SUITE MEDITERRANEA

All’inizio dello straordinario Suite francese di Irène Némirovsky, dove il romanzo si sofferma a descrivere le tante vite di chi fugge da Parigi con il terrore dei tedeschi (e ognuno, certo, fugge a suo modo: con la servitù o con la macchina carica di statuine di Capodimonte, o a piedi), l ‘autrice indugia su Maurice Michaud, che tenendo per mano la moglie cerca di raggiungere un paesino dove dovrebbe trovare il direttore della sua banca.
Maurice prova pietà per i suoi compagni di esodo, come lui stanchi e affamati e smarriti, ma, scrive Némirovsky, una pietà “del genere lucido e freddo”. Come può la pietà essere lucida? L’autrice spiega subito dopo:
“Dopo tutto, pensava, queste grandi migrazioni umane sembrano governate da leggi naturali. Quei periodici spostamenti di massa sono probabilmente necessari alle popolazioni come la transumanza lo è per le greggi. Vi trovava un curioso conforto. Quella gente intorno a lui credeva che la sorte si accanisse in particolare su di loro, sulla loro miseranda generazione, ma lui si ricordava ch gli esodi erano avvenuti in ogni tempo. Quanti uomini erano caduti su quella terra (come in tutte le terre del mondo) piangendo lacrime di sangue, fuggendo il nemico, abbandonando città in fiamme, stringendosi al petto i figli: nessuno aveva mai pensato a quegli innumerevoli morti con affetto. Per i loro discendenti non valevano certo di più di polli sgozzati. Immaginò le loro ombre dolenti levarsi lungo il cammino, piegarsi su di lui, mormorargli all’orecchio:
“Abbiamo conosciuto tutto questo prima di te. Perché mai tu dovresti essere più fortunato di noi?”.
Accanto a lui, una grassa comare gemeva:
“Non si sono mai visti simili orrori!”
“Invece sì, signora, si sono visti”, rispose lui con dolcezza”
Pensavo a Maurice, questa mattina, leggendo non solo le cronache spaventose del naufragio nel canale di Sicilia, e delle centinaia e centinaia di morti annegati, ma constatando la difficoltà, appunto, della pietà stessa.  Giustamente scrive Roberto Saviano che al primo moto di empatia si viene iscritti di forza al fronte buonista, e il buonismo, in questi oscurissimi tempi, è faccenda che si consumerebbe  giocoforza nei salotti, passatempo di società di borghesi annoiati con pancia piena e culo al caldo. Peccato che non sia così. Peccato che la pietà, sia pure fredda e lucida come quella di Maurice, si fondi sulla memoria di chi siamo stati, e di chi è venuto prima di noi. Madri, padri, nonni.
Dunque mi stupivo, ieri sera, e non avrei dovuto a questo punto, leggendo l’interminabile sequenza di commenti sulla pagina facebook di Laura Boldrini, dove naturalmente si attaccava lei per quanto avvenuto nel Mediterraneo, così come si attacca lei anche se al primogenito è venuta la varicella, o se si rompe il tacco di una scarpa.
Così, ho guardato le storie di queste persone. Mi sono interrogata. Ho letto di Annarita che guarda Grey’s Anatomy e tifa Juventus (“ma a te chi te ci ha messo?”),  ho osservato Franco che lavora in enoteca e posta video che si chiamano “Ragazza che si ciba di solo sperma” (“Stai zitta”), ho visto la faccia ragazzina di Nicolò, militante della Lega, fra le pagine pagine preferite “Portare la figa come argomento a piacere” (“Si dimetta”). Mi sono chiesta cosa pensa davvero Vincenzo, informatico, che non ama il calcio e odia i giornali  (“io ti metterei su un barcone da sola senza viveri…allora si tutto avrebbe un senso”), o  Michela, estetista, che legge L’ombra del vento e ascolta De Andrè (“zecca rossa”), o  Rodolfo con la passione per le armi e i poligoni di tiro, che “sta con Silvio Berlusoconi” (“impiccati”), o ancora Massimo, medico, neosposo,  (“Assassina!!! Sei un’ assassina di immigrati e italiani!!!”), Alberta che è nonna e ama postare  cuori e coccinelle e folletti (“Sciascia avrebbe detto: donnicchia o quaquaraquà”), Maria. cinquestelle, juventina, fan dei Modà  (“come donna e mamma tu nn mi rappresenti, come presidente peggio , tu rappresenti il nullaaaaaaaaaaaaaaaaaa”), Nadia, che  ama Flavio Insinna e Patty Pravo  (“ma finitela con gli sbarchi….finira’ ke scapperemo noi…”),  Maria Domenica, un cagnolino fra le braccia, adora i cuccioli, anche di pipistrello, ma non gli immigrati  (Xke parli parli di salvare vite umane parli di razzismo forse nn ti sei accorta che sei nella lista Razzista verso noi italiani ? Cosa siamo noi immondizia ??? Vorrei proprio capire perché odi così noi italiani”).
Mi sono chiesta se Maria Domenica, Nadia, Rodolfo, Massimo abbiano avuto una madre o un padre o una nonna o un nonno che hanno percorso quelle stesse rotte, o rotte simili, in anni che abbiamo dimenticato.
Mia madre, per esempio, lo ha fatto. In un punto molto vicino a quello dove sono morte quasi mille persone, sabato notte, passava mia madre diciottenne, in piena guerra, fuggendo da Bengasi e da Tripoli dove viveva con la comunità dei coloni italiani, senza portare altro con sé che un bracciale di pietre azzurre, e la sua vita.
Io sono figlia di quella fuga. So che non è stata la prima né, come si vede, era l’ultima. Come Maurice, sento chinarsi su di me quelle ombre, dove solo per caso (aver cambiato rifugio all’ultimo momento) non entrò quella di mia madre, non allora. Non è questione di bontà, Maria Domenica, Nadia, Rodolfo: è questione di memoria. Senza ricordo, moriremo. Moriremo comunque, certo: ma almeno proveremo a fare e a dire una parola che ci renda diversi dalle bestie, per pochissimo che possa servire.

