ROSI, BETTY, NATALIA

Natalia Aspesi, su Repubblica di oggi.
Forse non è del tutto un’asinata quel che ha detto piangendo la Rosi Mauro: che il dileggio e la scopa e l’imposizione a dimettersi da un incarico (quello di vicepresidente del Senato, che in un paese normale mai avrebbe dovuto ricoprire), e addirittura l’espulsione dal movimento, sono stati così violenti e definitivi perché lei è donna. In verità se ne erano già viste di tutti i colori, in Parlamento e al Governo, e in questi giorni nella Lega, ma al massimo a pretendere le dimissioni, le espulsioni, di qualche maschio corrotto o corruttore, erano stati gli avversari politici, non ottenendole poi mai o quasi mai.
Contro l’ingombrante e certo non simpatica né preparata signora, che come altri suoi colleghi leghisti vantava la virtù politica di essere un asino, si sono scagliati soprattutto i suoi compagni di movimento, più che contro gli altri perniciosi trafficoni ambosessi (non espulsi, tranne il Belsito che certo ne ha fatte peggio), implicati nelle stesse avventure cialtrone e ladrone. Gira e rigira, soprattutto tra i buoni padri di famiglia delle valli padane, ancora oggi le donne soprattutto se senza un marito che conta, non possono essere che puttane, e naturalmente streghe da mandare al rogo.
E ancora, sulla ristampa di Mistica della Femminilità di Betty Friedan

