Letti entrambi.
Christian mi sembra molto puntuale e mi piace molto come lascia tutto ai dati in totale evidenza per cui non puoi dire che eh la retorica, eh l’intenzione. Non puoi proprio dire niente.
“un prodotto mirato a un intervento ad ampio raggio” me la voglio rivendere!! “prodotti biologici e non semplicemente naturali” é vecchiotta spero. Sarebbe interessante sapere peró quante persone si sentono realmente prese per i fondelli da frasi del genere. Che poi, secondo me, é anche una buona parte del problema di fondo, l´utilizzo (e l´accettazione senza troppi problemi) di un linguaggio unico che appiattisce ogni differenza tra spot e informazione, per prendere due estremi.
Pienamente d’accordo con zauberei.
Della questione femminile si parla da parecchio e, sebbene (per fortuna) si trovino sempre nuovi spunti e sguardi, le grandi linee sono state tracciate. Quando cerco o mi imbatto in nuovi blog sul tema, che seguo con attenzione quotidiana, e mi ritrovo davanti frasi che ricominciano da capo – “siamo apprezzate solo per la bellezza”, “dovremmo pensare di più a quante donne non lavorano” … – mi sento frustrato.
Da traduttore alle prime armi mi viene in mente che dovremmo muoverci nello stesso modo: quando si traduce un testo già tradotto, si dovrebbe consultare e farsi amica la traduzione precedente, per fare meglio, per continuare il lavoro, collaborare. Ci si passa il testimone, insomma. Non si può ricominciare da capo.
Una scrittura come quella di Raimo, che devo dire si accosta moltissimo alla tua, Loredana, è la più efficace, a mio avviso.
sulla pelle: all’interno della stampa femminile inizia solo ora (a giudicare da certe scelte redazionali) ad allentarsi il tabù della trama della pelle – che finora doveva restare invisibile come il più inconfessabile dei difetti.
Spero che riconoscerle nuovamente il diritto all’esistenza porti ad un arretramento di questa specie di guerriglia quotidiana.
Rispetto all’articolo di Christian Raimo, comunque molto utile, io invece ci sarei andata giù più pesante…Non bisogna aver paura di tirare i fili, secondo me.
Il sondaggio che lui riporta è terrorismo puro. In generale il mercato dei prodotti di bellezza è qualcosa di quasi totalmente truffaldino e folle, che si basa su paure, false credenze e bugie finto-scientifiche. E’ davvero sconcertante la quantità di denaro che le donne buttano in prodotti inutili e spesso carissimi, spinte dal terrorismo delle case produttrici e dei giornalacci femminili (a sua volta fondato su un’educazione che mette al centro la desiderabilità come leva identitaria e di riconoscimento sociale, of course).
Mi chiedo molte volte che retorica usare rispetto a ogni argomento che tratto. È evidente che un tipo di retorica qualitativa – che tenga conto dell’indignazione, del gusto, di esperienze e di empatia, rischia una cosa: che questa rabbia, quest’indignazione, questo sconcerto l’abbia già provato qualcun altro per te. Per questo mi sembra sempre più utile fornire materiale da interpretare e una gamma di interpretazioni. Perché la dialettica con chi legge sia vera e non già compresa nell’articolo. Quando mi occupo di immaginario femminile, quest’attenzione dev’essere per me ancora più evidente. Altrimenti il “pensiero della differenza” si riduce al “pensierino della correttezza di genere”.
Hai perfettamente ragione sulla retorica qualitativa, ma di fronte a una lista come quella che hai fatto non ci sono molte interpretazioni possibili. Anzi, secondo me, se si è onesti ce n’è una sola, che non è retorica, ma che tira in ballo le dinamiche sociali e culturali che hanno generato quel giornale. Sicuramente il tuo intento non era quello di aprire un simile capitolo, considerando poi che si tratta di questioni di cui si è già molto discusso, ma solo di fornire al lettore una panoramica su quel genere di rivista, e quindi ci sta.
A caldo, ho visto aleggiare su quel tipo di scrittura il fantasma delle accuse di moralismo che ultimamente piovono su chiunque tocchi con un po’ di onestà questi temi, e m’è dispiaciuto.
