SUI NON LETTORI E SU ALCUNE POSSIBILI CAUSE

Meglio scriverlo subito: non esiste una sola causa, non esiste una soluzione univoca. Parlo del rapporto AIE presentato ieri a Francoforte sulla situazione editoriale italiana. La sintesi ci dice che il bacino dei lettori si è ancora ristretto nel 2014  (-3,4%, ovvero 848.000 lettori perduti) e che il mercato “si ridimensiona” (-3,6%). A Francoforte sono stati ricordati anche i dati Istat sulla lettura, secondo i quali  chi non legge neppure un libro, sempre nel 2014, è il 58.6% degli italiani. Nel particolare. Il 39,1% di tutti i professionisti e dirigenti italiani non legge. Il 25,1 di tutti i laureati italiani non legge. Significa che circa il 40% dei professionisti, dirigenti e manager italiani non legge. Significa quasi la metà. Significa che la classe dirigente, per larga parte, non legge – attenzione- neanche UN libro l’anno. E quel quarto di laureati che ugualmente non legge neanche UN libro l’anno va messo a confronto con le stesse percentuali di altri paesi. Ovvero: in Spagna i laureati non lettori sono 8,3 e i dirigenti il 17. In Francia il 9 i laureati, i dirigenti e professionisti il 17.
Le cause, dicevamo.
Scrivevo ieri sera su Facebook che è interessante notare che parte delle reazioni si concentra più su come si realizza un’indagine statistica che al dato secco. Che potrà variare, senza dubbio, ma che in questo caso conferma una tendenza visibile in altri modi: chiusura di librerie e di case editrici, accorpamenti, licenziamenti annunciati, e via così. Detto questo, facciamo la domanda fatale.
Perché mai non si legge in Italia, a eccezion fatta di quel settore sempre in crescita che riguarda bambini e ragazzi?
Le risposte che vengono date sono numerose e provo a elencarle.
La prima riguarda il fattore tempo. Abbiamo meno tempo. Siamo costretti a cercare metodi supplementari (o primari) per tirare avanti. Siamo stanchi. Siamo esausti, e anche un po’ tristi.
La seconda riguarda i soldi: i libri costano troppo, non possiamo comprarli. Rileggiamo i vecchi libri oppure andiamo in biblioteca.
La terza riguarda Internet: io leggo lo stesso, vien detto, ma leggo soprattutto post e status e articoli on line. Non è la stessa cosa rispetto alla lettura di un libro, è vero, ma è pur sempre lettura.
La quarta, fra le più popolari, ci dice che dal momento che l’editoria sforna schifezze, non si è più invogliati a leggere (anche le non schifezze).
La quinta dice che la lettura viene sminuita, così come la cultura tutta, in quanto non utile. E il dato sui dirigenti e professionisti non lettori andrebbe a confermare il timore.
In ogni risposta c’è una parte di verità, ma non mi basta.
Provo a dire la mia.
Per cominciare, metterei al primo posto l’ultima considerazione. E’ molto vero che la cultura viene sminuita, ma in molti casi è colpa di chi fa cultura, e continua a dipingerla come una faccenda per pochi (pochi eletti e aggiungo anche maschi nella maggior parte dei casi: siamo eruditi, siamo intelligenti e in tempo di social persino brillanti e -uh!- urticanti, noi sappiamo come vanno le cose e cosa è letterario e cosa no, voi zitti e applaudite).  Prendo in prestito le parole di Annamaria Testa, da un vecchio post su Nuovo e Utile:
“Leggere libri è interessante, emozionante, utile, divertente, magico. È un gesto creativo: vuol dire ri-creare mondi, viaggiare col pensiero e vivere mille vite. Scoprire. Perdersi e ritrovarsi. Capire. Moltiplicare i secondi e far passare le ore in un lampo. Vuol dire volersi bene. E mille altre cose. Vuol dire entrare nella mente dell’imperatore Adriano e nel cuore di un serial killer o di una dama libertina del ‘700, viaggiare ai confini della galassia, passare attraverso uno specchio, essere una spia ai tempi della Guerra Fredda, un monaco medievale, un pirata, un samurai o una geisha. Vuol dire trovare un’orma su un’isola deserta. Costruire una cattedrale. E vuol dire chiacchierare con gli scienziati e i filosofi, sapere come funziona una società umana o il pianeta, scoprire di che cosa siamo fatti: di DNA, o di carbonio, o di psiche e anima, o di ricordi?
Eppure sembra che le campagne italiane per la lettura siano non tanto pensate per i non lettori quanto commissionate da non lettori, che non hanno la più pallida idea di che cosa sia la passione di leggere. E di come la si può suscitare.
Non lo dico da pubblicitaria. Lo dico, prima di tutto, da lettrice”.
Dunque, in un paese che non legge (per millanta motivi: unificazione tardiva e ancor più tardiva alfabetizzazione, per giunta dovuta – e sia comunque reso grazie – più alla televisione che alla carta, far diventare una novità una consuetudine diffusa è difficile), da una parte le campagne per la lettura sono  romantico-idealistiche con signorine biancovestite sui praticelli in fiore, dall’altra gli intellettuali accarezzano in grandissima parte il vecchio giochino del “difficile dunque bello”, per cui i narratori (Karen Blixen inclusa, per dire, incluso Murakami, non parliamo di King, ma includiamo Nemirovsky) sono troppo popolari e troppo, insomma, ad Alta Leggibilità, roba da donnine lettrici (senza le quali, e i dati lo confermano, non ci sarebbe storia, nel senso che non ci sarebbe neppure quella meno-della-metà di lettori che abbiamo).
Ecco, la prima responsabilità, a mio parere, è di chi disprezza la lettura pur essendo scrittore e critico letterario: disprezzare la lettura significa disprezzare la trama, la storia, la magia del leggere, significa giudicare malissimo lo scrittore o la scrittrice troppo venduti, non capire quanto J.K.Rowling, per dire, ha fatto per far crescere una nuova generazione di lettori, sperando che quella generazione non si perda, certo.
Questo è uno dei motivi, e non il solo.
L’altro, che a mio parere è altrettanto importante, è la mancanza di fiducia nei confronti di chi parla di libri. Un po’ giustificata, ma solo un po’. Così come è giustificata, e più di un po’, la diffidenza nelle classifiche di Amazon e nelle recensioni on line, perché in molti casi, e lo si è visto anche di recente, le prime sono gonfiate e le seconde interessate. Però, diamine, fidatevi di qualcuno: trovatevi un lettore forte di riferimento e ascoltatelo, se avete deciso che la critica letteraria non va presa in considerazione (e non sono d’accordo, nonostante i distinguo di cui sopra). Perché a chi sostiene che si pubblicano solo schifezze rispondo fieramente che non è vero, e l’ho anche scritto in passato, e che solo in una settimana (una, questa), ho letto due libri (li ricito, e se pensate che sia coinvolta in loschi traffici con gli autori sono affaracci vostri e non miei: Il giardino delle mosche di Andrea Tarabbia e Le cose semplici di Luca Doninelli) che sono italiani e di qualità altissima.
Dunque? Dunque c’è un problema di fiducia (enorme), un problema di snobismo (notevole),  “anche” un problema di editoria, un problema di tempo e un problema culturale. Non esiste una soluzione, o comunque non sono io ad averla: se non fidarmi. Della scuola, degli scrittori, dei lettori e persino degli editori. L’alternativa è farmi gli affari miei, preoccuparmi dei miei libri e leggere quelli che mi piacciono e smettere di parlarne.
Ma non lo farò.