Poi all’improvviso piombò anche sulle italiane questa idea torva e inquietante che la femminilità esemplare e totale, fatta di sottomissione e inferiorità, massima e forse unica virtù anni ’50 cui aspiravano, già inconsapevolmente innervosite, le ragazze di allora, non era che una gran fregatura, una punizione immeritata, un’invenzione innaturale, una prigione odiosa, in cui si sarebbero spente, perse, annullate. Era un’idea certo malvagia ma in qualche modo misteriosamente attraente, soprattutto perché veniva dall’America, il grande paese lontano che aveva vinto la guerra da noi persa, e che ci aveva subito conquistato con aiuti materiali e sogni, quali le sue cucine (appunto all’americana) e gli enormi frigoriferi che davano anche alla nostra dissestata casalinghità un’attesa di futura eleganza. All’inizio degli anni ’60, le italiane meno avvedute erano ancora intrise di ammirazione per quelle vite leggiadre che da noi venivano raccontate negli entusiasmanti romanzi di Liala, e che invadevano i film americani, in cui signore mai troppo belle (tipo June Allyson) dalla ferrea pettinatura, coi guantoni in tinta con il pavimento, estraevano dal forno enormi tacchini, il grembiulino inamidato sulla gonna a corolla, e i piccini! Massimo due, birichini ma simpatici: e poi Lui che tornava col cappello in testa e la borsa da manager in mano, e lei gli andava incontro beata porgendogli un martini (con oliva). Curiosa novità, gli sposi eternamente felici dormivano non in uno ma in due lettini gemelli, lussuosamente trapuntati, ognuno il suo!
Alla ferale notizia che tutto quel paradiso esotico della casalinga di lusso, era in realtà un inferno, (cosa che le inquiete già sospettavano) le italiane ci rimasero malissimo, soprattutto pensando a quanta naturale ipocrisia si era impegnata per simulare quella maledetta femminilità codificata senza chiedere il loro parere, e senza la quale non si era né donne né umane; quante volte non si era riso, spudoratamente finte ingenue, quando i ragazzi raccontavano barzellette, o non si era osato intervenire nei loro discorsi per non sentirsi dare della saccente, o si erano lasciati a casa gli occhiali rinunciando a vederci perché, come dicevano le provvide mamme allenate più di noi alla costante menzogna, se no pensano che leggi, e non è femminile. Accadde nel 1964, quando Le Edizioni di Comunità pubblicarono La mistica della femminilità (ripubblicato adesso da Castelvecchi con in più l’ultima introduzione dell’autrice) uscito l’anno prima negli Stati Uniti (l’anno in cui se ne era andata Marilyn Monroe, simbolo crudele della bellissima donna-giocattolo) con immenso clamore e gloria immediata per la sua autrice, Betty Friedan; dunque era vero, sbattersi e arrancare al solo scopo di diventare una signora sposata con chicchessia purché maschio possibilmente benestante, ed entrare nel ruolo di perfetta massaia, era un progetto patibolare: persino laggiù, negli USA dove si diceva che le donne fossero molto emancipate. Avremmo dovuto saperlo, anzi lo sapevamo già, ma si era tentato di far finta di niente.
Anche se era già successo un ristretto, aristocratico finimondo nel 1961, quando finalmente era stato tradotto in italiano Il secondo sesso, il saggio sconvolgente di una signora, mitica in Francia, e da noi temuta per l’invereconda vita erotica e appena tollerata, a dispetto del suo eterno turbante, in quanto compagna del venerato filosofo Jean-Paul Sartre. Il ponderoso, coltissimo studio, che sprofondava nel pozzo inesauribile e sconosciuto dell’invenzione della donna e delle sue ignorate pulsioni sessuali, era stato pubblicato da Gallimard nel 1949, scandalizzando maschi intellettuali francesi e mandando in bestia critici maschi mondiali, rifiutato da molti librai, infine messo all’Indice dal Vaticano nel 1956. Ne aveva acquistato i diritti Arnoldo Mondadori, che lo aveva anche fatto tradurre, ma era una bomba che andava disinnescata e il modo più semplice fu lasciarlo lì, a impolverarsi, e dimenticarlo. Non lo dimenticò il figlio Alberto, che fondando una sua casa editrice, Il Saggiatore, lo pubblicò 12 anni dopo, (ed è stato ripubblicato più volte, l’ultima nel centenario della nascita dell’autrice, con prefazione di Julia Kristeva e postfazione di Liliana Rampello). In lingua originale, era già stato letto da quelle italiane colte, impegnate politicamente nei partiti (PCI, PSI, DC) e nelle organizzazioni femminili di massa, per le quali era ancora difficile pensare a uno scontro di genere quando si era in piena lotta di classe, fuse con gli ideali degli uomini al punto da non sentirsi secondarie e di non vedere per sé oltre una sia pur faticata emancipazione. La mistica della femminilità si adagiò da noi nell’anno del VII Congresso nazionale dell’UDI, l’Unione Donne Italiane che avevano cominciato a porre con determinazione “la questione femminile” e il saggio americano fu subito accusato di ignorare le donne lavoratrici, le proletarie, le nere: perché infatti reclamava la liberazione di una sola classe, quella della donna borghese, apparentemente emancipata, in una società ricca o comunque benestante, ancorata al matrimonio, alla casa, alla maternità, alla dipendenza economica, al predominio sessuale degli uomini. Questa limitazione, questa separazione tra donne, è il fulcro di The Help un romanzo di Kathryn Stockett che è diventato un film di Tate Taylor, arrivati anche da noi, che racconta nell’America ancora segregazionista del 1963 (appunto l’anno della pubblicazione di The feminine mystique, ma anche dell’assassinio di John Kennedy, del movimento peri diritti civili, delle marce di Martin Luther King e dei linciaggi) di un gruppo di giovani signore di Jackson, nel Mississipi, impegnate a non far nulla, circondate da cameriere di colore trattate come schiave. In Europa Betty Friedan si rivelò meno ostica, meno impegnata, meno pericolosa, meno temuta della de Beauvoir, così il suo saggio si diffuse anche tra le donne lontane dall’impegno politico, ma comunque scontente e logorate da ciò che era sembrata la meta più ambita, e che si rivelava molto deludente; non per niente i romanzi per signore e i racconti nelle riviste femminili di quegli anni finivano con le nozze, e quel che succedeva dopo veniva del tutto ignorato. Quando la saggista americana arrivò a Milano per una molto attesa conferenza, noi eravamo già più scaltre: adoranti, certo, ma in molte con un lavoro che consentiva di saggiare il mondo e noi stesse e di abbandonare per ore le case al loro disordine. Malgrado le defezioni alla femminilità codificata, ci si sentiva donne, se non proprio persone, dato che le leggi non ci avevano ancora concesso la parità neppure in famiglia.
Certo la conferenza era sommamente entusiasmante, andava però per le lunghe, e a un certo punto, dopo alcuni silenziosi sgattaiolii, la maggior parte del pubblico femminile si alzò come un sol uomo. Si era già in ritardo per preparare la cena!