La conclusione che faccio è che si tratti di un credo, di un’ideologia. Poi, uno può dire, è una fede in cui mi va di credere, come chi va a messa la domenica. Oppure no.
A me è molto piaciuto il taglio dato da Christian Raimo al suo articolo e non ci ho visto il fantasma della paura delle accuse di moralismo, anzi mi è sembrata la migliore risposta a chi fa quelle accuse: elenchi, quantificazioni, statistiche. Poi ognuno tiri le somme che vuole.
Sfogliando quel tipo di giornali viene la nausea, ti rimane addosso l’impressione di un ‘troppo’ insopportabile. Leggendo l’articolo di Raimo si passa dall’impressione infastidità alla constatazione della misura quantificata di quel ‘troppo’. Non è un passaggio da poco, secondo me.
nel misurato, informativo e asciuttissimo pezzo di raimo c’è anche molto umorismo (involontario, dei pubblicitari), un ottimo antidoto contro l’ideologia. Complimenti!
Solo per essere pignola: “antidoto contro l’ideologia” non significa nulla Diana. Tanto per cambiare, ripeto: il cazzeggio va anche bene. Dopo un po’, stufa.
ho letto attentamente l’articolo di Raimo e i suoi scambi con Adrianaaa. Vorrei precisare il senso del mio commento.
L’umorismo involontario in cui cadono i pubblicitari e gli addetti del marketing delle case farmaceutiche e i redattori/redattrici delle riviste femminmili (es. La straordinaria potenza dell’estratto di broccoli, in un trattamento per ridurre visibilmente i segni della fatica, ecc.) emerge chiaramente dal pezzo di Raimo. Personalmente, lo ritengo un potente antidoto contro quello che Raimo stesso scrive qui sopra di ritenere “un credo o un’ideologia”.
Ho capito ora, grazie al commento di diana, l’ultimo intervento di Raimo ^^’
Secondo me nel mercato dei prodotti cosmetici l’aspetto truffaldino prevale su quello ideologico, perché il marketing della maggior parte di quei prodotti si appoggia continuamente a slogan che vengono spacciati come verità scientifiche (vedi creme alle cellule staminali et simila). Quindi sì, c’è sicuramente la scelta di chi li compra di affidarvisi per calmare la propria paura del tempo che passa, ma dall’altra parte, dalla parte di chi vende, ci sono martellanti campagne di bugie.
C’è stato un periodo in cui frequentavo assiduamente forum in cui si parlava di questi argomenti, anche con addetti del settore, e l’immagine globale che se ne deduceva era quella di un intera branca di mercato basata quasi esclusivamente sul nulla.
Qualche settimana fa, nella vetrina di una Farmacia in centro a Bologna, un banner pubblicitario recitava: “la cellulite è una malattia, puoi curarla”.
Secondo me cose del genere sono al limite del terrorismo psicologico e culturale, in pieno stile “esperimento Milgram”.
Si tratta di puro autoritarismo pseudoscientifico, che ha lo scopo esclusivo di conquistare nicchie di mercato con l’intimidazione, a volte esplicita (la cellulite è una malattia), a volte più subdola (l’imperativo ad avere una pelle liscia e giovane, o a restituire ai denti il loro “bianco naturale”).
Sarò un moralista antiliberale, ma qui un po’ di regolamentazione a livello legale forse gioverebbe.
OT (di cui mi scuso qualora stessi abusando dell’ospitalita’, non sapevo dove altro postare questa pezzo credo significativo): Nell’ultimo numero del New Yorker (May 2, 2011) c’è un articolo su Obama e la sua politica estera (“The Consequentialist”). Vi si legge, a p. 50, questo: “[Anne-Marie] Slaughter [direttrice di pianificazione politica], che ammirava Clinton ma si sentiva alienata dallo staff politico della Casa Bianca, si dimise in febbraio, e nel suo discorso di congedo al Dipartimento di Stato descrisse una barriera di genere al cuore della squadra che si occupa di politica estera per Obama. Lei dichiarò che nel ventunesimo secolo l’America aveva bisogno di occuparsi tanto della società civile quanto degli stati. “Purtroppo le persone che si concentrano su questi due mondi qua a Washington sono tuttora spesso gruppi molto diversi. Il mondo degli stati è ancora il mondo dell’alta politica, del duro potere, della realpolitik, e, largamente, degli uomini,” disse. “Il mondo delle società è ancora troppo spesso il mondo della bassa politica, del potere soffice, dei diritti umani, della democrazia e sviluppo e, largamente, delle donne. Una delle cose migliori dei miei due anni qui è stata l’opportunità di lavorare con tantissime talentuose donne, persone veramente straordinarie. Ma Washington ha ancora moltissima strada da fare prima che le loro voci siano ascoltate e rispettate [traduzione mia].”” Ecco perché l’elezione della Clinton sarebbe stata assai meglio per gli States, e per tutto il resto del mondo. E non solo quello femminile. Ma è rassicurante, almeno un po’, che si cominci a dire queste cose anche in luoghi tradizionalmente inaccessibili alle donne.
