PERCHE' E' IMPORTANTE COMUNICARE BENE QUANDO SI PARLA DI FEMMINICIDIO

Esce il rapporto Eures non sul femminicidio, vorrei dire, ma sugli omicidi volontari dove le vittime sono donne. Perché insisto sul punto? Perché c’è un’approssimazione nel calcolo che viene evidenziata, del resto, nelle prime righe:
“Rientrano nel computo anche le donne uccise dalla criminalità, 28 lo scorso anno: in particolare si tratta di omicidi a seguito di rapina, dei quali sono vittima soprattutto donne anziane”.
E’ prioritario fare chiarezza su cosa sia il femminicidio (l’assassinio di una donna abbandonante da parte di un uomo abbandonato, o comunque l’assassinio di una donna che “esce” dal ruolo di genere, se ne va, si ribella, e per quella ribellione muore: questo a grandissime linee, naturalmente). Dunque, i femminicidi reali vanno calcolati togliendo quella cifra: 179-28= 151. Con l’incognita, che continuiamo a non conoscere, del numero delle prostitute uccise e della cui sorte  nessuno sa, nessuno si accorge. E forse non interessa più di tanto.
Sto facendo la pignola davanti al sangue delle donne? Sì. Perché l’aumento c’è, e fa paura, e proprio per questo va comunicato bene, senza astuzie che facilmente possono essere smontate (e già sta accadendo) da chi non ha mai accettato l’idea stessa del femminicidio, e la nega e la schernisce e lo scherno diviene persino segno di riconoscimento e accettazione nel circoletto di certi  intellettuali garruli, che piazzano un po’ ovunque  il commentino ironico  “femminicidio!” che nella loro idea dovrebbe ridicolizzare chi cerca di fare qualcosa perché quelle morti non si ripetano.
Gli intellettuali garruli possono restare a vita nel circoletto senza che le sorti comuni ne risentano, è vero. Però, statistici, dateci una mano. Dateci numeri ben comunicati, senza effettacci: 151 donne ammazzate sono tantissime, non serve aggiungerne qualche decina in vista della Giornata contro la violenza sulle donne.
E anche voi, assessori e organizzatori di eventi: calma, gesso, fermatevi a pensare. Il femminicidio non è un brand, il 25 novembre non è un rito, non è un solstizio, non è una data come un’altra. Non svuotatela di significato. Non rendetela stanca e ripetitiva. Invece di organizzare convegni con i nomi rituali che ripetano le rituali formule, pensate a cosa potreste fare con quegli stessi fondi. Pensate a come lavorare culturalmente, sul serio, non per lo spazio di una serata.
Aiutateci a dare il nostro contributo non solo perché nessuna donna debba ancora morire per mano di un uomo che diceva di amarla. Ma perché si sgretoli il cinismo che, diceva Grossman, ci costringe all’indifferenza e dunque ci fa perdere di vista la strada, e infine ci porta a pensare che nessuna soluzione sia possibile.

32 pensieri su “PERCHE' E' IMPORTANTE COMUNICARE BENE QUANDO SI PARLA DI FEMMINICIDIO

  1. Buongiorno Loredana. Il femminicidio è effettivamente una piaga che andrebbe debellata e mi unisco alla sua volotà di dare dati corretti perché non siano usato a sproposito dalle pelose parti in causa. E allora mi duole dirle che il suo conto non va bene.
    179-28=151 è un conto sbagliato.
    L’Eures ci dice che le donne uccisse sono state 179 (2013). Nello specifico però ci dice anche quelle che sono state uccise afferendo al femminicido ovvero dal coniuge o dal partner (55), dall’ex coniuge o dall’ex partner (18) o da partner non conviventi (8). Il che ci porta a dire, come anche Bolettino di Guerra ha certificato, che le morti per femminicidio specifico sono state 81. Il numero è diminuito rispetto all’anno precedente. Mentre è aumentato per cause non relative all’affettività e, nel dettaglio, non per mano obbligatoriamente maschile.
    Auguri per il suo lavoro e per il suo libro.

  2. I numeri Eures, da quel testo, non sono chiari, e sarebbe bene che il rapporto venisse diffuso integralmente. Al momento è solo possibile scorporare le 28 donne di cui si parla, sul resto, ripeto, manca chiarezza e comunicazione efficace. Ed è un peccato.

