Il 31 marzo del 2009, Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile, convocò la commissione Grandi Rischi per rassicurare la popolazione: nonostante le scosse continue che duravano da giorni, non ci sarebbe stato un terremoto. Il giorno prima chiama l’assessore regionale Daniela Stati. Le dice: “Questa riunione non è perché siamo spaventati e preoccupati, ma è perché vogliamo tranquillizzare la gente” ed “è più un’operazione mediatica”
Nella notte del 6 aprile 2009, muoiono fra gli altri, Nicola Bianchi, Ivana Lannutti, Enza Terzini, Michele Strazzella, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti e Nicola Colonna, gli studenti che rimasero in casa perché rassicurati dalle parole della commissione. E’ stata colpa loro, è stato deciso dalla Corte d’Appello dell’Aquila. Sono morti “per condotta incauta”. La loro, non quella di chi ha invitato la popolazione a farsi un bicchiere di Montepulciano e stare tranquilli. Loro. E le loro famiglie dovranno naturalmente pagare le spese processuali. Che altro? Chiedere scusa a Bertolaso? Peraltro, il medesimo è stato assolto per non aver commesso il fatto nel 2018, quindi potrebbe persino pretenderle.
Il fatto è che questa faccenda della colpa di chi muore non è nuova. Dopo il terremoto del 2016, ho letto con questi occhi commentatori famosi e sconosciuti che dicevano che, insomma, chi abita in un territorio sismico un po’ se la cerca e che – parole di una nota blogger, non riesco a dimenticarle – potevano pur trasferirsi in città.
Ricordare sempre. Anche se c’è chi non viene ritenuto responsabile di quanto ha fatto, detto, fatto di nuovo.