Valerio Evangelisti, presentando l’ antologia di AA.VV. The Clash – Lo scontro. Storie di lotte e di conflitti, Lorusso editore:
L’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali. Quando lo fa, è nel quadro dell’“accettabile”, in cui distorsioni del sistema possono essere denunciate senza mettere in discussione il sistema stesso, e meno che mai il quadro internazionale in cui è inserito. Così sono numerose le denunce della mafia e di altre forme di criminalità organizzata, della corruzione, di certe violenze poliziesche, del degrado del vivere civile, e così via. A esse, però, non corrisponde, o corrisponde molto di rado, una messa in discussione dell’intero modo di vivere sotto il capitale, oppure della sua diretta conseguenza su scala mondiale, l’imperialismo. Non mi viene in mente alcun romanzo italiano contemporaneo (a parte qualche pagina di autori poco noti) che metta in scena la guerra nelle sue molte varianti attuali, il potere della finanza o, dal lato opposto, una vita di periferia in cui fascismo e razzismo sono tornati, prepotentemente, a essere parte della quotidianità.
La risposta a questo frastornante silenzio viene, per fortuna, dal basso. Laspro è una rivista di sole quattro pagine distribuita gratuitamente nelle librerie e negli spazi dell’antagonismo sociale. Contiene racconti di alcuni degli autori presenti in questa raccolta. Si passa di sorpresa in sorpresa. Il coraggio mancante all’intellettualità “di rango” riaffiora dagli interstizi, la conflittualità nascosta e negata riemerge con prepotenza. Occupazioni, scontri con la polizia, antifascismo militante, culture giovanili irriducibili. E’ un’Italia niente affatto “pacificata” – nel senso voluto dal Presidente della Repubblica, dal governo, da un’opposizione ormai priva di identità politica e culturale – quella descritta (e vissuta) da giovanissimi scrittori molto dotati. Il quadro non somiglia a quello degli anni Settanta, ma la tenacia di chi non si rassegna sì. Ed ecco storie che narrano di chi, giorno per giorno, si impegna a contrastare nelle giungle metropolitane il dilagare della reazione, conquistando lembi di territorio e difendendoli con le unghie e con i denti. In presenza di una repressione morbida solo in apparenza, in realtà sistematica e accanita. Tanti racconti terminano riferendo l’esito dei processi che hanno chiuso – transitoriamente chiuso – gli episodi descritti nel testo.
Nel disinteresse ufficiale, sta crescendo una nuova leva di combattenti per la libertà, che occupano case e piazze, rivendicano diritti incomprimibili, sovvertono l’ordine sepolcrale in cui si vorrebbe rinchiudere la scuola, si ribellano alle nuove schiavitù del precariato e della fabbrica-galera. La vera novità, in precedenza vista molto di rado, è che questa generazione trovi subito nella letteratura un momento di lotta efficace quanto gli altri. Mentre sui blog culturali più noti (non parliamo delle sedi critiche accademiche, ormai allo stato larvale) ci si interroga stancamente sull’ “impegno” dello scrittore, e su altri temi simili già vecchi negli anni Sessanta del secolo passato.
Questa è un’antologia importante, importantissima. Apre speranze, sfida il pessimismo corrente. Fa capire che lo scontro (“The Clash”) non è prospettiva futura, ma realtà già in atto. A chi sappia prestare ascolto, non può sfuggire il clangore metallico dei guns of Brixton che, nelle periferie, migliaia di giovani stanno ricaricando.
Sarebbe proprio ora che i giovani si dessero una smossa. Noi il 68 e il 77 l’abbiano fatto. Adesso tocca a loro… speriamo con risultati migliori dei nostri:-)
“Nel disinteresse ufficiale, sta crescendo una nuova leva di combattenti per la libertà, che occupano case e piazze, rivendicano diritti incomprimibili, sovvertono l’ordine sepolcrale in cui si vorrebbe rinchiudere la scuola, si ribellano alle nuove schiavitù del precariato e della fabbrica-galera. La vera novità, in precedenza vista molto di rado, è che questa generazione trovi subito nella letteratura un momento di lotta efficace quanto gli altri”.
Vorrei fosse vero.
Quel che vedo io è forse una maggiore attenzione a certe tematiche, ma è un’attenzione perlopiù frutto della necessità.
Ancora non si è giunti a questo stadio definibile come “leva”. E dubito fortemente che esistano dei cantori di quest’epoca così determinati, consapevoli e propositivi.
Che bello. Mi hai rallegrato la giornata. Grazie.
Finalmente, qualcuno lo dice/scrive. : )
Lady Losca
“L’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali.”
L’odierna editoria italiana, è meglio dire. C’è chi scrive di ciò, ma viene evitato dalla pubblicazione perché siamo in un paese dove la verità non vuole essere vista. Si provi a mandare alle case un testo che critica il sistema, che mostri l’orrore della vita quotidiana dell’egoismo, della prepotenza della classe dirigente, che smascheri la facciata che gliimprenditori sono benefattori e creatori di benessere, mostrando che sono approfittatori e calpestatori, dell’indifferenza della gente di fronte alle difficoltà altrui, che mostri un paese di furbetti e si vedrà il numero di risposte.