  3. No, no, i numeri dei femminicidi sono chiari ed evidenziati. Magari il problema è altrove e riguarda il fatto che nell’infografica l’Eures ci fa una figura barbina: infatti sono definiti femminicidi TUTTI gli omicidi con vittima femminile perché 179 sono TUTTI gli omicidi del 2013 in Italia con vittima una donna. Capirà che nel momento in cui è lo stessa Eures a compiere metodologicamente uno svarione del genere c’è di che preoccuparsi e l’andazzo generale sembra gonfiare le cifre per far apparire tutti gli omicidi sotto la categoria del femmincidio. Lei è un’esperta del tema e avrà notato che è diventata prateria occupazionale per le più svariate categorie. Infatti sarebbe importante non fare confusione, evidenziare quanti di quegli omicidi hanno un esecutore o un mandante femminile e rapportare i corrispettivi maschicidi in ambito relazionale (1-3 il rapporto odierno).
    Se ci fidiamo dlel’Eures (ma perché non farlo?) i numeri assoluti massimi dei femminicidi sono quelli e sono 81. Purtroppo a voler essere pignoli in quel numero sono compresi gli omicidi di pietas, come l’eutanasia o il suicidio collettivo dei coniugi, i quali, pur appartenendo agli omicidi da parte di coniugi o convinventi difficilmente rientrerebbero nella definizione di femminicidio.
    Allora le domando, da esperta quale lei è: perché tanto casino nel comunicare i dati quando sarebbe così semplice non fare confusione? Io un’ipotesi maligna ce l’avrei a riguardo.

  4. Sinceramente, non ho ipotesi maligne. Quello che posso dirle è quanto ripeto (non da sola) da anni: un monitoraggio serio e continuativo è il primo passo per occuparsi seriamente di femminicidio. La saluto.

  5. Sottoscrivo Lucio, e aggiungo un tassello:
    Dalla sezione della 27a ora, dedicata al femminicidio, “La strage delle donne”. Nell’elenco delle “donne uccise in quanto donne da uomini” compaiono:
    uccisa a coltellate dalla domestica
    uccisa dal fidanzato della figlia
    uccisa a coltellate dalla nipote (molti casi)
    uccisa a coltellate dal nipote (molti casi)
    uccisa dal figlio (molti casi)
    bambina di un anno e mezzo: uccisa dal padre*
    bambina di dodici anni: uccisa dal padre (omicidio-suicidio)
    bambina di sei anni: seviziata e uccisa da IGNOTI
    uccisa durante una RAPINA
    eccetera.
    (*Nota mia: non compaiono i molti casi di figlicidio commessi dalle madri)
    Sottoscrivo anche Loredana, quindi, che informare bene è importante. Tutto sta in quel “bene”, però.

  6. Ma io mi ci sto sgolando, sull’importanza di fornire statistiche chiare, puntuali e aggiornate ogni anno 😀 L’ultimo capitolo di “L’ho uccisa perchè l’amavo” con Michela Murgia è su questo. Perché fornire statistiche non precise fornisce il destro per i negazionisti, che non sono pochi.

  7. brava. Sgolati anche sulla 27a ora, dove i miei commenti restano in moderazione, purtroppo, e l’elenco delle donne uccise in quanto donne comprende bambine di un anno e mezzo.
    Lucio commenta molto opportunamente, e anche Garufi, l’altro giorno, quando scriveva che ci sono “due idiozie” che si fronteggiano.

  8. Sai bene, Loredana, che – fino ad oggi, almeno – chiunque obiettasse ai “numeri” era tacciato di “negazionsimo”. Un approccio ottuso, intollerante e violento, più interessato al consenso della parrocchietta che alla conoscenza e alla verità dei fatti.

  9. Lucio, anche il suo conto è tutt’altro che inattaccabile. Lei riconduce a femminicidio solo le vittime di violenza maturata in ambito – diciamo così – “affettivo”. Ma è femminicidio (“uccisione di donna in quanto donna”) anche l’eventuale omicidio di una sconosciuta in seguito a uno stupro. Non so se ci sono casi così, ho letto i numeri molto di fretta. Ma, se ci sono, fanno salire il totale e lo portano in qualche punto tra 81 e 151.
    Comunque ho chiamato l’istituto, il rapporto è in vendita (anche se purtroppo non i dati: solo lo studio e solo in cartaceo o in pdf). Se ho tempo, me lo compro e magari ci torniamo su.