Donald Trump, un altro pagliaccio (maschio) nella stanza dei bottoni, ti piace di piu’ di “quell’altra stronza”? Auguri.
PS: ti faro’ il piacere di non replicare ulteriormente.
Non mi fa piacere nè il pagliaccio nè la mamma orsa, chè sembra di stare nelle gag acide di Krusty il clown dei simpson. Però sostenere che la seconda ipotesi sarebbe un vantaggio per le donne americane e del pianeta per me è ridicolo e basta. Sarebbe come immaginare che il decennio thatcher in uk abbia visto il trionfo dell’opzione femminista.
Minchiate. Opinione mia, ovvio, e ciascuno ha dirittto di tenersi la propria.
Però credo ci sia una sostanza nelle cose che travalica ogni chiacchiera, e cioè gli interessi reali che vengono sostenuti dai gruppi di potere.
E sul gruppo Clinton non esito a dire che non è certo la questione di genere in cima ai loro.
Mi ricordo anche che in occidente ci siamo raccontati per un bel pezzo che andavamo a fare guerra in afghanistan per le donne e contro l’orrore del burqa, e penso che sia meglio starsene zitti piuttosto che continuare con queste stronzate.
L.
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Christian mi sembra molto puntuale e mi piace molto come lascia tutto ai dati in totale evidenza per cui non puoi dire che eh la retorica, eh l’intenzione. Non puoi proprio dire niente.
“un prodotto mirato a un intervento ad ampio raggio” me la voglio rivendere!! “prodotti biologici e non semplicemente naturali” é vecchiotta spero. Sarebbe interessante sapere peró quante persone si sentono realmente prese per i fondelli da frasi del genere. Che poi, secondo me, é anche una buona parte del problema di fondo, l´utilizzo (e l´accettazione senza troppi problemi) di un linguaggio unico che appiattisce ogni differenza tra spot e informazione, per prendere due estremi.
Pienamente d’accordo con zauberei.
Della questione femminile si parla da parecchio e, sebbene (per fortuna) si trovino sempre nuovi spunti e sguardi, le grandi linee sono state tracciate. Quando cerco o mi imbatto in nuovi blog sul tema, che seguo con attenzione quotidiana, e mi ritrovo davanti frasi che ricominciano da capo – “siamo apprezzate solo per la bellezza”, “dovremmo pensare di più a quante donne non lavorano” … – mi sento frustrato.
Da traduttore alle prime armi mi viene in mente che dovremmo muoverci nello stesso modo: quando si traduce un testo già tradotto, si dovrebbe consultare e farsi amica la traduzione precedente, per fare meglio, per continuare il lavoro, collaborare. Ci si passa il testimone, insomma. Non si può ricominciare da capo.
Una scrittura come quella di Raimo, che devo dire si accosta moltissimo alla tua, Loredana, è la più efficace, a mio avviso.
Nessuna si fa il sangue amaro per il compiacimento tutto macho dell’articolo di Sofri? per curiosità.
sulla pelle: all’interno della stampa femminile inizia solo ora (a giudicare da certe scelte redazionali) ad allentarsi il tabù della trama della pelle – che finora doveva restare invisibile come il più inconfessabile dei difetti.
Spero che riconoscerle nuovamente il diritto all’esistenza porti ad un arretramento di questa specie di guerriglia quotidiana.
Rispetto all’articolo di Christian Raimo, comunque molto utile, io invece ci sarei andata giù più pesante…Non bisogna aver paura di tirare i fili, secondo me.
