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Il 14 giugno 2018 Matteo Salvini inizia la sua battaglia contro gli intellettuali. Fa così. Manda un suo emissario all’incontro con Edoardo Albinati alla Feltrinelli di Milano, l’emissario registra un pezzo del suo intervento che viene subito rilanciato sui giornali simpatizzanti della Lega. Poi, Matteo Salvini  aizza i cani (“Che vergogna”).
Ma restiamo a quel mese di giugno del 2018. Perché tra il 21 e il 22 giugno, grosso modo contemporaneamente all’aggressione ad Albinati, Roberto Saviano in un post lo appella “ministro della malavita”: è una citazione da Gaetano Salvemini. Anzi, è il titolo di un suo saggio, che per esteso è  Il ministro della mala vita: notizie e documenti sulle elezioni giolittiane nell’Italia meridionale, viene pubblicato nel 1910 e ripercorre imbrogli e violenze del candidato giolittiano Vito De Bellis per le elezioni politiche di Gioia del Colle. Salvini, in aula, ammette di conoscere il libro anche se non l’ha letto, ma ribadisce di voler mantenere la querela.
A questo punto gli avvocati gli chiedono conto di quello che Salvini stesso aveva affermato nello stesso giugno 2018.
“Ehhhhh…..ma se mi chiedete di ricordare quel che ho detto a giugno 2018”, minimizza Salvini, che evidentemente considera la memoria qualcosa che si può manipolare a proprio tornaconto. Alcune cose si ricordano, altre no.
Comunque, durante la sua campagna elettorale di quel 2018, Salvini ha affermato più volte che una volta al governo, “toglieremo a Saviano l’inutile scorta”.
A dimostrazione che le frittate si possono rivoltare e si rivoltano, e che la campagna salviniana contro scrittori e intellettuali passa in secondo piano e svanisce, mentre tutti e tutte ricordiamo benissimo il tiro al bersaglio di quei giorni, visto che la nostra memoria non è parziale. E sappiamo che continua, e continuerà, e che non si tratta di difendere il solo Roberto Saviano, ma la libertà di espressione e di parola di tutti noi, che domani potremmo essere in quell’aula dove la E de “La legge è uguale per tutti” è scritto con l’apostrofo, e questo farà inorridire i puristi ma non è che un simbolo, uno spunto, mentre non c’è nulla di simbolico, e molto di pericoloso, nel disequilibrio fra un ministro della Repubblica e uno scrittore.
Ricordiamocelo.

Fino all’agosto scorso, e alla morte di Michela Murgia, mi dicevo che bisogna pur comprendere la solitudine, la rabbia, la tristezza di chi usa la rete con odio e livore. Da allora faccio molta più fatica, lo confesso. Perché esistono altri modi per sfogare o consolare solitudine rabbia e tristezza. Modi che non feriscono. Modi che non fanno ammalare.
Ma voglio essere ottimista fino all’ultimo. Dunque, concludo questo anno con le parole di Neil Gaiman, a proposito di diritti:

“Abbiamo l’obbligo di rendere le cose belle. Per non lasciare il mondo più brutto di quello che l’abbiamo trovato, per non svuotare gli oceani, per non lasciare che i nostri problemi ricadano sulla prossima generazione. Abbiamo l’obbligo di fare pulizia prima di scomparire, e non lasciare che i nostri figli si ritrovino in un mondo miope, incasinato, immutabile e paralizzato.”
Buon anno, commentarium caro. E che sia migliore

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