  10. @Diana Corsini: non è che chiunque obiettasse venisse tacciato di negazionismo. E’ solo che per obiettare bisogna saperli leggere, i numeri; invece i vari Toniolo, Mazzola, un tale QuitTheDoner e non ricordo chi pretendevano di fare il fact checking senza capire una cippa di statistiche. Erano un esperto di scienze politiche, un avvocato, un notaio, insomma fact checker de noantri, che non si capisce per quale motivo erano convinti di saper leggere i numeri meglio degli altri. Loro, i razionali. Gli altri tutti isterici. Sono stati abbondantemente sbugiardati dal sottoscritto e dalla direttora centrale ISAT Linda Laura Sabbadini, e mi pare che per ora abbiano deciso di starsene in disparte. La lunga querelle è ben riassunta qui: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2013/05/27/il-fact-screwing-dei-negazionisti/.
    Secondo me più che del pallottoliere molti di questi signori avrebbero bisogno dell’analista, per capire quale ossessione li spinge a negare anche ben al di là dell’evidenza. Ma questo è solo il mio parere.
    Quanto alla necessità di fare pulizia dei numeri, togliendo dal conto chi non c’entra assolutamente niente, siamo in tanti a sostenere questo punto di vista. Purtroppo, se non saranno l’ISTAT o il Ministero dell’Interno a mettere in piedi un osservatorio professionale degno di questo nome temo che sarà dura.

  11. @Maurizio. Su una cosa sono d’accordo con lei: fare e leggere le statistiche è un lavoro complesso. Chi le fa e chi le legge dovrebbe prima di tutto sottolinearne gli aspetti non-assoluti e problematici, prima di tradurli in slogan. Questo esigerebbe un approccio scientifico (=onesto) ai fatti. Per il resto, guardi, io sono finita rapidamente tra i negazionisti per molto meno.
    Ho avuto modo di parlare a lungo con un dipendente ISTAT, tempo fa, e penso di poter dire che neanche l’ISTAT andrebbe preso per oro colato.

  12. L’appello all’autorità è una fallacia logica e questo vale anche per l’Istat. Niente va preso per oro colato. Neanche le parole del dipendente, però. Non basta lavorare li per saper leggere i dati. Spesso non basta neanche una laurea in statistica, mi creda.

  13. Infine, Diana Corsini: chi fa le statistiche non fabbrica slogan, ma solo numeri. E poi tace. Gli slogan li fabbricano quelli che nei numeri credono di leggere ciò che hanno in testa. E’ pareidolia, lo stesso fenomeno che ci fa credere di vedere un drago in un ammasso di nuvole e un complotto in una successione di eventi casuali. “Il femminicidio non esiste”, per esempio, è uno slogan costruito su una lettura (errata) dei numeri. Ma non sono stati né l’ISTAT né il Ministero dell’interno, a coniarlo: loro si sono limitati a fornire dati. Pochi e incompleti, ma solo dati.

  14. Quei dati sono noti e sono stati dibattuti. L’autore del pezzo sembra non essersene accorto e ripropone le stesse tesi a suo tempo messe in discussione. Tanto per cominciare, i dati non sono quelli del femminicidio ma quelli degli omicidi di donne, e già questo basterebbe a far saltare per aria tutto il discorso. Proprio sulla base di quanto ci siamo detti fin qui. Per quanto ne sappiamo, in Finlandia potrebbero morire più donne perché più emancipate, più mobili sul territorio e quindi più soggette a rapine, diatribe per questioni finanziarie, ecc. Non lo so se è così, ma potrebbe. E poi domande retoriche come “perché ci si allarma adesso e non negli anni ’90, quando i femminicidi erano gli stessi” hanno avuto risposta da un pezzo: da un punto di vista statistico, il perché sta nel fatto che allora i femminicidi erano una quota minore di quanto non lo siano oggi del totale degli omicidi (nel periodo delle guerre di mafia in Italia venivano ammazzate ogni anno 1.500 persone contro le 500 di oggi ed è normale che la priorità fosse quella, la criminalità organizzata). Insomma, un gran dispendio di numeri e parole per dire cose né nuove, né convincenti.

  15. p.s. il post di llemgam è del 2012. E nel 2012 mi sembravano assolutamente nuove e convincenti. Anche oggi, se è per questo.
    A parte il blog Abbattoimuri (la cui titolare ha frequentato per anni i siti e i blog sulla Questione Maschile, dai quali ha attinto abbondantemente temi e dati), non mi pare di aver letto voci femminili – fino ad oggi – che obiettassero alla deriva della narrazione postfemminista – sul femminicidio e molto altro.

