STARE NELLA RETE COME PESCI: IL BAN DI DONALD TRUMP

“If you’re not paying, you’re the product”.
Suppongo che la frase (se non paghi, il prodotto sei tu) sia conosciuta ormai a memoria. Sappiamo tutto, abbiamo visto The social dilemma, siamo consapevoli del luogo virtuale in cui ci muoviamo. Qualcuno (non così tanti) ha deciso di tirarsi fuori. Altri continuano senza pensarci troppo, altri ancora sperano, o si illudono, di poter cambiare le cose.
Ora, vorrei tornare su un episodio che mi sta dando da pensare: come immagino si sappia, Marco Zuckerberg,il creatore e il sovrano di Facebook e non solo, annuncia ieri di aver bloccato gli account FB e Instagram di Donald Trump: “La sua decisione di utilizzare la sua piattaforma per condonare piuttosto che condannare le azioni dei suoi sostenitori al Campidoglio ha giustamente disturbato le persone negli Stati Uniti e nel mondo. Abbiamo rimosso queste affermazioni ieri perché abbiamo giudicato che il loro effetto — e probabilmente il loro intento — sarebbe stato provocare ulteriori violenze”.
Molto bene, molti applausi. Certo, ci si potrebbe chiedere come mai i tanti account fasulli o violenti o diffusori di menzogne abbiano agito per mesi indisturbati e agiscano ancora, ma non chiediamocelo e andiamo avanti. Ha fatto bene Zuckerberg? Certo, ha fatto bene. Il quasi-ex-presidente degli Stati Uniti ha agito e agisce in modo irresponsabile e pericoloso. Quindi togliergli la piattaforma da sotto i piedi è corretto.
Ma è stato un gesto di democrazia?
Forse sì, anzi sì, potreste rispondermi: del resto non è neanche una questione di democrazia, ma di rispetto delle regole della piattaforma stessa. Questo mi hanno scritto in molti, ieri sera, proprio su Facebook.
Ma chi vigila sulla democrazia, certamente messa in pericolo ANCHE da un delirante quasi-ex-presidente degli Stati Uniti?
Perché se la difesa della democrazia viene delegata a un impero digitale non mi sembra il caso di essere così tranquilli. Come giustamente ha scritto uno dei non molti commentatori che aveva compreso il punto, siamo di fronte a “un soggetto privato che autonomamente sceglie se e quanto permettere al rappresentante in capo di uno stato di esprimersi”. E’ un cambio di paradigma incredibile e, come altri, mi chiedo cosa ne avrebbe scritto Foucault.
Invece, sono rimasta molto turbata dalla discussione che si è svolta su uno status che era di riflessione e non certo un generico”oddio Facebook ha censurato Trump abbasso la censura rutto libero”. Tutt’altro. Il mio interrogarmi nasce dal nostro conferire potere a un impero economico di proporzioni spaventose. Perché non credo che Mister Zuckerberg abbia fatto quel che ha fatto in quanto sincero difensore del Bene: lo ha fatto per non incrinare quel potere, il suo, con comportamenti che potrebbero provocargli qualche problema. Con tutto il rispetto, plaudendo senza riserve al bravo Zuckerberg, ci comportiamo come se, millenni fa, avessimo conferito ad Agnelli la difesa degli operai. E chiedo venia in anticipo per la rozzezza del paragone, dal momento che i tempi e i modi non sono paragonabili affatto.
Dunque, ricapitolando. Bene il ban di Trump, figurarsi. Non così bene la delega in bianco: davvero siete così tranquilli nel pensare che a decidere cosa sia democratico e cosa no sia Facebook?
Un sistema economico è saltato ed è morente nei paesi Occidentali: un altro, dominato da un pugno di imponentissime multinazionali (Google, Amazon, Facebook) è più vivo e prospero che mai, anche se la resistenza a riconoscerlo è ancora alta.  In un lungo e documentatissimo post su Giap! del 2011 (DIECI ANNI FA!), i Wu Ming ricordano che le compagnie “identificate con la Rete” vengono però percepite come “meno aziendali”: lo stesso stupore accolse infatti l’ondata di suicidi tra gli operai della Foxconn, multinazionale cinese nelle cui fabbriche si assemblano iPad, iPhone e iPod.
Questo perché, dicono ancora i Wu Ming, “quando si parla di Rete, la “macchina mitologica” dei nostri discorsi – alimentata dall’ideologia che, volenti o nolenti, respiriamo ogni giorno – ripropone un mito, una narrazione tossica: la tecnologia come forza autonoma, soggetto dotato di un suo spirito, realtà che si evolve da sola, spontaneamente e teleologicamente. Tanto che qualcuno – non lo si ricorderà mai abbastanza – ha avuto la bella pensata di candidare Internet (che come tutte le reti e infrastrutture serve a tutto, anche a fare la guerra) al… Nobel per la Pace. A essere occultati sono i rapporti di classe, di proprietà, di produzione: se ne vede solo il feticcio”. Il net-feticismo è quello che pone l’accento sulle pratiche liberanti di Internet (che ovviamente ci sono e sono tantissime) liquidando come eccezioni quelle assoggettanti (che ugualmente ci sono e sono tantissime). Delle seconde, anzi, non si vuol sentir parlare. Scrivono ancora i Wu Ming: “La questione non è se la rete produca liberazione o assoggettamento: produce sempre, e sin dall’inizio, entrambe le cose. E’ la sua dialettica, un aspetto è sempre insieme all’altro. Perché la rete è la forma che prende oggi il capitalismo, e il capitalismo è in ogni momento contraddizione in processo. Il capitalismo si affermò liberando soggettività (dai vincoli feudali, da antiche servitù) e al tempo stesso imponendo nuovi assoggettamenti (al tempo disciplinato della fabbrica, alla produzione di plusvalore). Nel capitalismo tutto funziona così: il consumo emancipa e schiavizza, genera liberazione che è anche nuovo assoggettamento, e il ciclo riparte a un livello più alto”. Facebook, dunque, si basa sul pluslavoro degli utenti: “Zuckerberg ogni giorno si vende il tuo pluslavoro, cioè si vende la tua vita (i dati sensibili, i pattern della tua navigazione etc.) e le tue relazioni, e guadagna svariati milioni di dollari al giorno. Perché lui è il proprietario del mezzo di produzione, tu no. L’informazione è merce. La conoscenza è merce. Anzi, nel postfordismo o come diavolo vogliamo chiamarlo, è la merce delle merci. E’ forza produttiva e merce al tempo stesso, proprio come la forza-lavoro. La comunità che usa Facebook produce informazione (sui gusti, sui modelli di consumo, sui trend di mercato) che il padrone impacchetta in forma di statistiche e vende a soggetti terzi e/o usa per personalizzare pubblicità, offerte e transazioni di vario genere”.
Ma tutto questo funziona se sei contento di farlo. E noi siamo ben contenti di contribuire al successo di Facebook, di Google, di Amazon, perché in molti casi sono i meccanismi di socializzazione che vi sono stati attivati a renderci sempre più disposti a tutto pur di ottenere il fascio di luce non di un riflettore, non più, ma di una semplice torcia, e per vendere quel prodotto unico e meraviglioso che siamo noi stessi.
Trump, e non solo lui, è esattamente il frutto di questo processo. Allora, prima di applaudire Zuckerberg, gioverebbe fare un paio di pensierini su cosa significa questo ribaltamento di poteri. Perché di poteri si tratta, mai di giustizia.

