SENZA TETTO NE’ CASA: LA QUESTIONE DEL DECORO A ROMA

Prima viale delle Province, a due passi da casa mia, poi lo Spin Time di via Santa Croce in Gerusalemme, infine la ex sede delle Dogane in via Tiburtina. A Roma ripartono gli sgomberi, zitti zitti e piano piano (non del tutto zitti: ci sono comitati e movimenti che segnalano e documentano, grazie al cielo). A Roma non si può dare da mangiare ai senza tetto della Stazione Termini (ma del resto, come ben sa chi la frequenta, a Termini non c’è una sala d’attesa da anni, per evitare che qualcuno ci dorma, e tutti, passeggeri e senzatetto, si arrangiano sulle panchine lungo i binari).
Mi permetto di riportare qui un intervento, su Facebook, di Federico Bonadonna, che vent’anni fa scrisse un libro bellissimo, Il nome del barbone. E che oggi dice questo:

“I Barboni non assistiti dalle associazioni nei locali di Grandi Stazioni, è una non-notizia nel senso che Grandi Stazioni (che è una società controllata dalle Ferrovie dello Stato, dunque pubblica) è controllata al 40%, nella sua parte immobiliare, Eurostazioni, da una società per azioni composta dai gruppi Benetton, Caltagirone, Pirelli con una quota del 32,71% ciascuno e con l’1,87% SNCF con l’obiettivo di riqualificare e gestire le 13 maggiori stazioni ferroviarie italiane, tra cui Termini e Tiburtina, tenta periodicamente di difendere la valorizzazione del suo patrimonio immobiliare dall’«assalto dei barboni», come mi disse un dirigente di GS nell’ormai preistorico 1999, quando tentammo una mediazione per consentire alle «associazioni di continuare a giocare al buon samaritano», cioè distribuire pasti caldi e coperte a Termini.
In quel periodo il capo di un’associazione che nel frattempo si è dissolta, sosteneva che le stazioni fossero “luoghi naturali” per i senza tetto e che dunque Grandi Stazioni dovesse “tollerare e tacere”.
Le stazioni non sono affatto “luoghi naturali” dei senza tetto perché la strada è un inferno dove è impossibile vivere e dove al massimo si può sopravvivere. In strada l’essere umano è spogliato di ogni dignità, di ogni protezione, di ogni autonomia e all’interno dei locali della stazioni, così come nelle immediate vicinanze, gli stupri, le violenze, l’affitto di giacigli tra barboni, sono quotidiani.
“Pare che il problema del barbone sia il cibo, i panini. Il fatto che sei senza fissa dimora e che d’inverno dormi per strada con quattro gradi sotto zero, non gl’importa. Anzi, i volontari delle associazioni sono venute una volta che stavamo dormendo sotto ponte con un freddo da allucinazioni. Io finalmente avevo preso sonno, mi sento bussare sulla spalla e mi sveglio. Erano questi professionisti del volontariato che mi offrivano il caffè! Per poco non li butto nel Tevere! Ma per Dio, scusa tanto, m’ero addormentato e vieni ad offrirmi pure il caffè? No, non hanno centrato, non hanno capito i problemi reali, non ci sono mai passati!”, diceva Marco, un quarantenne morto senza tetto, dopo aver vissuto 7 anni sulla strada.
Leggere oggi, nel 2022, che siamo ancora al punto di dover difendere il diritto delle associazioni a distribuire panini alla stazione termini, è deprimente. Lo sarebbe meno se in campo ci fosse un progetto integrato. E invece, allo stato attuale, ci sono praticamente solo le associazioni di volontariato.
Eppure tanta acqua è passata sotto i ponti. Per esempio l’ex assessore alle politiche sociali delle giunte Rutelli, Amedeo Piva (oggi presidente dell’ex Ipab della Regione Lazio Istituto Sant’Alessio), oltre a essere stato presidente del PD romano, dal 2001 al 2010 è stato responsabile per le Politiche sociali e per il rapporto con le associazioni delle Ferrovie dello Stato. Il lavoro di Piva è stato molto importante per sensibilizzare le Ferrovie dello Stato alle tematiche sociali. Grazie al lavoro di Piva, la cooperativa Binario 95, nel 2022, ha ottenuto un importante spazio all’interno della Stazione Termini. Sempre a Termini, poco più avanti di Binario 95, c’è l’ambulatorio e il mega Ostello della Caritas che oggi accoglie un centinaio di persone (vent’anni fa ne accoglieva il doppio). Si potrebbero elencare tantissime attività di  Ferrovie dello Stato sul tema dell’accoglienza e il sostegno ai senza tetto. Personalmente non ho nessun interesse a difendere Grandi Stazioni, ma credo che questa società non possa fare molto più di quello che sta facendo.