22 pensieri su “SUI NON LETTORI E SU ALCUNE POSSIBILI CAUSE

  1. Io aggiungerei un altro fattore: leggere è faticoso. Ma ripaga. Il problema è che finché non scatta il meccanismo per il quale so che la mia fatica sarà ripagata, difficilmente sarò attirata dai libri.

  2. Io sono un lettore compulsivo,. lo sono sempre stato e sempre lo sarò , anche se il giorno della consegna a Stoccolma del premio in corone o euros , non mi formalizzo, il premier, in olovisione, mi chiedesse di trovare una quadra, restituire la cosa pubblica ai cittadini, nutrire le loro sperare e nel contempo non mollare il mio progetto di dare una nuova lingua alla nazione via un nuovo romanzo nazionale, magari senza tutta quella Provvidenza e le liste di don Ferrante e che sia leggibile su supporto elettonico x chi va al lavoro su supporto magnetico e rischia di saltare le fermate tanto è appassionante quello che sta assumendo. Non è una questione di tempo. A mio modesto e sindacabilissimo parere, si legge x due motivi ovvero quel buchetto romanticamente nei pressi del cuore, sebbene sia da qualche parte tra i neuroni, qualcosa come quel languorino che arriva alle due del mattino mentre si legge uno di quei tizi che in vita è stato magari davvero su di un cargo battente bandiera liberiana e che la breasaola e i crackers salati possono a malapena rintuzzare e l’amore per la parola e le strutture in cui la caliamo e la coccoliamo. La seconda che ho detto, con tante scuse a “Quelo” Guzzanti, è micidiale e insidiosa. Una avversativa ” ma ” dopo un punto, quando un vecchio bacucco come il sottoscritto ci avrebbe piazzato una virgola, è come saltare dalla scrivania a piedi nudi sopra i biscottini proustiani sbriciolati e scoprire che sono in combo con il bicchiere del Martini di 007 parcellizzato da un Erripotter birichino. Nonono. Cattiva. Noi lettori compulsivi saremo sempre lì, a caccia di reminders e libri usati e qualche volta persino nuovi e li leggeremo al posto della ns classe dirigente e nonostante coloro che dai loro diari elettronici e da quegli articoletti che terminano con la previsione del tempo di lettura ci spiegano perchè sanno meglio di noi cosa è il caso di leggere e cosa può aspettare. Saremo gli unici a tremare come un personaggio di King immobilizzato a letto davanti ad una infermiera del dimonio quando sentiremo la barza del tizio che chiede all’amico se ha mai letto la Bibbia per sentirsi rispondere che no, ma ha visto il film. Noi saremo sempre lì a reggere la baracca. Andremo ovunque ci sia bisogno di noi. Ma non in Spagna. Mm. Non è così male: dopo il punto acquista in potenza. Vedremo.

  3. Cara Lipperini. Credo invece che la ragione stia tutta nella terza risposta, macroscopica nella su evidenza ma stranamente buttata là al pari delle altre.
    Oggi non si è mai letto così tanto, nel senso di numero di righe al giorno. Semplicemente si comprano meno libri e non ha molto senso continuare a stilare sondaggi scornandosi con atteggiamento basito verso una classe dirigente che non legge(“Il 39,1% di tutti i professionisti e dirigenti italiani non legge. Il 25,1 di tutti i laureati italiani non legge. Significa che circa il 40% dei professionisti, dirigenti e manager italiani non legge, per usare le sue parole”).
    Ma non è che non legga in assoluto o legga peggio: legge in modo diverso e su altri media. Solo chi continui ad essere persuaso che l’informazione privilegiata passi per il testo-libro, in quel formato e nella sua interezza, può leggere il fenomeno come uan perdita e un imbarbarimento.
    La constatazione dell’equivalenza tra para-analfabetismo e quel 58.6% di italiani che non legge nemmeno un libro all’anno potrà sembrare un argomento sostenibile per l’editoria e per mondo librario che continuano a usarlo come bussola ma è completamente anacronistica nella galassia di testi consumati in modo diverso: frammentato, parafrasato, copiato, non pagato.