18 pensieri su “ROSI, BETTY, NATALIA

  1. “per le quali era ancora difficile pensare a uno scontro di genere quando si era in piena lotta di classe”.
    Io spesso mi faccio delle domande:
    Per superare la “questione femminile” è necessario prima eliminare le classi? Le due cose possono essere perseguite contemporaneamente? Da dove deve “partire” la necessaria rivoluzione?

  2. Daccordissimo su Rosy Mauro, vergognosamente sacrificata per salvare il Trota, forse perchè oltre che donna “terrona” (da questi puoi aspettarti di tutto).
    Sulle autrici che cita la Aspesi mantengo le perplessità che ho nei conftonti di tutto le espressioni – anche giustamente – reattive, in cui il risentimento inevitabilmente ha la meglio sul progetto. In politica non mi basta l’essere “anti” o il rivendicare più spazio per un soggetto negletto. Occorre un progetto complessivo e alternativo di società. E, per rispondere a Valberici, la società senza classi dove ha tentato di realizzarsi non è che si sia scrollata di dosso il logocentrismo patriarcale. Probabilmente perchè non era una rivoluzione abbastanza profonda, che intaccasse l’ordine simbolico. Mi piacerebbe vedere un progetto politico ispirato alle idee di Luce Irigary, per dire.

  3. Valter: si, sono d’accordo, infatti mi interrogo sul necessario e non sul sufficiente. Durante il feudalesimo non è che le donne stessero meglio rispetto all’ attuale capitalismo. 😉

  4. Inutile dire che sono d’accordo su quanto espresso nell’articolo della Aspesi, se non che e’ un filino limitativo, in quanto essenzialmente anti-Lega.
    E’ pur vero che le cacciate dall’interno sono rare se non nulle in ogni partito italiano, e’ pur vero che nella fattispecie della Lega si puo’ dire tutto il peggio possibile ed e’ ancora poco, ma non dimentichiamo la determinazione con cui si sono scagliati contro la Mauro per “indegnita’ ” alla carica (parola raramente scomodata dall’opposizione) vari partiti, tra cui soprattutto i centristi. Da cui le solite considerazioni sull’idea cattolica della donna.
    E non dimentichiamo, lo ripeto, la petizione prontamente avviata da Popolo Viola e Articolo 21, con 5000 firme pro-dimissioni, indirizzata al presidente Schifani. Non si coglie un filino di contraddizione in questo?
    Tutto questo per ribadire che i colleghi di partito dell’espulsa saranno senz’altro i piu’ beceri, ma una certa forma mentis e’ diffusa anche altrove.

