Quello che mi colpisce, nella discussione (anzi, nella non-discussione) sui dati Eures e sull’avvicinamento della data del 25 novembre, è una sensazione. Non bella. La sensazione è che l’interesse nei confronti del femminicidio, come scriveva stamattina un mio caro amico, stia scemando. Da un lato si moltiplicano le iniziative, e questo è un bene, certo. Ma la sensazione, sempre quella, è che le iniziative stiano diventando rituali, come già scritto ieri. E’ il 25 novembre e dobbiamo fare qualcosa. O anche: cosa facciamo per il 25 novembre? Dall’altro lato, si consolida la convinzione che il femminicidio non esiste, e che l’allarme sia solo una strategia politica e informativa.
Nei fatti, un governo che non dimostra interesse alcuno nei confronti della cosiddetta questione femminile, fa ancora meno di pochissimo. Nei fatti, siamo sempre più poveri, con sempre meno diritti, sempre più incazzati con chiunque ci capiti a tiro. Nei fatti, siamo sempre più fermi, incatenati a quella rabbia e da quella paralizzati.
E’ molto difficile muoversi in questo panorama. E’ molto difficile parlare nei termini che non siano acriticamente dall’una o l’altra parte, nell’accettazione non analitica di una tragedia continua (che c’è, sia chiaro) o nella sua negazione.
Provo, ancora una volta, la via terza.
Riposto l’intervento sui negazionisti.
Riposto l’intervista a Linda Laura Sabbadini a Fahrenheit, dove si evidenzia come centrale un monitoraggio approfondito e ciclico.
Riposto il testo della proposta di legge di Celeste Costantino sull’educazione sentimentale nelle scuole come pratica primaria contro violenza e femminicidio.
Proviamo a mantenere lo sguardo sulla strada da percorrere. Non concentriamoci su una data. Una data è solo una data. Non ha carne nè sangue, e non importa quanta pubblicità porti a un assessorato o a una parte politica. Per favore.
Ne Il Re Pallido c’è una parte nella quale l’autore si chiede maliziosamente se la noia abissale che si prova nell’affrontare il tema fiscale non sia una strategia sottile per sottrarla alla discussione pubblica. Ora, che l’interesse per il femminicido stia scemando penso sia una cosa buona, perché il lavoro da fare è noioso, e quindi richiede ragionamento. Tutta la tua attività divulgativa non la puoi monitorare, non puoi sapere a quante persone sei arrivata, al limite hai i dati di vendita dei tuoi libri, l’accesso al tuo blog, però non sai cosa pensano tutti. Ma a un certo punto non si può continuare a discutere di femminicidio. Intanto dal punto di vista mediatico la questione non può che essere affrontata in maniera sensazionalistica, perché questo è il livello attuale dei giornalisti medio. Poi perché oggi la discussione sul web è in genere una coazione a ripetere, è una specie di ansiolitico. Poi semplicemente perché non è un tema come un altro, tipo il maltempo. La strada della sensibilizzazione è lunga e silenziosa. La strada delle pratiche invece è diversa. L’obiettivo non può essere cosa fare il 25 Novembre, perché non c’è nulla da fare. Gli obiettivi quali sono? Sono condivisi da una qualche forza politica, gruppo, quotidiano? C’è una proposta di legge, bene, si lavori insieme per spingere questa legge. Mancano i soldi per i centri antiviolenza? Bene, si lavori per cercare vie alternative. Quanti soldi servirebbero per raddoppiare i centri? Gino Strada ha creato Emergency.
Ecco, l’educazione sentimentale nelle scuole. A che punto siamo? Nella maggior parte dei casi prevale indifferenza. E spesso dalle insegnanti donne. Nella mia scuola stiamo faticosamente portando avanti un progetto in questa direzione , ma l’interesse da parte delle/ dei docenti é secondario. Ed invece è proprio dalla scuola che si dovrebbe partire e ” fare qualcosa per il 25 Novembre”.
quante volte ho sentito dire, quasi con fastidio, che la parola femminicidio non esiste sul vocabolario, che è un’invenzione linguistica, che in fondo…..in fondo…in fondo…… è un ” fenomeno” sempre esistito, poi chiamarlo femminicidio non ha senso, poi adesso si sanno di più le cose perchè se ne parla di più…Sono quelli che io chiamo ” discorsi da autobus” o ” da macchinetta del caffè”. E mi ribolle il sangue.
Non mi interessano neppure i numeri ed i dati. E non mi interessa, quando li conosco, analizzarli scientificamente.
Avevo 16 anni, a metà anni ’70, ho vissuto i primi collettivi e le prime manifestazioni femministe, qui a Genova. E se a qualcuno la parola Femminista non piace e la ritiene vecchia, desuata, datata, non mi interessa. Io mi sento così dentro. Io sento un grande senso di fallimento anche per una sola donna vittima di un uomo. Grazie per ciò che scrivi. Emanuela
Un’amica su Facebook scriveva che sua figlia 13enne ha fatto una gita a Montecitorio e ha assistito a una discussione sulla violenza sulle donne… alla presenza di tre (3) parlamentari, che poi a un certo punto sono usciti lasciando gli stenografi da soli. Non sono un’esperta di dibattiti parlamentari, certo non è un bel messaggio.
Devo dire però che il commento di Jackie Brown mi fa pensare, effettivamente ormai siamo arrivati a un livello di cialtroneria parlamentare per cui FORSE il fatto che si abbassi l’attenzione mediatica non è una cosa del tutto cattiva, penso al pasticcio dell’ultima legge in cui hanno militarizzato la questione del femminicidio accorpandola con provvedimenti contro i valsusini, ecc. Mi sembrano così lontani i tempi in cui l’attività legislativa riusciva a essere più lungimirante della pancia dei cittadini 🙁
Brava/o jake. Infatti e` l` occasione giusta per ribadire il grande merito di Saviano. Quello di aver saputo trovare il registro giusto per rendere avvincente un argomento altrimenti non molto interessante finche` una persona non ha a che farci personalmente. Urge un gomorra su femminicidio(e forse pure un altro nome per il fenomeno)
Quoto diamons sulla necessità di un registro adatto.
Quanto alle leggi, incidono poco sui comportamenti aggressivi.
Nei luoghi in cui si occupa più seriamente del tema (ho seguito un corso presso “telefono rosa”) l’interesse principale è rivolto ai modelli educativi e al retroterra socio-culturale. Se non si riesce a modificarli c’è poco da sperare.
Vorrei aggiungere: più che al modello educativo guarderei alle relazioni familiari. E in particolare alla relazione madre-figlio. Ma ogni volta che un uomo uccide la moglie o la compagna, tra i “responsabili” (dal patriarcato alla pubblicità, passando per i vituperati “stereotipi”), le madri escono immediatamente dal quadro.
D’accordo sul non dare troppa importanza alla data, si rischia l’effetto “Primo Maggio” (citando Straneo: “tutti in corteo/ma questo al mattino/al pomeriggio merendino”). Resta comunque importante che se ne parli, di violenza di genere, così da avere possibilità per quelle (poche) voci intelligenti di svolgere il proprio compito. La grande tragedia, alla base, forse sarebbe proprio il silenzio – specchio dell’omertà famigliare – ma finché c’è discussione si può provare a portare elementi alla discussione stessa. Non che mi entusiasmi il motto “se non è su Facebook non esiste” ma tant’è, per una buona causa sfruttiamolo. Anche il “discorso da autobus” o quello sull’esistenza o meno della parola femminicidio possono essere spazi per veicolare idee.