  16. Veramente se ne era già parlato anche allora. Se tiro fuori vecchi interventi su questo blog e altrove, in quel periodo queste cose erano già state discusse a fondo. Ma quello che trovo interessante è che ancora oggi questi ragionamenti risultino “convincenti”. Ma sulla base di cosa? Sono stati confutati sul piano logico e su quello dei dati; da professionisti, non fa gente improvvisata. Nessuno si è mai chiesto come mai nel dibattito non siano mai intervenuti statistici di professione, se non a sostegno della tesi – chiamiamola così per comodità – “pro esistenza femminicidio”. Il fatto che qualcuno abbia usati dati sbagliati in modo strumentale non dovrebbe diventare un argomento a sostegno di ragionamenti altrettanto sbagliati, ma di segno opposto. Si rimprovera all’Eures (giustamente) di usare i dati di tutti gli omicidi e non solo quelli relativi ai femminicidi, ma si definisce “convincente” un’argomentazione che fa la stessa cosa, solo giungendo ad altre conclusioni perché si sposta su un piano internazionale. In questo modo, se sistematicamente ci si rifiuta di accettare l’evidenza, ragionare diventa impossibile. Una cosa è la condanna dell’isteria mediatica e della comunicazione in malafede, altra cosa è arrivare a sostenere una tesi opposta perché si detestano i sostenitori estremi di una certa parte.

  17. Una cosa è la condanna dell’isteria mediatica e della comunicazione in malafede, altra cosa è arrivare a sostenere una tesi opposta perché si detestano i sostenitori estremi di una certa parte.
    E’ vero. Ma è difficile sottrarsi a questa tentazione, quando quelli che definisci “sostenitori estremi” sono la quasi totalità dei sostenitori. A meno che non vogliamo definire – per fare un esempio – la 27a ora del Corriere un covo di estremisti.

  18. Ah. Vabbe’. Io però se non le dispiace mi ritiro da questa discussione. Come statistico sono abituato al metodo scientifico, a cercare di incidere sulla realtà a a partire dai fatti, non dalla percezione che si può avere degli ipotetici compagni di strada.

  19. Nei dati sempre citati dai centri antiviolenza vengono compresi come femminicidio anche: suicidi, delitti di cui il colpevole non è stato trovato (e che quindi, tecnicamente, potrebbero essere stati commessi da una donna), omicidi di criminalità dove la vittima è una donna.
    Eì per questo che la questione non viene presa sul serio: non si può dire che la cassiera del supermercato uccisa durante uan rapina sia stata uccisa “in quanto donna”, o che la nonnina vittima di uno scippo sia stata uccisa “in quanto donna” e nemmeno che l’anziana malata di Alzhaimer uccisa dal marito coetaneo e anch’egli malato per disperazione sia stata uccisa in quanto donna”.Nei primi due casi se ci fosse stato un uomo allo stesso posto sarebbe stato ucciso ugualmente, l’ultimo è uno di quei delitti della disperazione che nulla ha a che vedere con il patriarcato e le teorie femministe…a meno di non considerare allo stesso modo, i delitti che avvengono con la stessa modalità da parte di genitori (anche madri) sui figli disabili, ad esempio.

  20. Confermo che la realtà dell’informazione media corrente sul femminicidio resta quella appena descritta da Tiziana. Basta fare un giro sui blog e i siti femminili (Che tra l’altro abolirei, perché oltre che anacronistici rendono un pessimo servizio alle cause che dicono di sostenere, autoghettizzandosi).
    Mi sembra importante che alcune donne (femministe e/o non) comincino a obiettare – ai numeri in circolazione e ai criteri/indici statistici. Come fa anche Loredana.
    La fattispecie di delitti familiari che Tiziana definisce “della disperazione”, per esempio, ha ben poco a che fare con dinamiche di genere o simili, per esempio. O con l’educazione sentimentale, la cultura, la pubblicità e gli stereotipi, eccetera.