  5. la parabola discendente di Rosi Mauro è, a mio avviso, esemplificativa di quanto sia nefasta una politica al femminile che non si preoccupa di smantellare quei meccanismi di potere prodotti da categorie quali il genere. Genere, razza, classe: costruzioni sociali volte a costruire gerarchie sociali basate sulla discriminazione. Rosi Mauro, ben lungi dal prenderne le distanze, ha costruito la sua carriera sfruttando soprattutto una di queste categorie, la razza. Per chi non le conoscesse, sono disponibili su youtube molte delle sue arringhe tese a ottenere il consenso alimentando la paura degli immigrati, arringhe tanto più accese quanto più la Nostra, forse inconsapevolmente, cercava di esorcizzare la paura che le derivava dal fatto di appartenere ad un’altra categoria affine, il genere (ma anche la razza, non essendo lei di razza padana doc). Per cui, per rispondere a Valberici, credo che classe e genere, insieme alla razza, vadano smantellate insieme, non c’è una che precede l’altra in ordine di importanza, sono sullo stesso piano.
    La parabola di Rosi Mauro si lega, a mio avviso, al post che precede questo e dimostra che la candidatura di una donna senza se e senza ma, incondizionatamente, solo perché donna, per esigenze di rappresentanza fini a se stesse, non serve a nulla. Anzi, è pericolosa, perché prepara il terreno al ripresentarsi di una mistica della femminilità e alla retorica del perbenismo, che sono poi a loro volta funzionali a sponsorizzare quelle forme di autoritarismo, esercitato anche dalle donne, che ben conoscono i NoTav di Val Susa e non.
    Allora, quando parliamo di quote rosa, di equilibrio nella rappresentanza svuotato da ogni contenuto, “a prescindere”, pensiamoci bene: anche Rosi è una donna. Che ci siano tutti suoi cloni al Senato è, di per sé, garanzia di una visione del mondo nel nostro paese?

  6. Comunque grazie per gli ultimi post, che, infilati uno dopo l’altro, consentono di intrecciare e sviluppare una continuum di riflessioni che dimostrano come il genere, il potere, la politica siano saldamente legati l’uno all’altro. Al di là del fatto che le riflessioni possano concordare o meno, l’importante è che ci sia occasione e spazio per lo meno di ragionarci sopra perché urge un cambiamento.
    Grazie, davvero.

  7. Vincenzo, non si giustificano le disonestà commesse da Rosy Mauro. Si dice che nel volerla demolire si usano anche volentieri argomenti che non c’entrano e che non sarebbero usati allo stesso modo contro un uomo (es. che è brutta, che ha un ganzo più giovane ecc.). Se uno scuro di pelle ti taglia la strada in macchina, è la stessa cosa dirgli brutto stronzo impara a guidare, o negro di merda tornatene nella foresta a mangiar banane? Io se sento uno dire nel secondo modo penso che è razzista, con questo non giustifico chi ha tagliato la strada perchè poverino è nero. Voglio che uno sia chiamato a rispondere solo per quel che fa, allo stesso modo se bianco o nero, uomo o donna.

  8. No, Francesca, tu a mio parere commetti due distinti errori.
    Il primo è citare espressioni che, convengo con te, non si dovrebbero mai usare senza dire a chi sono attrribuibili, e così trasformandole al bieco maschilismo, la famosa notte nera in cui tutti i gatti sono neri. Non sta bene fare operazioni di questo genere, la responsabilità è, deve essere strettamente individuale, sennò sì che si fa la caccia alle streghe, seppure in questo caso di sesso maschile.
    Il secondo errore è di natura logica, e consiste nel trasformare le responsabilità di chi ha espulso Rosi Mauro in crediti verso di lei. Più Maroni si è comportato male, meglio si è comportata la Mauro.
    Eh no, chi ha detto che tutto debba essere a colpe invariate? Perchè mai attribuire una colpa in più al vertice della Lega dovrebbe costituire un’attenuante per la Mauro?
    A me pare che abbiamo le capacità logiche per considerare separatamente le responsabilità individuali, rifiutiamo di semplificare in omaggio a quella che nel mio post chiamavo “logica binaria” che ha effetti negativi sulla nostra capacità di giudicare questi fatti.

  9. @Vincenzo Cucinotta
    “trasformare le responsabilità di chi ha espulso Rosi Mauro in crediti verso di lei. Più Maroni si è comportato male, meglio si è comportata la Mauro.”
    Non c’è traccia nel post di questa operazione, anzi la Aspesi definisce la Mauro “l’ingombrante e certo non simpatica né preparata signora, che come altri suoi colleghi leghisti vantava la virtù politica di essere un asino”. Le presunte attenuanti per la Mauro sono sue arbirtrarie conclusioni. Le presenti come tali, almeno.