  4. ps
    Posso azzardare un’ipotesi cattivella? Anche prima non è che il consumo editoriale facesse il pieno nella saggisitica e nella divulgazione scientifico-artistica, eh. Diciamo che la narrativa la faceva da padrona e che l’esigenza della maggioranza dei lettori era svago/intrattenimento.
    Poiché le alternative (a costo infimo se non nullo) sono qui aumentate, è logico registrare la morte di un settore. Ma non è che si sta assistendo a un peggioramento della qualità dei lettori, eh.

  5. Da un po’ di tempo a questa parte vedo in giro tra le mani dei genitori parecchi tablet e pochi libri. Ergo i figli con quel che segue. Spiegazione solo in parte, eh! Un saluto a Crepascolo.

  6. Caro Fabio, mi capita spesso di entrare in salotto alle nove di sera – dopo aver nutrito la lavastoviglie e dopo il mio consueto pellegrinaggio nel Mistico Cortile della Differenziata e dell’Umido che mi fa sempre pensare alla Finestra sul Cortile di Hitch – e di trovare Crepascola e Crepascolino
    ( sei anni di energia dissipata in mille rivoli ) concentratissimi sui rispettivi tablets ed alle prese con i loro stramaledetti games in cui sono diventati bravissimi. Nonostante questo, la mia sposa legge sia la Austen sia Erripotter ed il ns erede si fa leggere dal sottoscritto sia le favole dei Grimm sia i fumetti di Carl Barks ( ancora x poco, immagino, considerato che sta imparando a decrittare da solo la pagina ). Il tablet non è il nemico. Non è parte del problema. E’ un nuovo veicolo di fruizione. Questo modo di scrivere telegrammatico è una droga. Mi sento tanto Richard Stark. Ciao. A tutti.

  7. Sarebbe interessante scoprire che perlomeno all`interno delle biblioteche i lettori sono aumentati. Il tutto nella consapevolezza che quei numeri relativi non sono in grado di soddisfare i piani finanziari di molti editori.La passione per i libri si trasmette con entusiasmo non mercenario. Ognuno deve fare la sua parte

  8. Caro Crepa troppa grazia Sant’Antonio! E’ fortunato Crepascolino ad avere in casa sia i tablet che i libri. Io parlavo di “altre” case ove odonsi solo il picchiettare e non lo sfogliare.

  9. La domenica dopo la Messa, come direbbe la signora Cinquetti, la mia vicina di pianerottolo, la “vedova” di un capitano di lungo corso che è uscito x la comune seguendo le orme di Gauguin, comincia a martellare inesorabilmente sul piano di lavoro della sua cucina la testolina di un polpo x il pranzo che infligge ai nipoti. Odonsi il suo picchiettare x ore. Qualche tempo fa, dopo il crepuscolo, ho bussato con la scusa di chiedere il sale e ho sbirciato nel suo salotto: aveva l’equivalente della biblio del Congresso in libri di ricette su come cucinare roba con i tentacoli. Brr. Chissà cosa ne avrebbe ricavato Lovecraft…

  10. “Ma non è che si sta assistendo a un peggioramento della qualità dei lettori, eh”.
    Davvero? Mi sembra un’opinione piuttosto impegnativa, Ugo. Qualche pezza d’appoggio? Altrimenti non vorrei fosse semplice vanità generazionale, per cui le nuove generazioni tendono sempre a sentirsi più intelligenti, informate, sexy e smart di quelle precedenti.

  11. Hai detto praticamente tutto. Dovremmo recuperare quel che veramente si riversa dalla lettura dentro di noi e diventa vita, diventa i nostri pensieri, il nostro linguaggio. Quell’intima energia che si prova quando il futuro si apre davanti a noi grazie a qualche scrittura. Non solo informazione. Molta riflessione se mai. Ecco, non so quante e quali sono le carenze dei manager dovute a questo gap. Non solo cosa si perdono, ma cosa gli manca. Sul serio.

