Piccola pausa, fatta di letture e di navigazione: ieri sera, su Facebook, ho appreso di una vicenda di certo piccola, altrettamento certamente sconcertante.
Avviene che una scrittrice cerchi un editore per i suoi racconti. Fin qui siamo nella normalità. Premetto che con questa scrittrice, che si occupa anche di uffici stampa, ho avuto solo qualche fuggevole contatto via mail: non la conosco, non so se i suoi racconti siano o meno adatti alla pubblicazione, non so se scriva cose interessanti o trascurabili.
Non è questo il punto.
Alla scrittrice viene proposto un contratto di pubblicazione da una casa editrice che si potrebbe definire medio-piccola. A condizione “che lei prepari la piazza su Roma”. Riporto le parole dell’editore stesso così come sono state lasciate nei commenti all’accesissima discussione che si è svolta su Facebook.
“Lavorare su Roma, su Milano, su dovunque abiti un nostro autore, è una cosa che chiediamo a tutti. Abbiamo bisogno di poter contare sui nostri autori anche per la promozione, perché abbiamo forze ridotte. Funziona come una “banca del tempo”, io ne dedico tanto a te e al tuo libro, alla sua revisione accurata eccetera, e tu ci dai una mano sulla comunicazione. È così folle? Chiaro poi che se l’autore non c’è, pensa solo al suo libro e si fa gli affari suoi, vuol prendere un passaggio e via, l’editore si fa una domanda e si dà una risposta”.
Questo è inquietante. Un editore ha tutto il diritto di non pubblicare un testo (infatti, i racconti della scrittrice non verranno pubblicati), ma il rifiuto va legato alla qualità del testo stesso e non alla disponibilità dell’autore di farsi ufficio stampa, o promoter, o esperto di comunicazione, sia pure del proprio libro.
Più avanti, lo stesso editore precisa:
“come abbiamo spiegato altrove, la pubblicazione dell’opera era condizionata alla presenza dell’autore. Naturalmente non vale per tutti gli autori, ma specie per i più giovani e gli emergenti, che sono degli sconosciuti, non poter contare sulla disponibilità dell’autore a battersi per la promozione del suo libro ALMENO nella propria città di residenza rende le cose un po’ difficili”.
Qui lo sconcerto aumenta. L’emergente, qualora desiderasse pubblicare con Transeuropa (di questo editore si parla infatti: anche se, come da precisazioni successive, esclusivamente in rapporto ad una specifica collana), deve essere disponibile ad autopromuovere il proprio libro? Forse c’è qualcosa che mi sfugge nelle dinamiche attuali. Perchè è evidente che accompagnare un testo è pratica importante, è occasione irripetibile di condivisione e comunicazione. Ma non è un obbligo. L’unico obbligo di un autore è scrivere. Il resto spetta all’editore. Anche trovare, come nel caso della collana in questione, il gruppo musicale destinato ad accompagnare il testo.
Ho trovato queste informazioni in una bella, lucida nota di Seia Montanelli, che mi auguro sia leggibile anche da chi non è iscritto a Facebook.
Non intendo in alcun modo fare un atto di accusa: semplicemente, sto cercando di capire come stiano mutando i rapporti fra autori e piccoli-medi editori. Sempre considerando lo sfondo, di cui si è già parlato: il numero delle novità pubblicate è altissimo, il ciclo vitale di un libro è sotto i trenta giorni.
Chiedo venia, ma trovo almeno curioso che digitando il tasto f tenendo premuto il tasto control (cioè facendo la banalissima ricerca di un termine) e digitando la parola “ebook”, in questa pagina le occorrenze siano 19 delle quali nessuna relativa al libro elettronico e tutte invece in quanto parte della parola facebook. Cioè il libro elettronico non è stato proprio nominato.
La coincidenza però non è di poco conto, trattando il thread (anche) di poesia (38 occorrenze, al momento, quasi tutte lamentose) e suo mercato (o sua privazione).
La poesia è certamente un ambito editoriale di nicchia.
Se il web sa fare davvero bene una cosa è aggregare le nicchie, e facebook su questo semplice concetto ha costruito un impero. Per dire.
Al prezzo di apparire blasfemo accostando l’ambito poetico a quello elettronico oso affermare che se io fossi un buon poeta (buon poeta) prenderei in seria considerazione la plausibilità di abbozzare qualche salto di gioia.
Mi spiego.
Spero che la padrona di casa non se ne abbia a male se faccio copia/incolla dal mio blog per riportare alcune parole vergate sull’Huffington Post qualche giorno fa da uno scrittore di genere americano che si chiama JA Konrath. La traduzione è mia, quindi di nuovo chiedo venia:
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Sull’ottimo Huffington Post c’è un articolo che si intitola Gli ebook e la facilità di autopubblicarsi a firma di un certo JA Konrath.
Il quale col nome d’arte di Jack Kilborn e insieme ad altri tre scrittori (Blake Crouch, Jeff Strand e F. Paul Wilson) ha auto-pubblicato in edizione Kindle un ebook intitolato Draculas. Ecco un estratto da HP:
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“[…]Dal momento che è fondamentale comportarsi con professionalità abbiamo ingaggiato un grafico per la copertina del libro e un esperto di formattazione per ebook. Un editore che si fosse occupato di questo tipo di servizi avrebbe trattenuto per se il 52.5% del prezzo di copertina dell’ebook e al rivenditore sarebbe spettato un altro 30% secondo il modello agenzia. Il che lascia solo il 17.5% all’autore. Facendoci carico direttamente di questi costi non recuperabili ci siamo messi nella condizione di poter prendere la totalità del 70% delle royalties senza dividere niente con nessuno. Poiché ci stiamo dividendo i profitti in quattro parti, ognuno di noi sta guadagnando una cifra per copia (51 centesimi di dollaro) che è di poco inferiore a quella che gli sarebbe spettata per la vendita di un normale libro cartaceo essendone l’unico autore (64 centesimi di dollaro) ma chiedendo ai nostri lettori una spesa di soli $2.99.[…]”
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Per esempio.
Ok: in Italia siamo meno che acerbi su questo fronte.
Tuttavia, in prospettiva e sotto numerosissimi profili trovo la faccenda molto molto incoraggiante.
Quando lunga potrà essere questa prospettiva dipende esclusivamente da noi lettori (di Ottonieri o di De Cataldo), noi scrittori, insomma noi.
@Sgaggio, ti ha già risposto Malesi, con cui per una volta mi trovo pienamente concorde, ma comunque dov’era nelle mie parole l’affermazione contraria a ciò che ”credevi” tu? Ho detto che l’editore preseleziona non che impone o decide al posto del giornalista o del critico. Il mio editore ha pensato, a ragione o a torto, di condurre il cosiddetto ”lancio” mirando prevalentemente ai femminili per così dire ”colti”, ovvero allegati ai principali quotidiani nazionali (non Grazia o Donna moderna, per dire, ma Io Donna e D). Poi non era affatto detto che alle testate preselezionate il mio libro dovesse piacere. Così è stato e ovviamente ne sono contenta, anche perché nei due casi ho avuto modo di conoscere, attraverso le interviste, due giornaliste culturali molto capaci e competenti: ma che lo si creda o no, per me se non fosse stato recensito affatto e se invece, come sta accadendo, il consenso attorno ad esso si fosse creato solo attraverso il passaparola fra gli ”addetti ai lavori”, da un certo punto di vista sarebbe stato anche meglio. Non mi chiamo Umberto Eco, non mi aspetto e non voglio il largo consenso della massa indistinta degli acquirenti: la mia aspettativa (pretesa?) è di entrare in un discorso culturale attraverso la riflessione attorno a certi temi, nelle forme in cui via via questi prendano corpo nella scrittura. E però, ritornando sulla questione che ponevo in relazione al contenuto specifico del post di Loredana, proprio perché (e se) un autore crede nella propria scrittura, forse l’impulso a vederne riconosciuto il valore anche attraverso i pubblici tributi prevale a un certo punto naturalmente sulla ritrosia (donde la mia condivisione della riserva di Milani: ”perché avremmo dovuto credere noi in un libro in cui la stessa autrice non mostrava di voler investire energie?”): insomma, io per prima, da critico, mi sorprendo dell’ansia degli autori di vedersi recensiti, ma è pur vero che non vedere il proprio libro adeguatamente valorizzato, sulla stampa o in libreria, può dispiacere, e a questo si va incontro più facilmente quando non si sia pubblicati dai grossi editori, i quali possono consentirsi campagne promozionali indifferenziate, e non hanno bisogno della ”preselezione” delle testate che creino attenzione e consensi.
Approvo il discorso di Sir Robin, anche se non è perfettamente “in topic”.
Credo – spero – che una quota del futuro del libro sia nel digitale, che dà la possibilità di abbattere i costi di distribuzione (oggi esosi).
Il ruolo degli editori dovrà necessariamente cambiare di pari passo.
È un futuro a cui guardo con un certo ottimismo.
Isabella è proprio sfortunata, non è il primo editore che incontra sulla sua strada e non la pubblica:
http://www.nazioneindiana.com/2008/08/01/per-non-lasciare-le-penne/
Grazie a Davide e a Gilda per la risposta.
Non ho detto che ci fosse alcunché di scandaloso, né che non abbia senso porsi il problema della congruità fra libro e testata a cui proporlo per ottenerne una recensione (in qualche caso mi sembra che questo problema della congruità venga risolto in modo singolare; ma non sto parlando del libro di Gilda).
Grazie a dio, non ho fatto alcun riferimento, Davide, al possibile mercimonio di recensioni positive. Immagino che esista, sì; come immagino che esista un sacco di altre cose; ma non l’ho scritto.