Il sondaggio che lui riporta è terrorismo puro. In generale il mercato dei prodotti di bellezza è qualcosa di quasi totalmente truffaldino e folle, che si basa su paure, false credenze e bugie finto-scientifiche. E’ davvero sconcertante la quantità di denaro che le donne buttano in prodotti inutili e spesso carissimi, spinte dal terrorismo delle case produttrici e dei giornalacci femminili (a sua volta fondato su un’educazione che mette al centro la desiderabilità come leva identitaria e di riconoscimento sociale, of course).
Mi chiedo molte volte che retorica usare rispetto a ogni argomento che tratto. È evidente che un tipo di retorica qualitativa – che tenga conto dell’indignazione, del gusto, di esperienze e di empatia, rischia una cosa: che questa rabbia, quest’indignazione, questo sconcerto l’abbia già provato qualcun altro per te. Per questo mi sembra sempre più utile fornire materiale da interpretare e una gamma di interpretazioni. Perché la dialettica con chi legge sia vera e non già compresa nell’articolo. Quando mi occupo di immaginario femminile, quest’attenzione dev’essere per me ancora più evidente. Altrimenti il “pensiero della differenza” si riduce al “pensierino della correttezza di genere”.
Hai perfettamente ragione sulla retorica qualitativa, ma di fronte a una lista come quella che hai fatto non ci sono molte interpretazioni possibili. Anzi, secondo me, se si è onesti ce n’è una sola, che non è retorica, ma che tira in ballo le dinamiche sociali e culturali che hanno generato quel giornale. Sicuramente il tuo intento non era quello di aprire un simile capitolo, considerando poi che si tratta di questioni di cui si è già molto discusso, ma solo di fornire al lettore una panoramica su quel genere di rivista, e quindi ci sta.
A caldo, ho visto aleggiare su quel tipo di scrittura il fantasma delle accuse di moralismo che ultimamente piovono su chiunque tocchi con un po’ di onestà questi temi, e m’è dispiaciuto.
La conclusione che faccio è che si tratti di un credo, di un’ideologia. Poi, uno può dire, è una fede in cui mi va di credere, come chi va a messa la domenica. Oppure no.
Cioè?
A me è molto piaciuto il taglio dato da Christian Raimo al suo articolo e non ci ho visto il fantasma della paura delle accuse di moralismo, anzi mi è sembrata la migliore risposta a chi fa quelle accuse: elenchi, quantificazioni, statistiche. Poi ognuno tiri le somme che vuole.
Sfogliando quel tipo di giornali viene la nausea, ti rimane addosso l’impressione di un ‘troppo’ insopportabile. Leggendo l’articolo di Raimo si passa dall’impressione infastidità alla constatazione della misura quantificata di quel ‘troppo’. Non è un passaggio da poco, secondo me.
nel misurato, informativo e asciuttissimo pezzo di raimo c’è anche molto umorismo (involontario, dei pubblicitari), un ottimo antidoto contro l’ideologia. Complimenti!
Solo per essere pignola: “antidoto contro l’ideologia” non significa nulla Diana. Tanto per cambiare, ripeto: il cazzeggio va anche bene. Dopo un po’, stufa.
ho letto attentamente l’articolo di Raimo e i suoi scambi con Adrianaaa. Vorrei precisare il senso del mio commento.
L’umorismo involontario in cui cadono i pubblicitari e gli addetti del marketing delle case farmaceutiche e i redattori/redattrici delle riviste femminmili (es. La straordinaria potenza dell’estratto di broccoli, in un trattamento per ridurre visibilmente i segni della fatica, ecc.) emerge chiaramente dal pezzo di Raimo. Personalmente, lo ritengo un potente antidoto contro quello che Raimo stesso scrive qui sopra di ritenere “un credo o un’ideologia”.
Ho capito ora, grazie al commento di diana, l’ultimo intervento di Raimo ^^’
Secondo me nel mercato dei prodotti cosmetici l’aspetto truffaldino prevale su quello ideologico, perché il marketing della maggior parte di quei prodotti si appoggia continuamente a slogan che vengono spacciati come verità scientifiche (vedi creme alle cellule staminali et simila). Quindi sì, c’è sicuramente la scelta di chi li compra di affidarvisi per calmare la propria paura del tempo che passa, ma dall’altra parte, dalla parte di chi vende, ci sono martellanti campagne di bugie.