4 pensieri su “STARE NELLA RETE COME PESCI: IL BAN DI DONALD TRUMP

  1. Sostanzialmente sono d’accordo.
    Ribadisco la mia convinzione che un mattone del muro sia stato l’acritico utilizzo delle istituzioni di questi social come mezzo di informazione para-ufficiale. Se usi Facebook o Youtube per ritrasmettere una conferenza stampa del ministero con la scusa che “così raggiungi più persone” finisci per dare più importanza a Fb e YT e a conferirgli inoltre un’implicita autorevolezza.
    Non sono convinto che la soluzione sia l’introduzione dello stato nella gestione/moderazione/giudizio dei contenuti di questi social, ma solo di limitarne la rispettiva importanza.
    Soluzione rozza (“chiedo venia in anticipo”, ma non sono un super-esperto e non ho tanto tempo per sviluppare meglio il concetto): antitrust, spezzettare i giganti, barriere all’ingresso (anche economiche nel caso, tipo una tassa sui post: gratis fino a 20 all’anno, poi paghi la concessione statale).

  2. Parole pienamente condivisibili, e meno male non essere più su FB e risparmiarmi certi tormenti. PEr rispondere anche ad Evaristo, proprio ieri mi lamentavo perché cercando notizie sull’apertura o menodelle scuole nel comune dove vivo ho letto un comunicato stampa del sindaco in cui si annunciava l’ormai immancabile diretta facebook, che io non posso seguire non avendo e non volendo un account lì sopra. Come si è potuto abdicare a tutto ciò a livello istituzionale davvero non me ne capacito ancora.Mancano riflessioni in merito, nel mio piccolo ci provo e ci riprovo, ma chissà se serve davvero a qualcosa.

  3. Mi duole dover notare, cara Loredana, che “millenni fa” un “sindacato giallo” conferì di fatto la difesa degli operai agli Agnelli, tramite un certo Romiti (con l’applauso della solita maggioranza “silenziosa”), così come una buona parte degli stessi operai accettò di farsi “difendere” da Marchionne… Certo, in questi casi c’era un ricatto più o meno esplicito: o accetti le nuove regole, o resti senza lavoro; mentre i Social lavorano “di fino” giocando sul nostro più che effimero narcisismo. Ma, in fondo, c’è vera differenza? La sopravvivenza fisica dei primi casi è forse diversa da quella psichica generata dall’ultimo? Mi si dirà che la prima pulsione è “ovvia” e “positiva” (perché porta al mantenimento della vita), mentre la seconda è “deviante” e “palesemente patologica” quindi “negativa”… ne siamo così certi? Tutto sarebbe giustificabile in nome della mera sopravvivenza? Mi sembra che i Social abbiano realizzato il perfetto ritorno allo “stato di natura” ovvero al “diritto del più forte” con tanto di abbattimento del modello basato sulla scrittura, ormai via via sostituita dalle immagini e dai suoni (con il linguaggio ridotto allo slogan più semplice e d’effetto possibile): come se stessimo tornando alle pitture rupestri delle caverne, ma in salsa tecno-digitale. In questo senso il nuovo potere è ben più pervasivo e pericoloso di quanto le distopie orwelliane o huxleyiane abbiano potuto immaginare: forse ha ragione il Governo Cinese nell’osservare il malanno -mortale?- che sta colpendo la democrazia? Peccato che al suo posto sia già pronta -e già parli- la tirannia, in perfetto clima neo-platonico.

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