Quel che diceva Gilda – che il suo libro è stato recensito non «ovunque», come qualcuno con un’iperbole sibillina aveva scritto, ma su alcune «sedi preselezionate dall’editore» – mi aveva fatto pensare all’esistenza di un automatismo. Io ti preseleziono, tu recensisci; se in modo positivo o negativo, io in questo non ero entrata.
@Sir Robin, sinceramente quando acquisto un libro di poesia mi aspetto una cura del prodotto, sia grafica che di materiali, che l’ebook non può darmi. Il libro di poesia lo vedo come un prodotto per bibliofili, e mi aspetto, di conseguenza, che sia anche un bell’oggetto. Recentemente ho acquistato, per regalarli, due libri di poesia (“Cori niuru spacca cielu” di Biagio Guerrera e “Dalle sponde del mare bianco” di Moncef Ghachem – che contiene anche delle prose e un cd allegato). Nella scelta, ha influito anche la componente estetica: si tratta di libri, oltreché belli da leggere, anche da maneggiare ed esporre in libreria.
Ecco, sì, così la poesia, che già di suo non muove una copia, deve anche costare molto. Perchè non moltissimo allora ? Facciamo, che so, un milione di euro ? Così uno vende una copia e sta a posto tutta la vita.
Non si sa mai, può essere che Bill Gates o il nostro Premier Pacco Bomba siano appassionati della materia.
L.
@Luca, di edizioni di poesia molto costose, in commercio, ce ne sono (non da un milione di euro, però). In genere si tratta di edizioni molto curate che spesso abbinano, alle liriche, un corredo grafico sontuoso (litografie o altro).
Per fare un bel prodotto, comunque, non serve arrivare a certi estremi. I libri che ho comprato io avevano prezzi più che ragionevoli.
@Federica, il tema l’ho affrontato io perché il mercimonio di recensioni positive esiste (esiste perfino un nome convenzionale: si chiamano “marchette”). Spesso non è un mercimonio vero e proprio, ma assume gli aspetti di una cortesia amichevole. Intendiamoci, ciò non lo rende meno immorale.
@Davide, ma naturalmente.
Chi dice che l’elettronico debba sostituire il cartaceo? Al massimo può sperare di affiancarglisi. Tuttavia credo anche che sia tutta salute in più per le esangui casse del settore poesia (e non solo). Per esempio: io Biagio Guerrera non so chi sia, ma grazie alla tua segnalazione posso essere incuriosito (perché apprezzo le cose che scrivi nei commenti, per dire, o perché il dialetto del titolo mi richiama qualcosa). Posso andare sul blog dell’autore, sul sito del suo editore, su una piattaforma… E avere immediatamente una copia elettronica del suo libro. Se son rose fioriranno. Se mi piace davvero me ne procurerò una copia de luxe, o me ne ricorderò in occasione di un regalo etc.
Copia elettronica che per me dovrà avere un prezzo irrisorio, uno o due euro.
Altrimenti non compro nulla e tanti saluti.
Ma per il buon Biagio Guerrera potrebbe trattarsi, alla fine della fiera, di una buona quantità di soldi. Con cui comprare parecchie pagnotte di panem.
Ah, e senza muovere un dito 😉
@Sir Robin, più che d’accordo con te su questo punto.
Ecco perché l’e-book dovrebbe avere costi bassissimi, da “acquisto impulsivo” (un libro che in cartaceo costa 15-20 euro dovrebbe costarne, in e-book, non più di 2 o 3, e senza DRM). Naturalmente gli editori, da questo punto di vista, finora non ci sentono; anche perché ciò imporrebbe loro di conteggiare diversamente le royalties per gli autori rispetto al cartaceo.
@Loredana: appunto la smisurata richiesta di lavori gratuiti. di collaborazioni forzate o volute anche dall’autore, ovvero lo scrittore che vuole pubblicare non è di per sé un “collaborazionista” del sistema editoriale? Piccola editoria o massima come Mondadori pari sono, no? Senza scomodare Arbasino e la sua lettera, non proprio pertinente a questo post.
La “collaborazionista” Policastro si sarebbe accontentata, a suo dire, del passaparola, ma le recensioni su riviste legate ai quotidiani le hanno fatto conoscere persone decenti (credo parli di Giulia Calligaro), quindi sposta il suo metro di giudizio così netto. Insomma vi arrabattate come tutti.
@Claudia b.: per aggressività intendo il tuo commento finale, il dover puntualizzare. Ma posso dire “caporalato intellettuale” senza che me lo si rimproveri per la decima volta? Caporalato intellettuale, oh. A sproposito. Non ti manca di certo la vocazione pedagogica.
@Davide. E’ normale.
Non era però mia intenzione deviare dal topic della discussione per andare a parare sul giusto prezzo dell’ebook.
Sono intervenuto in questo senso perché mi è sembrato abbastanza indicativo, in un thread come questo, il fatto che si parlasse molto di face e poco di book, per dirla un po’ così.
