secondo. Non auguro la stessa esperienza a un esordiente, però”.
Due romanzi con lo stesso tema: conoscere il momento della propria morte. Perché?
Perché fin da bambino ero affascinato dall’idea della predestinazione. Quando ero studente pensavo: bene, se ogni cosa è già stabilita, forse non devo studiare per i miei esami. Pochi anni fa ho realizzato che Fato e Destino sarebbero stati un meraviglioso soggetto per un thriller.
Deve esserci stato qualche altro interesse. La storia medievale? La religione?
La storia, soprattutto: ne sono sempre stato appassionato. Quanto alla religione, mi dava da riflettere l’idea che il sistema fondato sulla fede abbia governato le vite degli uomini in tutti i tempi e luoghi. Volevo utilizzare questi temi in un romanzo: il mystery e il thriller erano la strada per raggiungere il più vasto pubblico possibile.
C’è un motivo per cui i lettori amano tanto il mystery?
Perché vogliono usare il loro poco tempo a disposizione per essere divertiti e per essere strappati da una vita ordinaria, almeno per poche ore. Il mystery è un ottimo modo per riuscirci.
Soprattutto il mystery storico: debiti nei confronti de Il nome della rosa?
Umberto Eco è il padre e il maestro. Il nome della rosa ha dettato i canoni per il thriller storico.
Altri scrittori che l’hanno influenzata?
Dan Brown, John le Carré, Frederick Forsyth, Ken Follet.
E fra gli autori non di genere?
Soprattutto John Steinbeck. Amo anche Graham Greene, Auden, John Fowles, Shakespeare.
Che non a caso appare ne Il libro delle anime. Dove c’è un unico volume al centro della vicenda.
Sì, ho immaginato che di quei 700.000 libri che componevano la biblioteca di Vectis, uno fosse caduto in mani estranee: influenzando, poi, le vite di molti uomini, inclusi Calvino, Nostradamus e William Shakespeare. E quando appare in una casa d’aste di Londra, quello stesso libro cattura il protagonista, Will Piper, dentro l’avventura.
Shakespeare e Calvino insieme all’Area 51?
Certo. E’ divertente mischiare cultura alta e bassa. Allo stesso modo, effettuo lunghe ricerche per rendere i miei romanzi assolutamente rigorosi e rispettosi di figure ed eventi storici. I lettori sembrano amare l’idea che la storia possa incontrarsi con la modernità.
Il suo personaggio, invece, odia i libri, ama l’alcool, è burbero e istintivo. Anti-eroe?
Non mi piacciono i canoni classici di eroe e anti-eroe. Nessuno è totalmente buono o cattivo. Will Piper è un uomo imperfetto che desidera fare la cosa giusta: ma che, a volte, sbaglia.
A proposito di sfumature. In Italia si discute sulla necessità di distinguere fra generi e sottogeneri. E’ corretto farlo?
Io penso che ci siano differenze importanti, per esempio, fra un thriller e un mystery: nel secondo, le cose possono procedere lentamente, il piacere consiste nel risolvere il crimine o l’enigma. E’ come guidare una confortevole automobile da turismo. In un thriller, il ritmo è veloce e furibondo, e una debolezza del protagonista può avere conseguenze terribili. E’ come guidare una Ferrari.
A quale categoria appartiene il suo terzo romanzo uscito in America, The Tenth Chamber?
E’ un thriller, molto incalzante, con al centro un dipinto preistorico. E’ ambientato ai giorni nostri, con riferimenti alla Francia medievale e a quella di 30.000 anni fa. Diversamente dai due libri precedenti, tutti i misteri sono spiegati dalla scienza. Nessuna relazione col fantastico, stavolta.
E il suo nuovo romanzo, Near Death?
Near Death si svolge nel presente e si centra sulle esperienze del dopo-morte. Volevo capire se potevo scrivere un thriller più convenzionale e tuttavia è stato duro lavorarci, anche se penso che il risultato sia buono. Ma è difficile resistere al richiamo della storia: il libro a cui sto lavorando è ambientato nella Roma moderna, medievale e antica. Sono tornato in zone confortevoli.
Dopo un ulteriore libro sulla morte, però.
E’ il soggetto più interessante del mondo.
