Tag: GPA

La discussione sulla Gpa e sul “reato universale”, come è immaginabile, è andata avanti e purtroppo ha spesso raggiunto toni molto duri, e divisivi. Come ho scritto qualche giorno fa, l’argomento è complesso e difficile ed è inevitabile che le posizioni siano diverse: ripeto che molte mie amiche care sono su posizioni lontane dalla mia, e ci sta, e non per questo smettono di essere mie amiche, grazie alla dea, e non per questo smetto di amarle e di stimarle.
Però c’è un’argomentazione che non mi piace affatto, e che respingo: l’idea che si possano bollare le donne che hanno posizioni diverse, o giustamente contraddittorie e incerte, come “false femministe”. Questo, a mio parere, è intollerabile: perché vorrei tanto sapere come si prende la patente di femminista, e se bisogna superare un esame di teoria e come e dove, o se funziona come la psicostasia dell’antico Egitto, quando Anubi pesa il cuore del defunto sulla bilancia e decide dove mandare la sua anima.
Ma ci sono molti altri modi di intervenire. Ho ricevuto ieri una mail di Marzia Bisognin. E’ una doula, è cofondatrice del Melograno di Bologna, che unisce operatrici con diverse competenze per accompagnare il tempo dei 1000 Giorni: dalla gravidanza ai primissimi anni di vita dei bambini e delle bambine. E trovo bello, giusto e aperto il loro intervento. Leggetelo.

Secondo me, nella discussione di questi giorni sulla Gpa, non dovremmo perdere di vista due cose importanti.
La prima, come anche altri hanno scritto, è che questa è una legge-manifesto, fatta per tener buono l’elettorato di Meloni, esattamente come i decreti anti-rave o anti-cannabis light, o la parte del ddl sicurezza contro le borseggiatrici incinte e i manifestanti. Leggi che servono solo a scoprire i denti e a dire “stiamo lavorando per voi”. Cosa non vera, evidentemente: il dramma è che l’elettorato in questione la scambia per reale e applaude all’illusione.
La seconda è quella che riguarda la discussione nei femminismi, che sul punto si esprimono in modo (giustamente) non unitario. In questi giorni, molte delle mie amiche sono su posizioni opposte alla mia e a quella di altre mie amiche: ma questo è giusto e importante. Perché la forza dell’unione, o sorellanza se vogliamo chiamarla così, è esattamente qui: riuscire a discutere anche partendo da convinzioni diversissime.
Non è certo questa la malattia del drago di cui ho parlato nel mio articolo per Vogue Italia: quella, semmai, ha colpito e non da oggi una parte piccola ma visibile dei femminismi stessi che si intesta una battaglia non tanto per convinzione, o almeno così credo, ma per continuare a esercitare un potere. Chi non gradisce la citazione da Tolkien forse amerà quella di Borges, da La muraglia e i libri: “Lessi giorni addietro che l’uomo che ordinò l’edificazione della quasi infinita muraglia cinese fu quel primo imperatore, Shi Huang Ti, che dispose anche che venissero dati alle fiamme tutti i libri scritti prima di lui”.

In “Staccando l’ombra da terra,” Daniele Del Giudice scrisse: “Le parole, in cielo, nelle procedure del volo, sono parole ad alto grado di responsabilità, parole con conseguenze”.
Ad alto grado di responsabilità. Conseguenze. Ci ripensavo ieri sera leggendo le dichiarazioni della ministra della Famiglia Eugenia Roccella dopo l’approvazione in Senato della legge che rende “reato universale” la Gestazione Per Altri. Le parole sono queste:
“Chi si trincera dietro la retorica dei ‘diritti’ per giustificare la pratica dell’utero in affitto dovrebbe chiedersi perché invece ci sia una rete mondiale del femminismo che sostiene l’iniziativa dell’Italia e considera il nostro Paese un esempio da seguire dappertutto”.
Una rete mondiale del femminismo.
Già l’uso del singolare fa capire in quale ottica si muove Roccella: i femminismi sono plurali, da anni e anni e sempre di più, come è giusto che sia. Ma c’è chi, come la ministra, riconosce come femminismo soltanto quello a cui si sente vicina. Ed è vero che quel femminismo festeggia l’approvazione di una legge sbilenca, e che probabilmente sarà inapplicabile.
Io ricordo bene uno degli ultimi video di Michela Murgia che diceva che dovremmo essere le porte, e non le portinaie. Intendo che bisognerebbe confrontarsi su un tema così grande, che non può essere affrontato a colpi di leggi-manifesto che porteranno solo sofferenza, senza la certezza di essere le uniche a potersi dire femministe.
Ecco. Quante, delle grandi madri del femminismo, ascoltano le giovani? Quante sono disposte a capire quanto sia diverso, e aperto, e innervato della consapevolezza dei diritti? Quante sono disposte a capire che c’è un’altra rete che sta prendendo forma, che ha già preso forma, anzi, e che fa a meno della biologia in favore dell’altra banalissima e gigantesca parola che è amore?
Io vedo anche un’altra cosa in questa rivendicazione del solo e unico femminismo. Il potere. C’è una parte dei femminismi delle madri che non intende cedere un’oncia della propria posizione, e che è disposta ad assumere posizioni illiberali per questo. Come direbbe Tolkien, stanno combattendo Sauron usando l’anello. E questo è un male per tutte. E per tutti.

Torna in alto