  21. @Tiziana: non so se lei, dandoci queste notizie, pensa davvero di dirci qualcosa di nuovo a cui nessuno di noi aveva mai pensato. Spero per lei di sì, ma in quel caso la dovrei (stancamente) invitare a leggersi il pregresso di almeno tre anni, perché non è che chi si occupa di queste faccende caschi proprio dal pero, in attesa che qualche novello Copernico arrivi a illuminarlo come sembra presumere di fare lei. Comunque spero lo stesso che sia questo, a muoverla. Perché, se invece è al corrente di quanto detto e scritto nei suddetti tre anni, devo presumere una dissonanza cognitiva: l’ignorare consapevolmente quanto di scritto e di detto confuta le proprie cognizioni a priori. In questo secondo caso, indubbiamente più grave, non saprei cosa fare per lei; nel primo, invece, lo so ma non ne ho voglia: ci può pensare anche da sé a leggere quanto è stato scritto, senza bisogno che ad ogni discussione si debba ripartire dall’uovo e dalla gallina. Io, almeno, non ho alcuna voglia di farlo.

  22. @Maurizio. Le do di nuovo ragione, sul discorso di fondo – e cioè che Tiziana, io o llemgam non abbiamo scoperto niente di nuovo e che certamente ci sono stati e ci sono studiosi e commentatori (uso sessisticamente il maschile per semplificare) capaci di andare al di là delel semplificazioni. (A proposito della “lettura” delle statistiche, ricordo un bell’articolo di un’attivista dell’UDI – forse una docente di statistica – sul World Gender Gap Report, e la mala informazione).
    Quello che registriamo, se mai, è la semplificazione corrente, che fa più danni che altro. Una semplificazione che spesso è colpevole perché arriva dai professionisti dell’informazione – cioè da quelli che prima di fare un titolo o scrivere un articolo, dovrebbero approfondire (=lavorare) un po’ di più e meglio. O da attivisti, blogger e politici a cui serve solo uno slogan buono per raccogliere consensi (e/o follower, visualizzazioni, MiPiace ecc.)
    Se lei ha scritto post o articoli al riguardo su un blog o testata cliccabile, personalmente mi interesserebbe leggerli.

  23. No, articoli mai. Sono sempre intervenuto in rete. In buona parte quello che penso è riflesso nel capitolo dedicato ai dati del Libro “L’ho uccisa perché l’amavo: falso!” di Loredana Lipperini e MIchela Murgia, capitolo al quale ho dato un contributo (e infatti le autrici hanno avuto la delicatezza di citarmi). Un bel contributo è quello della collega statistica Linda Laura Sabbadini, che si può ascoltare attraverso il podacast che in questo blog è stato segnalato. Forse lei ha anche delle pubblicazioni, ma non ne sono sicuro. Comunque la polemica contro l’uso strumentale e scellerato dei dati per far lievitare l’allarme mi è sempre appartenuta. Ricordo un flame furente sotto un thread di Claudio Rossi Marcelli, che vive in Svizzera, e aveva postato la prima pagina di un giornale di quel paese che apriva con il titolo “In Italia si uccide una donna ogni due giorni”. Feci notare che, secondo confronti ufficiali internazionali, in Svizzera se ne uccidevano di più (in proporzione alla popolazione, ovviamente, dato che gli svizzeri sono meno di noi). Moltissime e moltissimi non gradirono, ma era la verità. La comunicazione isterica e in malafede aveva travalicato i confini, fino a dare dell’Italia l’immagine di un paese di carnefici. Non che ne voglia fare una questione di orgoglio nazionale, ma insomma… anche alimentare certi stereotipi internazionali sul nostro presunto “carattere nazionale” non è un bel servizio, né alla verità né alle persone. Né, soprattutto, alle donne svizzere, rassicurate senza fondamento.

  24. Mi congratulo con lei, allora. Possiamo pensarla diversamente sulla “questione di genere” e su tante altre cose, ma sull’uso strumentale (semplificatorio e – a volte – truffaldino) di dati e statistiche siamo d’accordo, mi pare.

  25. p.s. anche alimentare certi stereotipi tipo “violenza è maschio” sicuramente non aiuta la causa – nessuna causa, per quanto mi riguarda. Chi si occupa di abusi infantili sa che è semplicemente falso.

  26. Più che d’accordo. La violenza non è un destino scritto nei geni. E’ una scommessa affermare questo, perché al momento non c’è evidenza scientifica né in un senso, né nell’altro e forse non ci sarà mai. Ma io sono convinto che negli esseri umani la cultura domini largamente sulla natura, e che se per caso dovesse esistere una maggiore predisposizione alla violenza da parte degli uomini avremmo comunque a disposizione tutti gli strumenti per neutralizzarla.

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