Cioè: se davvero la mia preoccupazione è far arrivare le mie parole al prossimo, se ho veramente qualcosa da dire, oggi è davvero facile, quasi banale poterlo fare senza nessun costo. Poi sarà eventualmente il valore delle mie parole a farsi strada, in qualche modo.
Se al contrario la mia preoccupazione è avere la patente di scrittore perché pubblicato da Parnassus e poi mettere lo status su facebook, allora il discorso cambia.
Calm down. Non sto puntando il dito sulla scrittrice oggetto della discussione (che infatti alla fine, giustamente, ha preferito desistere), sto solo esplicitando il meccanismo che sta alla base della cosìdetta “vanity press”. Che può esprimersi con modalità più o meno accentuate che vanno dal pagarsi tutte le copie stampate portandosele in garage, alla variante “banca del tempo”.
Pura neolingua.
Opporsi a questo, a mio avviso, non vuole assolutamente dire non credere in quello che si è scritto, anzi tutto l’opposto.
Dedicato alle lapidatrice della domenica:
http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/scienza_e_tecnologia/ipocrisia/ipocrisia/ipocrisia.html
@Sir Robin, qui non ti seguo più. Nel senso che in Italia gli e-book, fino a prova contraria, rappresentano una fetta minuscola di mercato librario. Ciò fa sì che non siano propriamente il miglior sistema di “far arrivare le proprie parole al prossimo”. Possono essere un utile ausilio, ma non sostituiscono affatto il cartaceo.
@Davide, infatti lì non mi riferisco affatto agli ebook, ma in generale a internet.
Potenzialmente, of course, queste nostre brevi elucubrazioni sono in mondovisione.
Molto interessante il discorso di Sir Robin sugli ebook.
Meno, lo spam di Uno Chi e Storytelling, alias Giulio Milani (ah, gli IP, che traditori!), su questo thread. Che, tengo a ribadire, è un thread, e non l’asilo nido.
@Sir Robin, scrivi: “Potenzialmente, of course, queste nostre brevi elucubrazioni sono in mondovisione”. E’ vero (e, visto che dal Web traggo il pane quotidiano, non sarò certo io a disconoscerne l’utilità). Ma il Web è un media diverso dal libro, e non è il media più efficiente per la lettura di testi poetici e narrativi, specie di quelli lunghi. A ciò devi aggiungere che il segmento di pubblico che esso raggiunge è una piccola porzione del pubblico di lettori di libri (ahinoi, il digital divide). Oltretutto (il che, per chi voglia far su dei soldi pubblicando i propri testi, è peggio di tutto) è gratis (connettività a parte).
@Davide:
in Italia è così perché come al solito siamo un po’ indietro. Anch’io penso che gli ebook, soprattutto nella fase intermedia (di convivenza fra i due formati) potranno soltanto far bene a settori in crisi come poesia o saggistica. Certo, bisogna fare i conti con la perdita dell’oggetto libro, ma ad esempio, seguendo quanto già fa iTunes per la musica, potrebbe succedere che io mi compro un capitoletto del libro (magari spenso, che ne so, un euro), e se mi piace vado a ricercarmelo poi in libreria.
@Simone, tu spenderesti un euro per un capitolo? Un “promo” lungo un capitolo dovrebbe essere gratis (nel cartaceo si fa già così, quando si pubblica un estratto promozionale).
Personalmente, io non vedo un grande futuro per gli e-book nel campo della narrativa (o della poesia). In realtà coloro che leggono per diletto, in larga misura, amano proprio la fisicità del libro, che (finché esso si mantiene di dimensioni ragionevoli) rappresenta anche un dato di vantaggio pratico. Il tascabile te lo ficchi in saccoccia, entri in metrò, togli il segno, leggi dieci pagine, arrivi alla tua fermata, rimetti il segno, te lo rificchi in saccoccia, esci. Un e-book reader non è altrettanto pratico.
Il libro cartaceo – specie se tascabile – è già un supporto molto comodo e fruibile. E in genere, un supporto molto comodo e fruibile sparisce solo quando viene rimpiazzato da un supporto più comodo e più fruibile, che presenta tutti i vantaggi del supporto precedente e li accresce. Gli e-book reader non hanno questo privilegio, rispetto ai libri cartacei: presentano vantaggi, ma anche svantaggi.
Invece, l’e-book mi sembra molto utile in genere per tutti quei testi che sono “di consultazione”: gli annuari, i dizionari, le enciclopedie, la manualistica, etc.: testi che di rado si leggono integralmente, che in formato cartaceo sono spesso ingombranti e poco maneggevoli, e su cui avere funzioni avanzate di ricerca a disposizione mi sembra cosa buona e giusta.
@Davide:
Concordo sulla praticità, ma è ancora presto per capire dove potrà arrivare la tecnologia. Quanto ai capitoli: quella da me suggerita è solo una delle tante ipotesi. Indubbiamente con gli ebook il libro sarà destinato (immagino) a diventare a tutti gli effetti un ipertesto, un oggetto che il lettore può costruirsi da sé. I prezzi saranno abbattuti, anche se siamo in Italia, dove chissà perché l’iva è al 20 anziché al 4%. Forse c’è qualcosa che spaventa il mercato, non credi?
