STARE ACCOSTO ALLE COSE: I 17.000 ABITANTI PERDUTI

“Chi sta troppo accosto alle cose, le cose lo afferrano e se lo pappano. Ma questa è la storia dei nostri giorni”. (Asor Rosa su Fortini).
Dal momento che fra una settimana sarò di nuovo nelle Marche, mi accosto alla cosa. Ovvero, alla questione dello spopolamento, che è faccenda difficile da mandar giù. Dicono gli ultimi dati che dal 2016 a oggi si sono persi 17.000 abitanti nelle aree del terremoto. Bene, che si fa? Se leggete l’articolo, noterete che molto spazio viene dato alla vecchia soluzione: le filiere di produzione, le aziende. E’ evidente che una questione complessa richiede soluzioni complesse: il problema, però, è che non pare venga dato troppo spazio ad altre possibilità che non siano quelle che nei fatti sono già superate.  Allora, ancora una volta ripesco Alex Langer. Il 10 febbraio 1989, al termine di un lungo e interessante intevento, diceva:
“C’è stata un’esperienza interessante nella nostra provincia, a Bolzano. Quest’anno abbiamo promosso una manifestazione contro il progetto di una centrale elettrica che avrebbe praticamente prosciugato una valle per convogliare tutte le acque in un invaso. Gli organizzatori valligiani della manifestazione hanno curato esplicitamente il coinvolgimento e la partecipazione anche dei turisti. Hanno avuto il buon gusto di scegliere in particolare quelli che nella valle ci andavano da molti anni e che quindi avevano anche una maggiore credibilità nel dire: “questi luoghi interessano anche a noi”. Certo, una simile scelta interpellava di sicuro anche il mercato e l’economia.
Un altro esempio: finora il traffico nella mia regione, il Sudtirolo, era visto sostanzialmente come veicolo di ricchezza e di turismo. Oggi la quantità di traffico che attraversa il passo del Brennero comincia a diventare controproducente dal punto di vista del turismo e rende la zona meno appetibile sotto questo profilo.
C’è quindi un ampio spazio di aggregazione e di alleanze per chi vuole solo razionalizzare lo sviluppo e chi dice “no grazie”. Se non li si pone in termini di principio ideologico, su molte questioni ed obiettivi si può trovare un accordo anche con chi oggi non ha maturato una più complessiva critica allo sviluppo.
La sede politica, a mio parere, non deve essere quella in cui si misura la compatibilità dei fini ultimi, ma in quest’ambito in modo molto laico si può scegliere di fare quel che si riesce, anche in modo parziale, senza per questo rinunciare poi ad andare oltre.
Qualche parola, al proposito, sulla “questione Alpi”. Nella mia regione, l’agricoltura è stata in gran parte salvaguardata dalla Comunità europea in nome della difesa etnica, non per ragioni ecologiche o altro. Sostanzialmente si è detto: “Se qui per l’agricoltura lasciamo andare avanti il piano Manford della Comunità (così si chiamava allora), in pratica si deve chiudere tutto quello che c’è al di sopra dei 500 metri di altitudine. No, noi questo non lo vogliamo fare perché i contadini sono il retroterra del nostro popolo e della nostra cultura”. Di fatto la politica agricola della Cee è stata molto abilmente elusa; tant’è che nel Sudtirolo non c’è stato lo spopolamento della montagna, avvenuto sull’Appennino o anche nelle Alpi occidentali e centrali.
Con ciò voglio dire che le Alpi non hanno chissà quale verbo da dire, ma che nell’arco alpino il collegamento tra “verdi di testa” e “verdi di pancia” o “di cuore”, forse è più nei fatti che soltanto nelle intenzioni.
Nella provincia di Bolzano, ad esempio, ad essere più verdi, secondo me, non siamo noi che ci definiamo tali, ma a volte lo sono più efficacemente e maggiormente molti altri come ad esempio l’Unione dei contadini. Oggi, prima di questo incontro, è stato da me un cacciatore; anzi, il capo dell’associazione cacciatori. Ebbene, non esito a dire che lui gli animali li conosce e li ama più di me. D’accordo, lui li ammazza, io no, però il modo in cui nell’insieme si occupa degli animali, rispetto a come me ne occupo io, probabilmente è più efficace.
In questo caso il confronto non può fermarsi al fatto che lui va a caccia e io no, perché anche lui ha dedicato gran parte della vita agli animali. Perciò vorrei che una volta si arrivasse a rapporti più ravvicinati, anche polemici se necessario, tra persone come questi cacciatori e le persone impegnate nella battaglia animalista. In questo senso l’arco alpino, come altre zone più marginali rispetto all’epicentro dello sviluppo industriale, può offrire qualche vantaggio ai movimenti ecologisti. In queste zone, infatti, certe situazioni non sono del tutto sommerse e quindi da reinventare da zero. Anche se poi, come messaggio generale, magari è sicuramente più dirompente e più generoso quello che ci viene dall’America latina o da qualche altro posto del Terzo Mondo”.
Altro secolo, ma certo. Eppure quel rapporto ravvicinato non c’è stato. Eppure le polemiche si sono moltiplicate senza soluzioni.  Intanto penso alla valigia che farò tra una settimana e ai luoghi sempre meno abitati, e Muccia e Visso e gli altri paesi per cui ancora non si intravede il ritorno alla vita. Ci torno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto