Prendo spunto, ancora, dalla questione Roald Dahl, ma per provare ad affrontare un punto che è, secondo me, centrale (e rientrerebbe peraltro proprio nel discorso del lavoro culturale e di come ci si deve rapportare a una realtà complessa come la nostra). La cosa più sbagliata che possiamo fare, e lo ripeto, è trasformare la discussione in schieramenti. E, soprattutto, banalizzare le istanze di chi chiede voce: “concederla” e anzi sfruttarla a proprio vantaggio come hanno fatto Netflix e Puffin Books è, a mio parere, un errore e anche un abbaglio. Azzerare e schernire chi desidera testi inclusivi, o come vogliamo chiamarli, è un altro errore.
Certo, resto convintissima del fatto che quei testi dovrebbero essere prodotti oggi, e che quelli di ieri non andrebbero toccati, specie ad autore morto.
Però. Mi ha colpito, fra le centinaia di post letti, chi faceva riferimento alla nostalgia, e sosteneva che esiste una spinta conservatrice che viene da chi vorrebbe che il proprio mondo, quello in cui è cresciuto, rimanesse immutabile. Questo è un punto interessante, anche se, ancora una volta, pieno di sfumature.
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La polemica sui libri di Roald Dahl è l’esempio perfetto di come stia diventando difficile evitare le dicotomie, gli schieramenti, la generalizzazione. Nel caso: tutti coloro che mostrano perplessità verso il ritocco voluto da Puffin Books (editore britannico di Dahl) e Roald Dahl Story Company (di cui è proprietaria Netflix dal 2021) diventano rapidamente “maschi bianchi privilegiati di destra”, anche se la maggior parte delle perplessità è venuta da lettrici, insegnanti, genitrici. Di contro, coloro che sono favorevoli alle modifiche, di cui parleremo fra poco, sono “sostenitori dello schwa, sventolatori di cancel culture, figli dell’Alto Passero” e via andare. Ora, la letteratura per ragazzi, e le fiabe in particolare, sono sempre state passate alla pettinella (quella che si usa per rimuovere le uova dei pidocchi) per eliminare ogni possibile fonte di turbamento per giovani lettori e lettrici. E’ anche vero che quel che viene eliminato ritorna dalla finestra, in altre forme, siano quelle, che so, di Piccoli Brividi o delle fiabe dei Grimm in versione originale.
Poco contano, e durano, le manipolazioni commerciabili, perché è evidente che la faccenda è commerciale secondo l’ottica delle piattaforme e delle serie. Ed è altrettanto evidente che anche le storie definite inclusive sono un mercato, e pure in crescita.
Una considerazione fra le altre. Le fiabe raccontano sempre la vita, in modo ineducato, e solo dopo arriva qualcuno ad abbellirle, a renderle dolci e innocue.
Ps. Ho raccontato a mia figlia, trentenne, cresciuta a Roald Dahl, quello che stava accadendo. Mi ha risposto che da Dahl ha imparato la poesia. Ecco.