Erano altri anni, da ogni punto di vista e anche per la mia piccola vita. Venticinque anni fa collaboravo regolarmente con Repubblica e il 13 aprile 2000 scrissi questo articolo su Gianni Rodari. E dal momento che il giornale oggi lo ripropone on line, lo ripropongo pure io. Con immensa nostalgia per Rodari.
“C’ è una cosa che non si dice abbastanza sul celebratissimo Gianni Rodari, in questi giorni ancor più celebrato in occasione del ventennale dalla morte. Una cosa che viene anzi dimenticata del tutto, forse perché non in linea con il politicamente ipercorretto che si vuol forzatamente attribuire allo scrittore di Omegna. Il fatto è che Rodari fu probabilmente l’unico intellettuale italiano a prendere posizione a favore di un mondo che tutti gli altri odiavano perché lo percepivano estraneo e dunque minaccioso, un mondo che, non casualmente, sarebbe diventato la cultura di riconoscimento per una generazione intera: quello dei cartoni giapponesi. Era il 1980, l’anno della sua morte, e Rodari scrisse per Rinascita un articolo che si chiamava Dalla parte di Goldrake, il robot appena approdato in Italia e già oggetto di interpellanze parlamentari e anatemi pedagogici. Schivando le saette, Rodari proponeva: “Invece di polemizzare con Goldrake, cerchiamo di far parlare i bambini di Goldrake, questa specie di Ercole moderno. Il vecchio Ercole era metà uomo e metà dio, questo in pratica è metà uomo e metà macchina spaziale, ma è lo stesso, ogni volta ha una grande impresa da affrontare, l’affronta e la supera. Cosa c’è di moralmente degenere rispetto ai miti di Ercole?”.