“Meglio mostrare l’infelicità che promettere felicità. Chi fosse capace oggi di farmi toccare per mano una serie di infelicità che esistono farebbe un lavoro culturale. Chi invece mi promette per pochi euro una felicità estemporanea non fa che continuare ad appiattirmi sul presente come un rospo schiacciato sull’autostrada”.
Così Umberto Eco nel 2014. Ieri Annalisa Camilli, a proposito della strage di Steccato di Cutro, scriveva: “Non dovremmo dormirci e invece ci siamo anestetizzati, esauriti dal lutto e questo ci spinge probabilmente a pensare che la vita di alcuni sia sacrificabile”.
Lavoro culturale è, anche, risvegliarci. E magari riflettere sulle reazioni (avverse, da sinistra) all’elezione di Schlein.
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Era novembre, ed era il 1976. La prima donna segretaria di partito era Adelaide Aglietta. Lo so, perché c’ero anche io al congresso del Partito radicale di Bologna, e perché ero nella sua segreteria insieme a Enzo Zeno, Giuseppe Caputo, Valter Vecellio, Giovanni Negri, Pino Pietrolucci, Mario Signorino.
Per la prima volta, da ieri notte, la maggior forza di opposizione è guidata da una donna, Elly Schlein. Nel 2023. Certo che ci sono state altre donne, Adelaide e Beatrice Brignone di Possibile, e Silvja Manzi dei Radicali italiani, e, come portavoce di Potere al Popolo, Viola Carofalo e, certo, come presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Ho scritto mille volte che essere donna non garantisce sulle azioni politiche e la loro bontà: il nome di Margaret Thatcher, su tutti, dovrebbe bastare. Però, davvero, era ora. E se questo risulta imprevisto, significa che non si è capito abbastanza di chi magari tace, ma c’è.
Comunque la si veda, per chiunque si voti, è un bellissimo segnale.