Non mi appassiona, e credo di non essere sola, la cronaca quotidiana sul prossimo presidente della Repubblica: perché appare evidente che gli ingenui come me, cui capita di confidare nella scelta di una personalità nobile e fuori dai giochi, sono destinati in questi giorni a sentirsi ancor peggio che ingenui. Stupidi. Polli. Perché è altrettanto ovvio (ma così ovvio che quasi mi vergogno a scriverlo) che la scelta è frutto di balletti incrociati, raffinatissime mosse da giocatori di Stratego e, per farla breve, della vecchia politica democristiana, da cui il candidato numero uno proviene.
Non mi appassiona, e se questa storia fosse un romanzo (lo chiede su twitter il portavoce renziano), sarebbe “l’impasto vischioso del potere” narrato da Sciascia in Todo Modo. Per quanto mi riguarda, invito a rileggere le parole del candidato più degno al Quirinale, già scartato nella precedente tornata perché, come dissero allora coloro che oggi esultano per Mattarella, “come facciamo a votare uno proposto dai cinquestelle?”.
Dall’intervista rilasciata a Micromega da Stefano Rodotà:
Spesso le viene rivolta la critica di pensare esclusivamente ai diritti dei cittadini ma mai ai doveri. Come replica all’accusa?
E’ una vecchissima discussione che si svolse già a Parigi nel 1789. E la Costituzione italiana ha legato diritti e doveri: l’art. 2 si apre col riconoscimento dei diritti delle persone ma poi afferma che tutti devono adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il tema dei doveri viene sbandierato per chiedere sacrifici alle fasce più deboli mentre rimangono al riparo i soggetti privati forti e le istituzioni pubbliche. Vogliamo discutere dei doveri? Facciamolo senza ipocrisie. Ad esempio, si dovrebbe riaffermare l’obbligo di non esercitare l’iniziativa economica e la libera impresa in contrasto con sicurezza e dignità dei lavoratori. Tale strategia ha fallito e politicamente ha generato un’enorme crisi della rappresentanza: il rifiuto della Casta non sarebbe così forte se non ci fosse stato un ceto politico dipendente dal denaro pubblico.
(…)
La sinistra italiana ha alle spalle due fallimenti: la lista Arcobaleno e Rivoluzione Civile di Ingroia. Due esperienze inopportune nate per mettere insieme i cespugli esistenti ed offrire una scialuppa a frammenti e a gruppi perdenti della sinistra. Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità interpretativa e rappresentativa della società. Nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre. Rifondazione è un residuo di una storia, Sel ha avuto mille vicissitudini, la Lista Tsipras mi pare si sia dilaniata subito dopo il voto alle Europee. Ripeto: cercare di creare una nuova soggettività assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico secondo me è una via perdente. Bisogna partire da quel che definisco “coalizione sociale”. Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive: Fiom, Libera, Emergency – che ha creato ambulatori dal basso – movimenti per i beni comuni, reti civiche e associazionismo diffuso. Da qui, per ridisegnare il nodo della rappresentanza.
Il suo giudizio sui partiti esistenti è molto duro. Ma per una coalizione sociale non ci vuole tempo, addirittura anni?
Ci vuole pazienza e occorre ricostituire nel Paese un pensiero di sinistra. A livello istituzionale abbiamo assistito alla chiusura dei canali comunicativi tra politica e mondo della cultura, ciò si è palesato durante la riforma costituzionale. Come negli anni ’60-’70, per il cambiamento istituzionale, deve tornare la rielaborazione culturale. Il lavoro che ha svolto MicroMega in questi anni è prezioso e va continuato in tal senso. Insieme a Il Fatto sono le due testate che hanno tenuto dritta la barra. Ora vanno moltiplicate le iniziative, vanno connessi i soggetti sociali (anche attraverso la Rete) e va recuperato quel che c’è di produzione culturale operativa. Infine, tassello fondamentale: organizzazione. Tali processi non possono essere affidati semplicemente alla buona volontà delle persone.
Sarebbe un Todo Modo più triste, in cui il prete è sì un cattivo prete, ma incolto e senza senso dell’umorismo. E ovviamente non direbbe mai di essere un cattivo prete.
Già, Rodotà sarebbe stato un grande presidente.
Prima abbiamo avuto il comunista ora di nuovo il democristiano, la politica è l’arte di preparare rancio con quello che c’è in cambusa. Bisogna mettere d’accordo tutti quei cosi seduti in parlamento grazie al nostro voto (sì, non è muffa che si forma sul legno degli scranni, è il pueblo che ha votato, se non i personaggi, almeno le liste).
I 5 stelle stavolta hanno pensato bene di proporre anche il disprezzatissimo Gargamella pur di tentare un qualche scacco al Pd, e quindi “come facciamo a votare un nome proposto da loro?” si rivela più che ragionevole.
Quello che c’è in cambusa non ha votato Prodi, figurarsi Rodotà.
Quanto ai cespugli di sinistra non li ho mai sopportati: vaffanculo Bersani Smacchialo adesso il giaguaro ah ah! Stronzo! (Epperò Bersani forse era meglio) Letta Ka$ta muori! (epperò Letta era meglio di Renzi) Renzi!! (Epperò Renzi era meglio di Salvini).
Pure dentro movimenti e sindacati c’è tanto da fare, Landini e Camusso si dimostrati abili strateghi democristiani nel dipingere i pivelli ingenui della Leopolda (Derisi e ignorati fino all’anno scorso) come la corte di Versailles.
@Giobix: spesso i pivelli e gli ingenui fanno più danni, averli dipinti come la Corte di Versailles è stato in effetti un esercizio di grande sovrastima, si son rivelati ben peggio.
Si tratta soprattutto di persone che vengono dalla periferia della politica e dai territori, dipingerli in un certo modo l’ho trovato una brutta furbata.
@Giobix
Mah, beato te che ci vedevi così tante buone intenzioni. Lo stesso comunque non si può dire per chi organizzò la Leopolda (o il M5S, che segue una storia speculare): quegli ideatori sapevano bene dove volevano arrivare e, ahinoi, ci sono riusciti. La Corte ha funzionato, quindi, e non è un bene.