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La morte di Canalini, grande editor di Transeuropa, e poco prima di Ernesto Franco, direttore editoriale di Einaudi, hanno fatto pensare e scrivere a molti che un’epoca dell’editoria è finita. Forse sì, come sempre avviene del resto: l’editoria di oggi ha pochissimo a che vedere, in realtà e già da tempo, con quella degli anni Ottanta e Novanta. Ma se giustamente piangiamo e salutiamo le persone, sono convinta che non dobbiamo piangere l’editoria. Mi permetto di riportare qui le parole di un altro protagonista della cultura che mi era caro, Paolo Mauri, che nel suo L’arte di leggere, nel 2007, scriveva: “Waugh, nel suo magnifico romanzo Una manciata di polvere, immagina che un colono analfabeta che vive nella foresta amazzonica ospiti un esploratore colto per farsi leggere, la sera, le opere di Dickens. Ho detto «ospiti», ma ben presto il malcapitato scopre che si tratta di una vera e propria schiavitú. L’uomo ha un fucile e lui, che si è perso, non ha piú nulla. Si salva con la lettura come Sheherazade.

Chi legge ha sempre una sorta di fucile puntato contro: se smette qualcosa finisce per sempre. Non muore solo il lettore, muore tutto un mondo. Impossibile? E già accaduto un’infinità di volte”.

Nel 1985 Pietro Citati lesse la classifica dei libri più venduti e scrisse che vi dominava  “una purea di viscidi sentimenti, falso sublime, pensieri confusi”. Di qui, l’esortazione di Citati medesimo: italiani, non leggete più, fate fallire gli editori. Fra i suoi bersagli, Il nome della rosa di Umberto Eco, all’epoca ancora in classifica, nonostante la “assoluta assenza di ogni talento letterario”.
Non è la prima volta che si disprezzano i libri più venduti. Accade però da ultimo che si disprezzino le scrittrici, anche perché sono molto vendute, ma non solo.
Mi si rimprovera spesso perché segnalo quel che viene scritto in materia: lo trovo non solo legittimo, ma importante (esattamente come la rassegna stampa che Michela Murgia non ha mai smesso di fare e che è ancora visibile sul suo profilo Instagram). Buon ultimo, come ho scritto ieri su Facebook, l’articolo di Antonio Gurrado sul Foglio, che ancora una volta prende spunto dall’incoronazione de L’amica geniale di Elena Ferrante da parte del New York Times, faccenda che ha evidentemente provocato gastriti nella gran parte del mondo letterario italiano.
Lungo post dove appaiono Pietro Citati, Bernard Grasset, Paolo Mauri, Mariano Tomatis, oltre al signor Percy Selbit, che desiderava segare in due la leader delle suffragette.

CORREVA L'ANNO 1985

Oh, la polemica letteraria. A volte, anzi spesso, ritorna, magari in occasione di una visita di un ex direttore editoriale a Francoforte che lamenta la nostra meschina condizione, con conseguenti reazioni. A volte, anzi spesso, si incendia di accenti che…

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