  10. Ma guardi Antonella, se lei mi avesse letto con maggiore attenzione, avrebbe dovuto verificare che da nessuna parte dico qualcosa specificamente sulla Aspesi.
    Rimettiamo un po’ d’ordine, sennò non ci capiamo.
    Se si fa un post dicendo che la Mauro è stata colpita come donna, sono io che capisco male oppure ho ragione a ritenere che si tenti di costruire una forma di solidarietà di genere attorno a lei?
    Se il fine fosse stato soltanto quello di accusare i dirigenti leghisti di certi comportamenti, ciò con tutta evidenza non avrebbe dovuto implicare la messa in opera di una forma di sostegno per la Mauro.
    Così, anche se il mio commento è sorto sulla base anche di altre cose lette in rete (sul mio blog ho scritto prima di leggere questo post), mi pare che sia corretto dire che il collegamento tra questi due fatti porti alla conseguenza di una specie di travaso in obbedienza al principio dei vasi comunicanti. Tra l’altro, mi era invece sembrato che proprio rispetto a lei, non fossimo così’ distanti nelle nostre opinioni: davvero non capisco il suo intervento così sopra le righe.

  11. Vincenzo – c’è un problema qui di priorità. La questione è che quando si decide che è in atto una discriminazione, e si dedica un blog e una serie di discussioni alla fenomenologia di quella discriminazione, è cosa ovvia mettere i comportamenti che la denunciano come primi in agenda. Non è una priorità assoluta, ma è una priorità relativa a un certo vertice di osservazione, che certo si sceglie perchè si sente più urgente. Quindi qui, in corrispondenza della prospettiva scelta, si parla del caso Mauro in quella prospettiva, esplicitando di condannarne i comportamenti, ma constatando come operi nel suo caso la politica di genere. In sostanza la sua è una forma di benaltrismo. Mi perdoni – la iattura di questo paese: dove non si riesce a stare mai cinque minuti su un tema e una direzione e si deve sempre scappare nella prospettiva opposta. Così non si combina mai niente. E quanno c’è er giorno daa memoria bisogna pensà agli zingari, e quanno ce so gli zingari ai senza casa italiani, e quando so i senza casa italiani e quelli però che lavorano in nero? La paura della serietà di uno sguardo, di prendere sul serio quello che viene detto. Qui non si parla di Mauro di cui un tutta onestà me ne frega proprio pochino. E mi sa tanto che non mi sbaglio, frega pochino a buona parte del commentarium. Qui si parla delle donne italiane, quando fanno politica e quando non la fanno. La solidarietà di genere è strumentale. Ma probabilmente a quale problema e per quale serietà lei non lo vede. Legittimo, ma la questione allora è un’altra.

  12. “Se si fa un post dicendo che la Mauro è stata colpita come donna, sono io che capisco male oppure ho ragione a ritenere che si tenti di costruire una forma di solidarietà di genere attorno a lei?”
    Opterei per la prima che ha detto.
    Non c’è nessuna forma di sostegno per la Mauro, è lei che la ipotizza, seguendo proprio quella logica del pensiero binario che depreca e che rimprovera ad altri. Per cui, secondo le sue conclusioni: pronunciarsi contro la stigmatizzazione della Mauro=difenderla. E si spinge anche oltre:”Più Maroni si è comportato male, meglio si è comportata la Mauro.” Questo è il pensiero binario ed è lei che in questa sede lo ha adoperato, non c’è traccia di dualismi di sorta né nel post, né in alcun altro intervento (Maroni lo ha citato solo lei, tra l’altro).
    Non sostengo la rappresentanza di genere incondizionata e la Mauro non mi è mai piaciuta sotto il profilo politico, ma trovo incivile e sessista che le si dia della badante (con evidente disprezzo anche per chi di quel mestiere vive con fatica), della puttana, del cesso costretta a pagare per farsi una scopata, della tardona che si paga il gigolò più giovane. E rimarco che le ultime due offese non sono mai state rivolte con tanta riprovazione e scherno a un anziano di 74 anni accusato di pagare lauti compensi a giovani poco meno e poco più che minorenni perché allietassero le serate sue e dei suoi altrettanto attempati amici. O paga o è pagata, o è più giovane o è più vecchia, gira che ti rigira, la puttana è sempre donna. La denuncia di questa logica sessista non c’entra nulla con la difesa di Mauro e l’accusa in più a Maroni. Le è più chiaro adesso?

