SEASON OF THE WITCH: SU ROALD DAHL E SULLE DICOTOMIE, DI NUOVO

La polemica sui libri di Roald Dahl, o quanto meno il modo in cui si sta sviluppando sui social, uno dei luoghi dove oggi è più fervida la discussione culturale, è l’esempio perfetto di come stia diventando difficile evitare le dicotomie, gli schieramenti, la generalizzazione. Nel caso: tutti coloro che mostrano perplessità verso il ritocco voluto da Puffin Books (editore britannico di Dahl) e Roald Dahl Story Company (di cui è proprietaria Netflix dal 2021) diventano rapidamente “maschi bianchi privilegiati di destra”, anche se la maggior parte delle perplessità è venuta da lettrici, insegnanti, genitrici. Di contro, coloro che sono favorevoli alle modifiche, di cui parleremo fra poco, sono “sostenitori dello schwa, sventolatori di cancel culture, figli dell’Alto Passero” e via andare.
Proviamo a capire cosa succede, in attesa magari di sapere cosa diranno coloro che studiano Dahl in Italia e lo traducono e lo pubblicano.
Netflix, intanto. Una multinazionale non è esattamente come un editore. Ragiona in termini di mercato, e di un mercato molto più vasto di quello dei libri, e come tale intende evidentemente applicare alla letteratura le sue regole. Così come nelle serie appaiono i warning (linguaggio violento, anche se è perdindirindina, nudo – anche di un paio di piedi che calzano pantofole, e così via), qui si intende dare una pulitina. Nei libri. Come riporta il Post:

“Le streghe sono tutte donne.
Non voglio parlar male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto.

[Traduzione di Francesca Lazzarato e Lorenza Manzi dall’edizione italiana Salani]

Di questo passaggio nella nuova edizione di Puffin Books è rimasta solo la prima frase.
(…)

Altre modifiche simili riguardano espressioni che oggi sono percepite più o meno come sessiste. Alcune eliminano la sfumatura, altre ne aggiungono una nuova come nel caso di questo passaggio, sempre riferito alle streghe:
“Che faccia la cassiera in un supermercato o la segretaria in un ufficio […]”.
Sostituito con:
 “Che sia una grande scienziata o gestisca un’attività […]

Tra le altre modifiche ce n’è una che riguarda il personaggio di Matilde, protagonista del romanzo omonimo, che ora legge Jane Austen invece di Rudyard Kipling, i cui libri furono profondamente influenzati dalla mentalità colonialista ottocentesca. Mentre la signora Hoppy di Agura Trat non è più descritta come una «attraente signora di mezza età» ma come una «gentile signora di mezza età». Sono state rimosse le parole crazy e mad, cioè l’inglese per “matto, pazzo”, parole legate a vecchi stereotipi sui problemi di salute mentale, e le occorrenze di “bianco” e “nero”, anche in riferimento a un cappotto e non solo alla pelle delle persone. Da questo celebre passaggio degli Sporcelli

“Una persona con pensieri gentili non potrà mai essere brutta. Potrà avere il naso bitorzoluto e la bocca storta e i denti fuori, ma, se ha pensieri gentili, questi le illumineranno il viso come raggi di sole, e apparirà sempre bella”.

[Traduzione di Paola Forti]

è stato rimosso double chin, letteralmente “doppio mento”, che in italiano era stato tradotto con “bocca storta”.”

Se ci si pensa dieci minuti, ci si rende conto che è perfettamente coerente con la mentalità di Netflix. Il punto è che non lo è con la letteratura. Ora, la letteratura per ragazzi, e le fiabe in particolare, sono sempre state passate alla pettinella (quella che si usa per rimuovere le uova dei pidocchi) per eliminare ogni possibile fonte di turbamento per giovani lettori e lettrici. E’ anche vero che quel che viene eliminato ritorna dalla finestra, in altre forme, siano quelle, che so, di Piccoli Brividi o delle fiabe dei Grimm in versione originale.
Poco contano, e durano, le manipolazioni  commerciabili, perché è evidente che la faccenda è commerciale secondo l’ottica delle piattaforme e delle serie. Ed è altrettanto evidente che anche le storie definite inclusive sono un mercato, e pure in crescita.

Se si guarda lucidamente alla cosa, ci si arrabbia ma si trova anche rimedio. Non comprare quelle nuove edizioni, esattamente come i genitori che vogliono storie inclusive o comunque si voglia definirle non compreranno quelle vecchie. Il problema è quando si fa di tutta l’erba un fascio, e si confonde l’operazione Dahl/Netflix con i discorsi seri sull’inclusione, linguistici e no, e si pensa che si voglia IMPORRE qualcosa a tutti quando, nella maggior parte dei casi, è una possibilità in più. I piani sono diversi, ricordiamolo.

Poi, c’è la questione finale che per me è prioritaria. Tutta quest’ansia di protezione dei figli non porta bene ai figli. Questa idea di fornire loro un mondo levigato proprio mentre quello che ci circonda è oscuro non fa bene. Personalmente, penso che bambine e bambini debbano conoscere il mondo, sapere di avere la protezione degli adulti e sapere anche che le strade non sono facili, quasi mai, ma che è possibile percorrerle.
Le fiabe raccontano sempre la vita, in modo ineducato, e solo dopo arriva qualcuno ad abbellirle, a renderle dolci e innocue.

Ps. Ho raccontato a mia figlia, trentenne, cresciuta a Roald Dahl, quello che stava accadendo. Mi ha risposto che da Dahl ha imparato la poesia. Ecco.

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