12 pensieri su “SUITE MEDITERRANEA

  1. Per avere memoria degli eventi, bisogna conoscere quegli eventi, averli appresi ed assimilati. Altrimenti, come è noto, la notizia resta in noi forse mezza giornata e poi viene rimossa.
    Quando si dice che la storia, intesa come disciplina, viene mediamente ignorata dagli studenti (che poi saranno cittadini) si vorrebbe lanciare un segnale d’allarme.
    Come si fa a pensare qualcosa, a prendere posizione, a farsi un’opinione, se non abbiamo la minima consapevolezza di ciò che è accaduto?

  2. Non vi può essere memoria se non ci si colloca nella narrazione; l’elemento regolatore non può essere un “noi” ché si contrappone subito a un “loro”; l’elemento regolatore è considerarsi stranieri a se stessi, in una sola multitudine fatta di sconosciuti altri e irrdiducibili a noi stessi. Il rispetto nasce dal considerare l’altro ignoto, nonn simile a se stesso.

  3. Memoria e narrazione della memoria. Perchè non basta farne museo o “giornata della” per renderla viva e, sì, lucida.
    E ci vorrebbe anche un linguaggio della narrazione che prescinda da epoche, ambienti e appartenenze. È la parte più difficile, perchè significa sforzarsi di non usare luoghi comuni.
    Ma è anche la sola arma per raggiungere tutti quelli che, vivendo di luoghi comuni, sanno perfettamente riconoscerli e rivoltarcisi contro con i loro più oscuri vomiti.

  4. stamattina Ali Bangla (arriva dal Bangladesh ) Saquib, Farhan,Mubashir pakistani erano particolarmente silenziosi, i compagni, brasiliani, rumeni,marocchini,egiziani,afgani lanciavano loro brevi sguardi di affetto, ma discreti,di condivisone verso chi era arrivato da quella parte.
    Ci sono tra i miei allievi del CPIA quelli fortunati e quelli che hanno conosciuto l’inferno del mediterraneo.

  5. E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno
    non trovatelo naturale.
    Di nulla sia detto: è naturale
    in questo tempo di anarchia e sangue,
    di ordinato disordine, di meditato arbitrio,
    di umanità disumanata,
    così che nulla valga
    come cosa immutabile.
    Bertold Brecht

  6. Comprendo lo sgomento, a leggere quei commenti che vomitano fiele. Ma non so quanto sia utile soffermarsi sui commenti di tutti. Si sa: Facebook, pagine di giornali, attirano persone che in altri tempi avrebbero riempito di graffiti i muri dei cessi nelle stazioni.
    In ogni consorzio umano troverai persone refrattarie alle condizioni minime della discussione civile. È così, è sempre stato così.
    Il fatto è che i social network presuppongono un utente informato e propenso al confronto delle opinioni, cosa che spesso non si dà.
    Io mi concentrerei sul lato “tecnico” della questione: centinaia di migliaia di esseri umani, né migliori né peggiori di chi vomita fiele con il culo al caldo, sono pronti a rischiare la morte pur di entrare in Europa. L’Europa non potrà materialmente accoglierli. Che fare? Magris ha colto oggi la domanda. La risposta, se verrà, non potrà che essere della comunità europea, e magari, velata di ipocrisie, sarà questa: che muoiano!
    Allora si vedrà che qualcuno conserva un briciolo di umanità, nel più vicino centro di accoglienza, nel centro Caritas, ovunque almeno si può fare qualcosa.

  7. “Atlantiderraneo: magari sotto a quel pezzettino di mare c’è una città sommersa piena di gente spettinata e contenta che s’incontra al mercato del pesce freschissimo; una città senza traffico dove ci si capisce tutti boccheggiando in bollicinese, dove nessuno ha mai bisogno di farsi la doccia né di salare l’acqua per la past’asciutta.
    una città dove le sirene cantano, non urlano, e, quando fa buio, si possono guardare le stelle che, riflesse fra le onde, sono come piccole barche che portano lontano senza fare male”
    (Lisa, vent’undici anni)

  8. Ho comprato Suite francese al mare, al supermercato (!). Un incontro fatale. Lo desideravo di certo, ma non sapevo quanto l’avrei amato, questo libro e gli altri suoi, la profondità dello sguardo dentro l’uomo, anche in David Golder, che ha scritto giovanissima. Ciò che accade è incommentabile, invidio chi ha soluzioni e analisi. Una cosa la so: i mezzi d’informazione hanno prese per buone le parole di un giovane bengalese, solo il giorno dopo si comincia a capire che 800 o 900 su quella barca non ci potevano stare, Non che 500 morti siano più accettabili, ma accendiamo almeno il cervello, che ce n’è bisogno.

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