  13. @Zauberei
    E’ strano come lei finisca per attribuire ai suoi intelocutori i suoi propri comportamenti.
    Riassumiamo anche con lei perchè pare che lei si sia persa una puntata della serie e così si crea una sorta di sfasamento con le persone con cui parla.
    I fatti sono che una specie di tsunami si è scatenato sulla Lega, con le dimissioni di un capo che era quasi un padrone, con il che si concretizza un piano di successione al vertice.
    Bene, qui si parla di quei fatti, mica di altri, e di che cosa vi occupate?
    Bene, vi occupate della Rosi Mauro, uno dei casi peggiori in assoluto di personaggi politici che, come tanti di noi si auguravano, è caduta.
    Ma voi invece ve ne occupate perchè verificate una discriminazione di genere nei suoi confronti. Allora, mi scusi, ma il benaltrismo è mio o è suo? I fatti quelli sono, ed hanno un forte impatto politico, ma lei e forse altre persone qui vedete che c’è ben altro, ci sarebbe un caso di clamorosa discriminazione sessuale.
    Ma no, secondo lei, sono io il benaltrista, e perchè sarei io?
    Ma perchè io vengo qui, che lei identifica con la sua casa, la sua personale dimora, e tento di spostare la discussione lì dove dove andrebbe spostata, almeno nella mia opinione.
    Bene, se questo blog è concepito come un circolo privato, allora basta prevedere che l’ingresso sia riservato, così voi potete parlare del mondo intero con un atteggiamento ultraideologico da un punto di vista particolare.
    Se invece questo è un luogo pubblico, e così sono tenuto a credere fino a prova contraria, allora succede che io voglia sostenere, guarda un po’, il mio punto di vista, che poi significa dire che questa chiave di lettura della discriminazione di genere in questo caso non regge proprio. In ogni caso, come dicevo già prima, non ha senso alcuno prendere un’affermazione fatta da uno specifico maschio ed attribuirlo a tutto il genere maschile.
    Comunque, se i miei interventi non sono graditi, basta che il proprietario del blog me lo faccia sapere e tolgo il disturbo, ma per favore, non prendete per benaltrismo il fatto di non volere indossare le lenti della sua personale chiave di lettura, questo dalle mie parti si considera piuttosto un atteggiamento di intolleranza.

  14. @Antonella
    Guardi, è meglio lasciar perdere.
    La mia impressiione è che lei, forse per distrazione, forse per vis polemica, neanche capisca cosa dico.
    Io riferivo ciò che appare da certe cose scritte sul web, non erano parole mie, ma ciò che attribuivo agli altri.
    Ora, non vorrei che finissimo come nelle barzellette, dove si finsice anche per confondere la prima con la seconda persona , l’io con il tu, a questo non pensavo di dovere giungere. La verità è che lei non ha alcuna voglia di dialogare, almeno con me, vuole solo prevalere, e questa prevalenza gliela concedo con grande piacere, le cose che dovevo dire, le ho dette e chi ha orecchie per intendere intenda, verso chi non ha questo atteggimento di apertura mentale, non ho intenzione alcuna di sprecare energie.

  15. Ma, veramente, il titolo del post è Rosi, Betty, Natalia. Almeno io, che non sono la padrona di casa, leggendolo tutto non ho capito che il topic fosse la caduta della Mauro e lo tsunami che si è scatenato sulla Lega, cioè, non propriamente quello. La connessa mistica della femminilità raccontata da Natalia Aspesi dove la mettiamo, la saltiamo? Eppure 3/4 del post parla di quello, mica di Maroni.

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