La morte di Canalini, grande editor di Transeuropa, e poco prima di Ernesto Franco, direttore editoriale di Einaudi, hanno fatto pensare e scrivere a molti che un’epoca dell’editoria è finita. Forse sì, come sempre avviene del resto: l’editoria di oggi ha pochissimo a che vedere, in realtà e già da tempo, con quella degli anni Ottanta e Novanta. Ma se giustamente piangiamo e salutiamo le persone, sono convinta che non dobbiamo piangere l’editoria. Mi permetto di riportare qui le parole di un altro protagonista della cultura che mi era caro, Paolo Mauri, che nel suo L’arte di leggere, nel 2007, scriveva: “Waugh, nel suo magnifico romanzo Una manciata di polvere, immagina che un colono analfabeta che vive nella foresta amazzonica ospiti un esploratore colto per farsi leggere, la sera, le opere di Dickens. Ho detto «ospiti», ma ben presto il malcapitato scopre che si tratta di una vera e propria schiavitú. L’uomo ha un fucile e lui, che si è perso, non ha piú nulla. Si salva con la lettura come Sheherazade.
Chi legge ha sempre una sorta di fucile puntato contro: se smette qualcosa finisce per sempre. Non muore solo il lettore, muore tutto un mondo. Impossibile? E già accaduto un’infinità di volte”.