“Personalmente, io non vedo un grande futuro per gli e-book nel campo della narrativa”
Completamente OT: perché non avete provato un Kindle! Io da fanatica della pagina stampata sono diventata fanatica del Kindle, sto per partire una settimana in vacanza e non sapete che brivido poter mettere sul Kindle una decina di romanzi, tra cui tomi come l’Idiota, tra cui scegliere poi comodamente quale leggere o ri-leggere. (Vivo in Spagna). Provare per credere, la lettura è gradevole quanto sulla pagina stampata.
A proposito di “sconcerti”, mi sconcerta vedere che anche chi si occupa di libri ancora non sa cosa sia un ebook, anche una volta che l’argomento è uscito fuori. Mi pare che si confonda con un documento trasformato in pdf, quando quello non è un ebook. In digitale leggiamo da almeno 10 anni, prendiamo internet ad esempio, e continueremo a farlo con supporti diversi. Il libro, con buona pace dei feticisti, verrà sostituito nel mercato (perchè nella realtà è già accaduto, dove stiamo leggendo adesso?) dalla “lettura”.
Un ebook è qualcosa di diverso dal libro, permette di leggerlo sia verticalmente che orizzontalmente, permette di fare nuovi percorsi all’interno della lettura. E’ cosa altra al libro con narrazione piana. Anche se, a proposito di comodità, io Infinite jest lo leggerò quando e se uscirà in ebook, perché da portarsi dietro non è che sia poi così comodo. A me poi piace leggere 3 o 4 cose contemporaneamente, e portarsi tutti i libri dietro non è mai stata una comodità. Anche balzare dalla nota al suo riferimento in un nanosecondo mi pare una cosa utile, per quel tipo di libro. Magari aver avuto un ebook di “ada o dell’ardore”, invece che fare avanti e indietro fra tutte quelle frasi russe e francesi! Ma sta di fatto che bisogna cominciare a pensare allebook come a un nuovo modo di leggere e anche di scrivere, affiancato al libro. Poi si arriva a bomba, che è il problema del diritto d’autore. E non scrivo problema tanto per dire. E’ chiaro che siamo in un momento in cui le categorie “scrittore” ed “editore” stanno subendo una redifinizione. Il misunderstanding di questo topic ne è un sintomo. A mio parere, se l’editore mette le mani avanti e definisce chiaramente come intende rapportarsi al mercato (comprati duecento copie/fammi 2000 presentazioni/lo venderemo solo su internet) questo rientra nella nuova natura dell’editore stesso che cerca di andarsi a prendere i lettori – quei pochi rimasti in giro – uno ad uno, e dell’autore, che si scopre sempre più promoter di se stesso, e che potrebbe, addirittura, scoprire che non ha bisogno di un editore! Mi sorprende che ci si sconcerti di questa prassi e non della prassi soverchiante delle major, coi loro diritti d’autore surreali. (in una paese dove il 70 per cento della popolazione è semianalfabeta e un record di vendite è 5000 copie come dovrebbe sopravvivere uno scrivente che non vende 100.000 copie di ricette di cucina o barzellette?)
Io penso che un autore abbia il sacrosanto diritto di sopravvivere con le sue parole, sia esso poeta, narratore, giornalista o critico. La realtà è che questo non accade. Questo dovrebbe preoccuparci. Gli scrittori, a mio modesto avviso, dovrebbero chiedere, in blocco, almeno il 40 per cento sui libri di carta. Sul digitale non ne parliamo nemmeno, io a meno del 70 per cento non darei nulla. Ma occhio che le major queste cose le sanno, e si stanno già preparando il terreno per fregare gli accomodanti autori, offrendo contratti sulla falsariga del cartaceo che, per inciso, ritengo una mafia, col loro giochetto di anticipi e dati falsi sulle copie vendute. Mi meraviglia anche chi si soprende della richiesta di finanziamenti alla scrittura, in Francia queste cose le hanno sempre fatte. E mi viene da chiedere: ma invece, tutti quei milioni che vanno all’editoria (i giornali intendo) non potrebbero essere confluiti verso gli scrittori e la piccola editoria?
ho letto solo oggi, con sorpresa, l’abbrivio della discussione e i commenti che ne sono seguiti (quasi tutti…) e mi pare davvero imbarazzante che non ci sia un generale sconcerto rispetto alla faccenda evocata da montanelli-lipperini. non ci sia una condivisa scatola della vergogna dove chiudere questa faccenda.
