Nulla avviene all’improvviso, e molto potrebbe essere evitato se riuscissimo per tempo a predisporre le contromisure: in questi giorni condividiamo l’incredulità e l’orrore per un decreto sicurezza che limita in modo sorprendente la libertà di dissenso e che, in modo meno sorprendente, appaga quella parte dell’elettorato che ritiene che vadano puniti quelli che a loro parere rischiano di complicare loro la vita: chi protesta, i ladri, i poveri, gli altri, insomma, che potrebbero turbare le loro giornate senza scosse. Che peraltro non esistono: quale esistenza è davvero senza scosse? Non lo vediamo ogni giorno? E perché pensiamo di essere immuni da un cambio di rotta o da un rovescio?
Ma nulla avviene all’improvviso. E questa mattina sono andata a ripescare un articolo che ho scritto per L’Espresso il 22 agosto 2022, a poche settimane dalle elezioni, quando ancora molto era possibile. Era quello, della serie dedicata ai programmi dei partiti, su come Fratelli d’Italia concepisce la sicurezza.
“Passiamo al punto sulla sicurezza, che nella vecchia versione annunciava fra l’altro: revisione “della cosiddetta legge sulla tortura. Controllo del territorio anche con il contributo dell’esercito. Chiusura dei campi nomadi anche per eliminare il fenomeno dei roghi tossici nelle grandi città, legge che dica che la difesa è sempre legittima”.
 Negli Appunti, è Paolo Del Debbio a occuparsi dell’Italia delle periferie. E per la lotta al degrado, alla spazzatura e alle scritte sui muri evoca la Teoria delle finestre rotte. Ora, la Teoria delle finestre rotte non è un film horror (o forse è horror ma non è un film). E’ una tesi di George L. Kelling e James Q. Wilson apparsa su The Atlantic nel 1982: sostiene, in pratica, che una finestra rotta ne chiama un’altra, e che quindi la criminalità, anche micro, si combatte con il decoro. Il sindaco di New York, Rudolph Giuliani, se ne servirà nel 1994 per la famigerata strategia della tolleranza zero (che rose e fiori non fu: Amnesty Internazional ricorda che le richieste di risarcimento per danni causati da perquisizioni violente della polizia e le denunce per i loro comportamenti arbitrari  aumentarono rispettivamente del 50 e del 41%, e che soprattutto tra il 1993 e il 1994  il numero di civili uccisi nel corso di operazioni di polizia crebbe del 35%). Soprattutto, la teoria venne contestata radicalmente in uno studio su Nature del 2017, che dimostra come semmai la repressione dei piccoli crimini abbia causato un incremento dei crimini maggiori.”
“Negli Appunti si va morbidi, si sostiene che lo Stato deve garantire sicurezza perché “non è possibile accettare che una donna non possa tornare a casa da sola senza essere importunata” (vecchia storia, quella dei corpi delle donne usati a fini securitari e identitari). Ma vale la pena di ricordare che confondere sicurezza con decoro è faccenda pericolosa, così come lo è cavalcare l’onda della paura. Alla paura ci si abitua. Ci si abitua a tutto, ricordava Peppino Impastato ne I cento passi: “All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Parole simili a quello di uno secondo fantasma da evocare, quello di Luca Rastello, che in Dopodomani non ci sarà scrisse: “Se c’è un augurio che posso farvi, allora, è di non cadere mai nella trappola della rassegnazione e dell’accettazione. Non è mai finita. Mai. C’è sempre almeno ancora una svolta imprevista, sempre”.