LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE O DEL PRELUDIO AL DL SICUREZZA

Nulla avviene all’improvviso, e molto potrebbe essere evitato se riuscissimo per tempo a predisporre le contromisure: in questi giorni condividiamo l’incredulità e l’orrore per un decreto sicurezza che limita in modo sorprendente la libertà di dissenso e che, in modo meno sorprendente, appaga quella parte dell’elettorato che ritiene che vadano puniti quelli che a loro parere rischiano di complicare loro la vita: chi protesta, i ladri, i poveri, gli altri, insomma, che potrebbero turbare le loro giornate senza scosse. Che peraltro non esistono: quale esistenza è davvero senza scosse? Non lo vediamo ogni giorno? E perché pensiamo di essere immuni da un cambio di rotta o da un rovescio?
Ma nulla avviene all’improvviso. E questa mattina sono andata a ripescare un articolo che ho scritto per L’Espresso il 22 agosto 2022, a poche settimane dalle elezioni, quando ancora molto era possibile. Era quello, della serie dedicata ai programmi dei partiti, su come Fratelli d’Italia concepisce la sicurezza.
Ed eccolo.

 

“In uno dei suoi libri più famosi, Allucinazioni, Oliver Sacks non si limita a catalogare le medesime, ma sostiene che “dovremmo chiederci in quale misura l’arte, il folclore e perfino la religione abbiano avuto origine da esperienze allucinatorie”. Lui si riferiva a Edgard Allan Poe e Guy de Maupassant, noi al programma di Fratelli d’Italia. I famosi 15 punti letti e commentati negli ultimi giorni erano sì frutto di una precedente elaborazione, ma sono rimasti sul sito ufficiale e su quelli delle sezioni locali fino alla settimana scorsa. Poi sono scomparsi, sostituiti dalla scritta “Programma in elaborazione. A breve on line”. Non è un’allucinazione collettiva, evidentemente, bensì la necessità di proporsi come partito di governo: una questione di toni, come ben sapeva Lionel Logue mentre istruiva re Giorgio VI per il suo discorso alla nazione nel 1939 (era la dichiarazione di guerra alla Germania, e il film era Il discorso del re, su sceneggiatura di David Seidler).
Mentre l’elaborazione procede, il web serba tracce di un preludio: è un documento dello scorso aprile, Appunti per un programma conservatore. Il tono è effettivamente diverso, la sostanza no. Nel programma oscurato il secondo e il terzo punto riguardavano l’italianità e la sicurezza. Nel primo caso, si andava giù pesanti: precedenza agli italiani nell’accesso ai servizi sociali e alle case popolari, no allo ius soli, albo degli imam e “obbligo di sermoni in italiano”, fiera opposizione a chi vuole vietare il presepe e rimuovere i crocifissi, tetto di alunni stranieri per classe. Insomma, di che dar da scrivere a Margaret Atwood per i prossimi vent’anni.
Gli appunti, invece, sono affidati agli interventi di una serie di esperti, che usano parole assai più sfumate: quindi tutta la vicenda sul crocifisso insidiato e sui sermoni da tradurre si trasforma in una pensosa riflessione di Marcello Pera sul liberalconservatorismo, inteso come difesa della tradizione cristiana per salvaguardare “la dignità della persona, la patria, l’ordine, la legalità, la famiglia, il matrimonio, la vita, la sicurezza”.  Insomma, i liberalconservatori respingono come “conquiste false e dannose” i “nuovi modelli di famiglia, di matrimonio, di procreazione, di educazione, di genere, di fine vita”. Pensoso ma chiarissimo: solo ripulito, come fa il professor Higgins con Eliza Doolittle in My fair lady.
Passiamo al punto sulla sicurezza, che nella vecchia versione annunciava fra l’altro: revisione “della cosiddetta legge sulla tortura. Controllo del territorio anche con il contributo dell’esercito. Chiusura dei campi nomadi anche per eliminare il fenomeno dei roghi tossici nelle grandi città, legge che dica che la difesa è sempre legittima”.
Negli Appunti, è Paolo Del Debbio a occuparsi dell’Italia delle periferie. E per la lotta al degrado, alla spazzatura e alle scritte sui muri evoca la Teoria delle finestre rotte. Ora, la Teoria delle finestre rotte non è un film horror (o forse è horror ma non è un film). E’ una tesi di George L. Kelling e James Q. Wilson apparsa su The Atlantic nel 1982: sostiene, in pratica, che una finestra rotta ne chiama un’altra, e che quindi la criminalità, anche micro, si combatte con il decoro. Il sindaco di New York, Rudolph Giuliani, se ne servirà nel 1994 per la famigerata strategia della tolleranza zero (che rose e fiori non fu: Amnesty Internazional ricorda che le richieste di risarcimento per danni causati da perquisizioni violente della polizia e le denunce per i loro comportamenti arbitrari  aumentarono rispettivamente del 50 e del 41%, e che soprattutto tra il 1993 e il 1994  il numero di civili uccisi nel corso di operazioni di polizia crebbe del 35%). Soprattutto, la teoria venne contestata radicalmente in uno studio su Nature del 2017, che dimostra come semmai la repressione dei piccoli crimini abbia causato un incremento dei crimini maggiori.
Questa faccenda del decoro come motore primo contro il degrado, però, fa parte anche della cattiva coscienza della sinistra. Nel 2017, quando viene varato il Decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città’, si comincia a usare la parola decoro come equivalente di “decenza di facciata”, nello stesso modo in cui lo intendevano gli appartenenti al movimento della Quality of life che di Rudolph Giuliani furono i supporter. Come ricorda in un lungo articolo su Giap lo scrittore Wolf Bukowski, cominciò tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta con i volontari che invece di sollecitare l’incremento dei servizi di giardinaggio pubblici, che erano stati decurtati, cominciarono a fare da soli. Ma, dopo aver messo a dimora i ciclamini, si accorsero che nei parchi abitavano gli ultimi, i senzatetto, le prostitute, gli alcolisti, e pretesero e ottennero ringhiere e cancelli: “Si realizza così quella fusione tra risposta al disagio sociale e architettura ostile che ancora oggi è tipica delle politiche del decoro.” Ovvero: le panchine anti-homeless, lo sgombero dei migranti dalle stazioni per collocare fioriere anti-uomo e tutto quello che privilegia l’apparenza alle politiche di accoglienza e convivenza.
Negli Appunti si va morbidi, si sostiene che lo Stato deve garantire sicurezza perché “non è possibile accettare che una donna non possa tornare a casa da sola senza essere importunata” (vecchia storia, quella dei corpi delle donne usati a fini securitari e identitari). Ma vale la pena di ricordare che confondere sicurezza con decoro è faccenda pericolosa, così come lo è cavalcare l’onda della paura. Alla paura ci si abitua. Ci si abitua a tutto, ricordava Peppino Impastato ne I cento passi: “All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Parole simili a quello di uno secondo fantasma da evocare, quello di Luca Rastello, che in Dopodomani non ci sarà scrisse: “Se c’è un augurio che posso farvi, allora, è di non cadere mai nella trappola della rassegnazione e dell’accettazione. Non è mai finita. Mai. C’è sempre almeno ancora una svolta imprevista, sempre”.

 

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