il problema (uno dei problemi?) del mercato editoriale italiano è che gli scrittori stanno sempre davanti a quello che scrivono (cosa tra l’altro contraddittoria visto che scrivere e scomparire sono sinonimi). ciò implica, in particolare, che le grandi case editrici che hanno un accesso più semplificato ai mezzi di comunicazione di massa, possono mettere più facce davanti ai libri. e i mezzi di comunicazione di massa, dal canto loro, sono sempre davanti a qualsiasi (non seria, non sincera, non pensata) promozione porta a porta nella sua città d’origine (poi dunque meglio pubblicare un romano o un milanese che uno di locri o san benigno canavese?)
se proprio la media e la piccola editoria non si preoccupano di pensare strade alternativa a quella dell’autore che mette la faccia davanti al libro che ha scritto, non so davvero quale sia la via d’uscita rispetto al best-seller che asfalta un anno o due anni di uscite.
detto questo, sono d’accordo con piero sorrentino, un editore pubblica un libro perché è un libro nel quale crede (è vendibile, è il capolavoro del secolo, è divertente…). solo che se la vendibilità non solo è strettamente connessa all’autore, ma è addirittura discriminante per la pubblicazione dell’opera dell’autore, allora è finita.
facciamo i casting invece che leggere i libri.
e almeno godiamoci il glamour.
e questo.
buona discussione.
chi
@Davide: ma io credo molto nella forza di un contenuto. Se ci si prende la briga di scrivere, il presupposto dovrebbe essere quello di avere qualcosa da dire. Poi che sia carta, epaper, pixel o altro non dovrebbe fare differenza alcuna, per il contenuto. Il valore è (o dovrebbe essere) lì, se c’è.
Per fruirne a dovere ci si organizza opportunamente con i mezzi migliori che si hanno a disposizione.
@AnnaC., ho provato il Kindle (e non solo quello). Lo trovo scomodo rispetto ai libri, e peraltro troppo fragile.
@SirRobin, consentimi di essere prudente. Sono d’accordo che “se ci si prende la briga di scrivere, il presupposto dovrebbe essere quello di avere qualcosa da dire”. Ma il media conta, eccome. Per ragioni economiche, di gusto, di consumer experience, di metodologie di lettura. La differenza c’è. Altrimenti tutti i libri avrebbero lo stesso formato, non esisterebbero le versioni hardcover e paperback con prezzi diversi, etc.
@SimoneGhelli, scrivi: “Forse c’è qualcosa che spaventa il mercato”. Credo che ci sia soprattutto una spaventosa miopia della nostra classe politica, tutta. Ma è solo una mia opinione, fors’anche un po’ qualunquista.
Per inciso: su “Stilos” di settembre è comparso uno speciale sugli e-book, in cui si è discusso ampiamente delle possibili evoluzioni di questo media. A tal riguardo ho intervistato Bruce Sterling, che mi sembra aver detto cose molto sensate (non posso riportare l’intervista perché ne ho ceduti i diritti all’editore, ma a farla molto breve diciamo che Sterling si è mostrato assai prudente e ha manifestato dubbi simili ai miei sulla tecnologia degli e-book reader).
C’è in proposito un intervento di Barbara Gozzi
http://www.agoravox.it/Editoria-oltre-Isabella-Borghese-e.html
(se non capisco male – è un po’ dura decodificare – le indignazioni sono frutto di ignoranza. Vabbè)
Mi sembra molto importante il commento di Chi, alias Chiara Valerio, sulla promozione. Vorrei tornarci, la settimana prossima.
l’argomento è spinoso, tuttavia molto interessante ed è stato trattato su un altro blog, quello di Massimo Mantellini, qualche giorno fa. http://www.mantellini.it/?p=9639
In quella sede Alessandro Gilioli faceva emergere la contraddizione che un giornalista si trova a dover affrontare mediando fra tutte le sue convinzioni ed opinioni e, naturalmente, senza certezze: ministero talebano della censura o restituzione senza remore del tal-quale?
Il giornalista rende un servizio migliore censurando o mostrando?
ops ! 🙁
sorry, ho sbagliato a postare… questo mio ultimo commento è per il post intitolato “Free Press”
Non ho capito cosa voglia dire Barbara Gozzi, se non che quando c’era Pasolini erano altri tempi.
Scrivo dal forum di Avignone, dove non mi hanno invitato per parlare di etica e lipperatura (magari l’anno prossimo). Se Chi è Chiara Valerio lo deve dire lei. Allora le rispondo.
La Gozzi ha espresso dei dubbi su questa “inchiesta” giornalistica, anche altri lo hanno fatto. I punti oscuri sono molti, e mi riservo di discutere gli aspetti legali di questa vicenda.
Nel frattempo alcuni amici mi mandano questo: il link conduce dritto a una foto scattata in occasione della fiera del libro di Torino 2010, allo stand della :duepunti edizioni: ci trovate la Borghese, la Montanelli con suo marito Davide Malesi, e tutta la famiglia (Paglia Nardini). Giusto per conoscenza.
http://www.facebook.com/#!/photo.php?fbid=1442800708185&set=t.618323271&pid=31324892&id=1178107808
Milani, io non sono imparentato né con Ciro Paglia né con Stefania Nardini (quindi il termine “famiglia” mi pare inappropriato). Che esistano rapporti di simpatia e stima reciproca è, invece, cosa che sanno anche i sassi (che dipenda dal fatto che, avendo collaborato alle rubriche coordinate da Stefania, ella si è comportata con me sempre in modo dentologico?).
