C’è un articolo, “Scrittori a caccia di like”, di Gianluigi Simonetti su Snaporaz, dove si incrociano due libri: “Storia della fama”, di Alessandro Lolli, edito da effequ, e “Ogni maledetta mattina. Cinque lezioni sull’arte di scrivere” di Alessandro Piperno, per Mondadori. Da leggere, entrambi: il saggio di Lolli riprende e ampia quello che con Giovanni Arduino provammo a fare dieci anni fa in “Morti di fama”, mentre Piperno parla di ambizione letteraria, faccenda antica ma rinnovata e ampliata nei social.
C’è però un punto fra i molti su cui riflettere. Scrive Simonetti:
“da quando pensiamo allo scrittore come a qualcuno che sia come tutti? Un’ottica novecentesca della distinzione raccomanderebbe agli editori di impedire per contratto agli scrittori di sputtanarsi sui social; sappiamo invece che oggi accade il contrario – gli editori battono il web alla ricerca di scrittori disposti a sputtanarsi. In questo quadro commerciale ed estetico, ogni forma di sprezzatura è destinata a andare perduta, come lacrime nella pioggia”.
Mi viene da dire che non sempre si può parlare di sputtanamento, ma di confronto. Il problema, secondo me, sta nel fatto che non sempre viene inteso come confronto ma come esserci e basta.
Passo indietro fino al dicembre 2019. Il collettivo Wu Ming scrive due lunghissimi post in occasione del loro abbandono di Twitter, L’amore è fortissimo, il corpo no, che pone la questione dal punto di vista del business, ovviamente dei social medesimi. So di citare con frequenza questo intervento, ma lo faccio perché credo che sia di enorme lucidità (e stiamo parlando di sei anni fa) e soprattutto più che pertinente rispetto alla presenza sui social, non solo di chi scrive, ma anche di chi scrive (libri, ovviamente).
Dunque, gli scrittori e le scrittrici. Credo che nessuno possa dire ad altre e altri qual è il modo giusto di comportarsi sui social: e le vecchie chiamate alla responsabilità nell’uso delle parole si infrangono quando l’umore, i tempi, le circostanze mandano all’aria i buoni propositi. Un discorso diverso andrebbe fatto per gli editori: e qui ha ragione Simonetti. Fare scouting sui social non è sempre un’idea felice. E neanche spingere chi scrive a essere performante sui medesimi. Perché chi scrive dovrebbe preoccuparsi soprattutto di come scrive i suoi libri, e non di come promuoverli. Ma anche questa, sapete, è una storia vecchia, e ripeterla probabilmente serve a poco.