  12. Io trovo curioso che a dare risposte siano persone che leggono, che evidentemente non possono sapere perché non si legge. Le risposte sopra sono una più sbagliata dell’altra. Si legge o non si legge per piacere, e basta. Di solito si comincia da piccoli, quando si ha una gran voglia di storie e di fantasie, e poi nel tempo alcuni perdono il piacere di leggere. Ma può anche capitare che questo piacere venga tardi. A me è capitato intorno ai 15 anni. Ad alcuni miei amici, in maniera minore, dopo i 25. A mio padre, in questi anni per lui difficili, è venuta meno la voglia, per mancanza di disposizione d’animo e di lucidità mentale. Il ritardo storico dell’Italia in parte è stato colmato, chi viveva nei ’60 avrebbe considerato ottimistiche le odierne statistiche di lettura. Non capisco poi il presupposto per cui tutti dovrebbero leggere. Ci sono persone brillanti che non traggono nessun piacere dalla lettura, laureati compresi. E non si capisce che importanza faccia se uno legge o guarda una serie tv o gioca con un videogame, o appunto legge sul web, per passare il tempo.
    Nei luoghi predisposti si faccia quello che si è sempre fatto, e lo si faccia meglio. I genitori portino i bambini in biblioteca e in libreria. Poi ci si rivede fra venti anni e si tirano le somme. Non esiste una soluzione perché non c’è un problema. A volte è difficile ammetterlo, soprattutto per un’intellettuale.
    Il fatto che la risposta più popolare sia la quarta dimostra la quantità di parole a vanvera che la gente mette in circolo, le stesse di chi non mette piede in libreria e però si duole che chiudono, le stesse di chi non legge e non vede film italiani e però il cinema italiano è pessimo, eccetera. Ecco, che queste persone leggano o meno è irrilevante.

  13. Non sono d’accordo con Stefano, perché penso che leggere sia sempre un’occasione di crescita e di approfondimento. Si risponderà che dipende da cosa si legge ed è vero anche questo. Ma non leggere affatto è peggio.
    Quanto alla differenza dei mezzi: il rapporto uno-a-uno che si ha leggendo un libro (sia cartaceo che e-book) prevede un’immersione totale, priva di qualsiasi distrazione, che non si avrà mai con la lettura di altro (siti web, post, tutto ciò in cui si interagisce).
    Però forzare a leggere proprio non si può.

  14. La responsabilità della crisi non è dei lettori. Ai Ceo dei grandi gruppi piace perder soldi con i libri, probabilmente è un gioco di alta società a cui non siamo invitati. Possibile che nella alte sfere dell’editoria (un ramo secondario dell’industria) nostrana, non ci sia nessuno che sappia come guadagnare e fare buoni libri ? Possibile… vista Mondazzoli e visto che tra qualche anno probabilmente venderà quote a qualche gruppo straniero. Secondo me ai Ceo semplicemente non interessano i libri e la cultura, è solo un affare come un altro e loro fanno soldi (si illudono) con i numeri, taglia e cuci taglia e cuci fino a che quando se proprio non va, dividi e vendi. Chi decide davvero cosa debba essere pubblicato e cosa no ? Gli editor ? Non credo… Quanta compiacenza è stata oltremodo affidata alla quantità e non alla qualità ? Le domande sono molte, il problema risolvibile, chi è al comando non ha certo voglia di farsi domande, altrimenti la situazione sarebbe ben diversa.

  15. Non credo che qualcuno sia così fesso da dire “tutti dovrebbero leggere” come se si trattasse di assumere vitamine, ci si interroga semplicemente sui perché del declino dell’editoria e delle librerie, che per la salute mentale e lo sviluppo (anche economico) di una nazione non sono insignificanti. Si può anche pensare che la lettura di un testo lungo, ricco e complesso sia equiparabile a scorrere con gli occhi centinaia di “Ciao a tutti, oggi so’ tanto contenta”, ma non è proprio la stessa cosa. Anch’io conosco persone preparate nel loro lavoro, capaci e sveglie che non aprono mai un libro; eppure, quando si intraprende una qualsiasi conversazione, la mancanza di letture si sente e come. Non servono mica eserciti di lettori-soldatini, basterebbe capire se c’è un modo per arginare la dispersione di un capitale prezioso.