Né ho legami di parentela con gli amici di :duepunti, ai quali tuttavia mi lega un rapporto di stima che va avanti da anni.
Se però pensi che una foto del genere sia rappresentativa di qualche oscura cospirazione, mi spiace dirti che sei fuori strada. Anche perché alla Fiera del Libro mi sono fermato a chiacchierare con più di un editore: pensa, ho perfino sostato al tuo stand su invito di Demetrio Paolin, col quale mi sono intrattenuto in conversazione e che mi ha suggerito alcuni tuoi titoli da recensire. Ciò starebbe a significare, secondo te, che tra Demetrio Paolin e me esistono loschi e oscuri legami, e che simili legami io abbia – per estensione – con te? In effetti potrebbe darsi, visto che in tempi recenti ho perfino recensito un libro da te pubblicato, “La Comune 1831” di Riccardo De Gennaro, sul “Corriere Nazionale” nella pagina curata da Stefania Nardini. Dunque bisognerebbe concludere, per proprietà transitiva, che io, te e De Gennaro e la Nardini siamo tutti parenti?
Ti prego di non renderti ridicolo come stai facendo. Io mi trovavo a Torino per lavoro, dovendo incontrare diversi operatori del settore, intervistare alcuni autori, e perfino vedere degli amici. Ho visto le persone che dovevo e volevo vedere, e questo non è un mistero, tant’è che sono andato in giro con la mia faccia e non mi sono travestito da frate trappista. Sai com’è, essendo un professionista, mi accade di intrattenere delle relazioni professionali.
Solo che io, diversamente da altri operatori del settore, non chiedo a nessuno di lavorare gratis e mantengo i miei rapporti nell’ambito di precisi limiti deontologici. Se non hai mai provato finora, ti consiglio di seguire il mio esempio: ne guadagna la salute e non vengono travasi di bile.
bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Sono malizioso se aspetto il prossimo libro della Gozzi pubblicato da Transeuropa? Non credo.
salutI DA BRUXELLES;
E GIUSTO UN APPUNTO:
FABIO GENOVESI. CATOZZELLA SONO VENUTI AL TUMA QUANDO LO GESTIVO IO.
PER LA PRESENTAZIONE DI ANDREA CI HO PENSATO IO.
E ALLORA? tutti tuoi autori.
CARO MILANI, ATTACCARSI A DELLE FOTO CON QUESTO FARE MI FA ASSAI RIDERE… MI SEMBRA DI TROVARMI DAL PARRUCCHIERE CON La SIGNORa CHE Ha SCOPERTO IL FLIRT DELLa canalis e clooeey. peccato, invece che io ero da giuseppe di :duepuntiedizioni a prendere libri loro; e che tu invece sei qui… a fare gossip da due soldi. per il resto collaboro con stefania, e allora?, sono amica di seia, e allora? CONTINUA A STUPIRMI ANCHE DA QUESTO IL TUO MODO DI PROCEDERE.
ISA
torno a bruxelles é sicuramente più interessante.
a presto e ringrazio chiara valerio per l intervento.
scusate ma ho problemi con la tastiera francese
@Isabella Borghese: e sia, faccio gossip da due soldi.
Ora però succede che devo precisare il tuo appunto: Genovesi e Catozzella hanno pubblicato i loro romanzi d’esordio nell’autunno del 2008. Le presentazioni sono del 2009, e tu le hai organizzate a noi come le hai organizzate ad altri editori nell’ambito della gestione delle serate del Tuma, e dunque (immagino) pagata dal Tuma. Noi abbiamo parlato della tua raccolta di racconti tra marzo e aprile del 2010, periodo in cui è uscito Tarabbia, e in quella occasione ti sei offerta di presentarlo. Questa è l’unica presentazione che hai fatto per Transeuropa da aprile a ottobre di quest’anno. Dunque non so cosa volessi insinuare dicendo: «FABIO GENOVESI. CATOZZELLA SONO VENUTI AL TUMA QUANDO LO GESTIVO IO. PER LA PRESENTAZIONE DI ANDREA CI HO PENSATO IO.
E ALLORA? tutti tuoi autori.» Forse volevi dire che lavori gratis per noi dal 2009? Comunque le presentazioni sono fatti documentabili, e anche la foto che campeggia su fb è un documento.
Visto che mi si cita al post n.1, riportando l’arcinoto Link della discussione sul sito di Alessandra Galetta, voglio dire due cose. Nessuno ha voluto “punire” l’autrice in questione. Le copie alle librerie le hanno spedite i distributori e il volume ha avuto un lancio di 450 copie che per un esordiente non è male. Sono state spedite copie “omaggio” ai giornalisti e alla stessa loredana lipperini con DDT 129 del Luglio 2009. Nessuno, nemmeno quelli che avevano pubblicato su svariati blog incipit e capitoli, ha ritenuto di fare recensioni. L’autrice in questione vive in Olanda e più volte abbiamo cercato di organizzare presentazioni, ma senza riuscire a incastrare i periodi.