Per la questione senza tetto, manca invece una risposta politica. Penso che il tentativo di scaricare su Grandi Stazioni un po’ di indignazione “popolare” (in realtà delle condizioni di esistenza dei senza tetto importa a pochissime persone), sia solo un diversivo, un modo per allontanare dall’amministrazione capitolina, che ormai si è insediata tre mesi fa, la responsabilità di un mancato progetto globale in favore delle persone senza dimora. Basti pensare che l’attuale amministrazione continua a chiamare “Emergenza Freddo” i progetti di intervento straordinario per i senza tetto come la raccolta di coperte o l’apertura di qualche posto letto aggiuntivo. “Come se l’inverno non venisse ogni anno”, commentava il compianto don Luigi di Liegro.
In Italia, purtroppo, la logica dell’emergenza è la modalità per sopperire alla mancanza cronica di pianificazione. Per cui tutto si trasforma in emergenza, anche i servizi sociali che, per loro natura, non dovrebbero essere gestiti con le modalità della protezione civile. L’emergenza è veloce, mentre i servizi sociali sono lenti per definizione. Il servizio sociale muove dall’analisi del bisogno cercando, per prova ed errore, risposte sempre in divenire. Lì dove il servizio sociale scava nel profondo cercando di costruire collettivamente, nel rapporto operatore/utente, le molteplici soluzioni, la logica emergenziale vola in superficie offrendo misure temporanee, spesso palliative, utili forse a mitigare la tensione del momento provocata dalla pressione mediatica oppure da una necessità effimera avulsa dalla complessità del contesto. L’emergenza è la reazione dinamica di una classe politica assoggettata alla ragione mediatica. Sono i media a dettare l’agenda, a fornire le modalità e la tempistica dell’intervento politico. Non è solo una questione di vanità del singolo personaggio. È l’informazione, assurta a sistema, che ha preso forza dal vuoto lasciato da una politica attonita che si contenta di rispecchiare la propria sciocca immagine in una semplice fotografia sul giornale, ed esibire la propria impotenza (l’emergenza è anche un modo per camuffare la mancanza di volontà politica). Nulla è più efficace del criterio emergenziale per rispondere alle esigenze della comunicazione che scandisce i tempi della politica: dall’assistenza ai terremotati agli sgomberi dei campi rom, dall’intervento dopo una catastrofe naturale all’avvio di progetti per senza tetto durante il periodo invernale, definito appunto «emergenza freddo».
Per capire come siamo arrivati fin qui, basta fare un po’ di cronaca dell’assistenza ai senza tetto a Roma e mettere in colonna qualche numero.
Nel 1996 i senza tetto mappati dai Vigili Urbani erano circa 6.000, di cui appena un terzo viveva direttamente sulla strada. Roma era una città molto diversa, la rete delle parrocchie e degli istituti religiosi che accoglievano i senza tetto era molto articolata. Ai tempi, il Comune di Roma, finanziava meno di 500 posti posti letto per i senza tetto, e sosteneva le mense che garantivano una media di 2.500 pasti al giorno.
Nel 2008 i senza tetto censiti dalla SOS erano 8.000, la rete di accoglienza pubblica si attestava intorno ai 2.000 posti letto che diventavano 2.500/3.000 durante la stazione invernale.
Oggi, secondo le stime Istat, sono 17.000 i senza tetto.
Credo sia evidente a chiunque che, di fronte a questi numeri enormi, non sono i 30 (ma nemmeno i 300 posti letto aggiuntivi aperti in queste settimane dall’amministrazione comunale) che possono fare la differenza. Come non è certo la distribuzione di panini e coperte alla stazione Termini.
Quello che dovrebbe fare un’amministrazione seria, per altro dello stesso colore politico della regione, è avviare subito un grande programma di accoglienza e inserimento sociale a partire dall’integrazione socio-sanitaria che ancora oggi risulta inattiva. E se Zingaretti e Gualtieri non possono perdere tempo con i senza dimora, lo facessero i rispettivi assessori al sociale. Non so se le assessore al sociale della regione e del comune si siano già incontrate. Magari l’hanno fatto e mi è sfuggito. Magari hanno fatto anche una conferenza stampa congiunta in cui hanno esposto il programma straordinario di intervento in favore dei 17.000 senza tetto gravitanti nell’area metropolitana romana. O forse lo stanno per fare.
Attendiamo fiduciosi, ma senza nasconderci dietro la non-notizia di qualche posto letto aggiunto a metà inverno né dei vigilantes che dissuadono i volontari alla Stazione Termini”.

Attendo fiduciosa anche io. Ma sommando le storie, che quasi sempre agiscono sotto traccia di questi tempi, penso che molto di tutto questo è l’evoluzione di quanto iniziato nel 2017, quando viene varato il decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città’, e si comincia a usare la parola decoro come equivalente di “decenza di facciata”. Tant’è vero che in quello stesso anno il sindaco di Milano Beppe Sala decide di chiudere “per decoro” i parchi recintati della città. Siamo andati avanti.

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