  16. @Ale ha ragione, ci si interroga su un declino – non solo dell’editoria o delle librerie – e si fanno i paragoni, ovvero si notano i dati di altri paesi dove lo sviluppo è più costante ed equilibrato. Dove si da ormai importanza a molte delle cose che alcuni di noi fanno ancora fatica ad apprezzare. Io non credo che la lettura sia slegata da un certo grado di civiltà, di apprezzamento delle cose, slegata dall’affrontare le problematiche di genere, dall’onestà, da un certo tipo di etica.

  17. Ma, vedete, il declino delle librerie dipende dai lettori, non dai non-lettori. Sono i lettori infatti ad acquistare i libri nella maggior parte dei casi non in libreria. Cioè, sono i lettori, quelli civili e con una marcia in più, a far declinare le librerie. Non c’è molto da interrogarsi, c’è da andare in libreria. Ognuno ci pensi in sua coscienza.

  18. sono da sempre una lettrice. famiglia di lettori, casa piena di libri, Accademia di arte Drammatica, anni di teatro. poi i social, e il tempo di lettura si è dimezzato. era una sensazione, poi ho voluto fare una prova e ho sospeso tutti gli account per 7 mesi: ho letto non il doppio ma il quadruplo. i social sono, a mio parere, anche un generatore pericoloso di “simulazione culturale”. spesso, per tigna, mi è capitato di interloquire più approfonditamente con chi sosteneva di aver letto un certo libro e di scoprire, purtroppo, che così non era. è curioso no?, che in un tempo in cui si producono decine di #hashtag sulla letteratura e si sfornano quotidianamente romanzi, i numeri dei lettori dicano altro. e il problema da non sottovalutare è anche che le librerie offrono sempre più “prodotti” di largo consumo. le sembra possibile che alla libreria Giunti di Bracciano sia introvabile l’ultimo romanzo di Marias e che la commessa nemmeno sappia chi sia? Grazie per i suoi spunti sempre interessanti sia qui che in radio.

  19. mah, quando si parla di classe dirigente, credo che la questione della fiducia e dello snobismo non si possa applicare: si tratta di gente che avrebbe tutti gli strumenti (culturali, economici etc) per valutare e scegliere nel mare magnum di libri. Se non lo fanno è perchè la lettura (neanche dei manuali di management) è considerata un valore.

  20. Complimenti per l’articolo, trovo affascinante accostare numeri e letteratura, dirigenti e laureati (quindi professionisti e si spera futuri tali) e libri. Sono d’accordo con ElenaElle, ma solo in parte. Secondo me leggere è faticoso, ma non per forza è utile. Leggere può portare a un nulla di fatto, ma anche a una delusione, sviluppa lo spirito critico, ma non vale ad aumentare la propria “social-ità”, spesso e poi è un esperienza solitaria e la solitudine spaventa! Io credo che lo scarto italiano (come bene sottolinea Loredana quando parla di “campagne di lettura romantico-idealistiche”) è da ricercare nel fatto che si parla ancora troppo superficialmente della lettura. Leggere è atto di DISOBBEDIENZA. Proprio perchè può non servire, può essere una perdita di tempo, di soldi, di “hashtag”, news abbiamo il dovere di farlo. Leggere è necessario: smonta gli stereotipi, è “virale”. La lettura non è solo “a scuola”, la lettura è “diversa” (figurata, recitata, tra le righe, in luoghi tra i più disparati: al cesso, a letto, sul tram, a tavola, condivisa).E’ necessario fare “fatica” non solo nel prendere in mano un libro all’anno, ma reinventandosi, provando attività nuove, amando, sovvertendo le logiche, partendo da sè.

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