Non è mai stata richiesta, all’autrice la disponibilità a farsi da ufficio stampa, cosa che infatti non ha mai fatto.
Punto.
Non so se lo sapete ma Eumeswil, al 30 Dicembre cessa l’attività.
Dopo dieci anni di attività prendiamo atto del nostro fallimento.
Ripartiremo con un nuovo progetto fuori da tutta questa bagarre e logica al massacro. Hai 90 giorni di tempo quando pubblichi un libro. 60 sono i tempi della promozione editoriale. La nostra promozione editoriale, la SLeM di Roma, è fallita nell’Agosto 2009, proprio all’uscita dei romanzi in questione: non ci ha mai pagato una sola lira e altri editori come Duepunti, Derive e Mimesis erano con noi sulla barca. La PDE è stata costretta ad accollarsi questi editori rimasti senza promozione accettando di distribuirli controvoglia e senza uno straccio di strategia commerciale.
Non ci trovo nulla di male nel fatto che un editore chieda ai suoi autori di “prepararsi la piazza” anzi…
Non prendiamoci per il culo signori miei: a pubblicare solo capolavori e sperare che il mercato se ne accorga si fa la fine del povero formiggini di Modena. La situazione della piccola editoria in Italia è drammatica.
Mi indigna fortemente il fatto che molti autori non facciano mai autocritica, soprattutto gli esordienti, convinti come sono di aver scritto capolavori…
Insomma chiudiamo i battenti anche per questa sorta di delusione atroce che sta nel vivere di stenti e sentirsi pur dare dei deficenti da propri autori.
Il bello in tutto ciò è che io sono ancora convinto che Prima che la storia finisca di Alessandra Galetta sia un piccolo capolavoro e nelle fiere e de visu coi lettori continuo a parlarne e proporlo… purtroppo di questo non frega nulla a nessuno.
Come dice Seia Montanelli ci sono troppi editori e troppi autori, troppi libri e un sistema Robin Hoodiano per cui l’editoria si regge su di una bolla di sapone atroce che è il procedimento del lancio novità, per cui ci si affanna a pubblicare in trecento copie più roba possibile per fare cassa. Roba che ovviamente, torna invenduta dato che i librai non l’hanno mai ordinata.
Ecco perché essere in libreria non serve a nulla se nessuno ti si fila.
Basta lanci e controlanci, tirature forsennate, novità su novità.
Basta PDE e nazisti tipo Blues Borthers delle grandi distribuzioni che ti squadrano come per dire: non ce la fai.
Pubblicare libri è un lavoro che si fa per passione, così come produrli e stamparli e pochi sanno davvero la fatica che si fa.
Un autore dovrebbe conoscere a fondo i meccanismi editoriali prima di proporre un libro a un editore, e un editore dovrebbe essere più imprenditore e meno “letterato”. Purtroppo viviamo in tempi schifosi e da lupi, le vedete/vediamo tutti. Non ci si può permettere il lusso di “sperare”.
Paolo, non ho certo voglia di mettermi a discutere sulla faccenda della “punizione”. E lo potrei fare senza neanche andare a rileggere le mail che mi hai scritto. Il mio caso, in effetti, è opposto a quello riportato in questo post, io avrei accettato di farmi da ufficio stampa (anche se è una cosa che trovo imbarazzante). Se l’ho fatto presente in questa sede è perché, pur essendo opposto, di fatto finisce per non esserlo. E cioè che l’autore è spesso maltrattato, sfruttato, preso in giro o peggio intimidito. Vero che spesso è un pazzo esaltato, convinto di aver generato un capolavoro, ma questo non era certo il mio caso.
Purtroppo pubblicare con un piccolo editore, diciamoci la verità, è come non pubblicare affatto. Non è colpa mia, né tua, né di altri, Alessandra. Non era il tuo caso, vero. Mi dispiace se ti sei sentita presa in giro, ma io sono ancora convinto che il tuo sia un bel libro.
Da quel fermento che sento in giro, librai, piccoli grossisti qualcosa sta cambiando e si tronerà all’editore di ricerca e qualità. Noi abbiamo imbastito un nuovo progetto e tra poco usciranno i primi libri con un nuovo marchio.
I librai stessi non ne vogliono più sapere di questi meccanismi.
Le librerie megastore sono più simili a fast-food che altro.
Occorre crearsi lettorato in altro modo ed è quello che faremo senza inseguire più vendite forsennate o altro.
Non è detto che Prima che la storia finisca non possa essere rilanciato tra l’altro, una volta instaurato il nuovo corso.
Io per ora sono tornato a fare il commerciale che era il mio mestiere originario.