Perdonami Loredana, ma dichiarare di avere come “maestro” uno scrittore del calibro di Dan Brown (ripeto: Dan Brown), poi si può quasi dire che Berlusconi potrebbe fare il Presidente del Consiglio…..
E magari, prossimamente, anche un bello studio sull’influenza di Alberoni nella letteratura italiana del ‘900. Magari ci pensa WM!
Desian, ognuno è libero di esprimere le sue opinioni: questo è il sentire di Cooper e io lo riporto.
Quanto a Wm e Alberoni: mi spieghi la battuta?
Quella su Cooper era una considerazione, infatti; però questo genere di dichiarazioni mi colpiscono sempre e non mi aiutano certo ad una curiosità verso l’autore. Insomma, credo che un’intervista sia utile per conoscere meglio l’intervistato e, dopo averla letta, non ho alcuna voglia di approfondire, date queste ascendenze (che anche Follett non lo amo molto…). Tutto qui. E non che volessi offendere il sentire di Cooper, ci mancherebbe… Lasciami però il sarcasmo o il moto di ripulsa o (e preciso che Dan Brown l’ho letto, proprio perché ero curioso del fenomeno e volevo vedere coi miei occhi).
Così la battuta su Alberoni diventa un ulteriore sfogo sul fatto che molto spesso ci capita di utilizzare il nostro tempo di lettori per cose non così importanti anche se WM sarebbe/ro capace/i di farmi appassionare anche ad Alberoni (speriamo che non ci si mettano davvero, eh!).
Insomma mi piace scegliere quello che leggo, e anche dirlo, se posso. 🙂
Ora è più chiaro. 🙂
Desian, dico una cosa piccina piccina: se uno che scrive ammette che ha qualcosa da imparare da Dan Brown, come minimo fa un bell’esercizio di umiltà. Si può imparare molto anche da quelli che non ti piacciono, o non fanno come te… lo trovo un atteggiamento salutare, dopotutto.
Ma vederlo dichirato così, in un’intervista, spiazza anche me: alla fin fine, le affinità fra i nomi segnalati sono (circa) il genere e un buon, anche se non identico, successo di vendita…
Don’t worry, non c’è pericolo…
Anche a me incuriosisce la questione dei “maestri” perché capisco da Follett, ma cosa uno scrittore abbia da imparare da Dan Brown…A me il Codice da Vinci (letto con grande curiosità) è parso appunto una versione scarsa di Follett…Certo gran fiuto commerciale, gran furbizia, questo sì.
Magari voleva solo parlar bene dei colleghi che vendono molto… una forma di cortesia, insomma. In Italia non si fa altro che sparare su Saviano, solamente perché vende. Forse gli scrittori americani hanno più fair play. E anche meno invidia.
Be’ in fondo ha solo inserito Dan Brown in un elenco di autori che lo hanno influenzato… da qui a dire che lo considera un “maestro” ce ne corre parecchio.
E’ vero Skeight, ero io che mi ricordavo male…Ho fatto un commento inutile.
la biblioteca dei morti è uno dei più brutti libri che abbia mai letto.
In effetti è orrendo ma che vuoi, è così divertente mischiare cultura alta e bassa…
(il romanzo, fra l’altro, è assolutamente insensato proprio dal punto di vista storico che l’autore ci dice di aver curato particolarmente…)
Buon giorno a tutti.
Probabilmente leggerò il libro delle anime, anche solo per vedere se mi riesce di alleviare la delusione per la Biblioteca dei morti(anche se ora mi sembra più facile comprenderne certe cadute, visto che l’autore è stato “costretto” a pensarlo come un libro “primo” al posto di “unico”).
Saluti
Maui
Della Biblioteca dei Morti mi è piaciuto il contrasto emerso dalla distanza dei due piani temporali molto distanti fra di loro per epoca e location su cui si dipana il plot, che influiscono sulla tempistica dell’agire dei personaggi: negli Stati Uniti di oggigiorno ipertecnologizzati, in cui i protagonisti si muovono rapidi ed efficienti dribblando ansie e nevrosi, e nel monastero medievale con pergamena penna e calamaio, ove cicli mostruosi vengono rinnovati solo alla scadenza naturale. Funziona da buon diversivo su un binario narrativo che attraversa clichè e lande già viste da una disimpegnata attenzione del lettore.
“Orgoglio e pregiudizio e zombie”(da non perdere?)