C’è stato un periodo in cui frequentavo assiduamente forum in cui si parlava di questi argomenti, anche con addetti del settore, e l’immagine globale che se ne deduceva era quella di un intera branca di mercato basata quasi esclusivamente sul nulla.
@adrianaaa. Non so se Raimo intendesse quello che ho capito io, però…
Qualche settimana fa, nella vetrina di una Farmacia in centro a Bologna, un banner pubblicitario recitava: “la cellulite è una malattia, puoi curarla”.
Secondo me cose del genere sono al limite del terrorismo psicologico e culturale, in pieno stile “esperimento Milgram”.
Si tratta di puro autoritarismo pseudoscientifico, che ha lo scopo esclusivo di conquistare nicchie di mercato con l’intimidazione, a volte esplicita (la cellulite è una malattia), a volte più subdola (l’imperativo ad avere una pelle liscia e giovane, o a restituire ai denti il loro “bianco naturale”).
Sarò un moralista antiliberale, ma qui un po’ di regolamentazione a livello legale forse gioverebbe.
OT (di cui mi scuso qualora stessi abusando dell’ospitalita’, non sapevo dove altro postare questa pezzo credo significativo): Nell’ultimo numero del New Yorker (May 2, 2011) c’è un articolo su Obama e la sua politica estera (“The Consequentialist”). Vi si legge, a p. 50, questo: “[Anne-Marie] Slaughter [direttrice di pianificazione politica], che ammirava Clinton ma si sentiva alienata dallo staff politico della Casa Bianca, si dimise in febbraio, e nel suo discorso di congedo al Dipartimento di Stato descrisse una barriera di genere al cuore della squadra che si occupa di politica estera per Obama. Lei dichiarò che nel ventunesimo secolo l’America aveva bisogno di occuparsi tanto della società civile quanto degli stati. “Purtroppo le persone che si concentrano su questi due mondi qua a Washington sono tuttora spesso gruppi molto diversi. Il mondo degli stati è ancora il mondo dell’alta politica, del duro potere, della realpolitik, e, largamente, degli uomini,” disse. “Il mondo delle società è ancora troppo spesso il mondo della bassa politica, del potere soffice, dei diritti umani, della democrazia e sviluppo e, largamente, delle donne. Una delle cose migliori dei miei due anni qui è stata l’opportunità di lavorare con tantissime talentuose donne, persone veramente straordinarie. Ma Washington ha ancora moltissima strada da fare prima che le loro voci siano ascoltate e rispettate [traduzione mia].”” Ecco perché l’elezione della Clinton sarebbe stata assai meglio per gli States, e per tutto il resto del mondo. E non solo quello femminile. Ma è rassicurante, almeno un po’, che si cominci a dire queste cose anche in luoghi tradizionalmente inaccessibili alle donne.
Sì, così il massimo sarà quando alla casa bianca ci andrà sarah palin o quell’altra stronza. Ma fammi il piacere.
L.
Donald Trump, un altro pagliaccio (maschio) nella stanza dei bottoni, ti piace di piu’ di “quell’altra stronza”? Auguri.
PS: ti faro’ il piacere di non replicare ulteriormente.
Non mi fa piacere nè il pagliaccio nè la mamma orsa, chè sembra di stare nelle gag acide di Krusty il clown dei simpson. Però sostenere che la seconda ipotesi sarebbe un vantaggio per le donne americane e del pianeta per me è ridicolo e basta. Sarebbe come immaginare che il decennio thatcher in uk abbia visto il trionfo dell’opzione femminista.
Minchiate. Opinione mia, ovvio, e ciascuno ha dirittto di tenersi la propria.
Però credo ci sia una sostanza nelle cose che travalica ogni chiacchiera, e cioè gli interessi reali che vengono sostenuti dai gruppi di potere.
E sul gruppo Clinton non esito a dire che non è certo la questione di genere in cima ai loro.
Mi ricordo anche che in occidente ci siamo raccontati per un bel pezzo che andavamo a fare guerra in afghanistan per le donne e contro l’orrore del burqa, e penso che sia meglio starsene zitti piuttosto che continuare con queste stronzate.
L.