Mi trovo d’accordo con M.T.
Il sistema fa quadrato, indipendentemente da colore politico vero o presunto, di fronte all’amara realta’, relegata in autonomi spazi di rete.
E meno male che c’e’ la rete.
Qualche spiraglio in piu’ si ha nella letteratura di genere, che dato il suo ambito di nicchia appartiene senz’altro alle “pagine di autori poco noti”.
Nella fantascienza, per esempio, si ha qualche leva per parlare del presente attraverso una trasfigurazione futura.
Va anche detto, per obiettivita’, che anche in questo ambito non esistono qui da noi moltissimi autori tanto lucidi e visionari da poter proporre scenari plausibili che evitino banalita’ o “retrofuturi” (intesi come immagini piu’ o meno distopiche ricavate non da proiezione del presente, ma da proiezione di un certo passato, immaginandone un’evoluzione che non c’e’ stata). E che al tempo stesso siano in grado di produrre storie interessanti, trame decenti, personaggi che non siano bozzetti di cartone.
Del resto, se gli spazi di visibilita’ e crescita non ci sono, e’ anche difficile per gli autori migliorare. Il che non e’ alibi totale, certo, a giustificare la mancata crescita di una scuola, ma certo rappresenta una pesante palla al piede.
Non so: come sempre quando si postano delle recensioni ci ho il problema di commentare l’oggetto recensito e il commento all’oggetto recensito, il quale di solito è recensito per renderlo noto e insomma come al solito io non la conosco sta rivista.
Quindi il commento è come sempre relativamente utile.
Tuttavia – certi toni di Evangelisti mi rimandano a qualcosa che non mi appartiene non per cagasotteria ma per ideologia. Mi dici sistema capitalistico e imperialismo e mi viene un attacco di angoscia da retrobolscevismo. E percepisco un certo fastidio nel fatto che, nell’ipotesi che io scriva racconti – ipotesi in realtà su cui io sto sempre all’orlo, sono stata dentro e dentro sto sempre per tornare – potrei essere giudicata per il mio modo di pensare politicamente e vivere politicamente il mio contesto. E non sono sicura che mi interesserebbe essere attaccata su questo piano – non so se la troverei una critica di cui farmene qualcosa: investe qualcosa di personale che non credo si possa cambiare per far piacere a Evangelisti, nè per tasso di eroismo.
Spero di essere stata vagamente chiara.
Personalmente preferirei, e preferisco, essere attaccata politicamente per quello che scrivo, piuttosto che essere attaccata sul nulla come spesso accade di questi tempi nella letteratura di genere.
Almeno sentirei di aver lasciato il segno, in qualche modo, anche in negativo con chi non la pensa come me.
Almeno proverei un minimo di carica a difendere le mie idee, anziche’ frustrazione e incredulita’ e senso di impotenza per i contorcimenti mentali fini a se stessi e la malignita’ di certe persone.
Sara’ perche’ il mio impegno politico di questi tempi travalica quello letterario, non senza angoscia (scrivere narrativa per me e’ droga, i racconti droghe leggere, i romanzi unica droga che produce un leggero appagamento, anzi, assenza di sofferenza, mentre gli articoletti di commento politico di questi ultimi anni non sono che pallido metadone…)
Comunque avendo partecipato a una antologia di fantapolitica e’ stato divertente leggere il tono prevenuto, nel bene e nel male, di una parte delle recensioni.
Una parte, perche’ per fortuna ve ne erano di piu’ obiettive e centrate sui contenuti.
A volte noi giovani non reagiamo non per poltroneria o vigliaccheria ma perchè ci sentiamo svuotati di tutti i sogni e delle speranze. Mi sembra di lottare contro i mulini a vento. Ed io sono una che vive da sola da 10 anni (ho 28 anni), lavoro e studio da altrettanti, mi sono pagata gli studi interamente grazie ai miei sacrifici. E adesso che dovrei trarne i frutti mi ritrovo con un pugno di banconote a fine mese da dividere tra affitto, enel, gas, spazzatura e acqua. Ma la cosa più grave e demoralizzante è che questa melma in cui siamo intrappolati non viene spazzata via, dove sono le alternative se non si promuove il lavoro per i giovani? Potrò mai pensare di mettere su famiglia? L’unico sogno è cambiare paese. E’ deprimente che non ci siano figure positive a cui fare riferimento…
Ma ognuno scrive sulle proprie urgenze e non su committenza politica, no?
Che c’entra l’Italia pacificata? Personalmente non mi piacciono clangori e toni da dazebao. Ma veramente si può tirare di mezzo ancora il Sistema, dentro o fuori? Quando leggevo, ho letto racconti intimistici e privi di riferimenti alla realtà politica trovandoli più “rivoluzionari” di quelli telefonati ed arrabbiati. A me fa amaramente ridere che si scriva di “imperialismo” a proposito di letteratura e di combattenti della libertà per occupare case e piazze. Mi sembrano sciocchezze pari a quelli che scrive, su altre questioni, Sallusti.
Dio mio sta approvazione, per due stupidate.
Ma ognuno scrive sulle proprie urgenze e non su committenza politica, no?
Che c’entra l’Italia pacificata? Personalmente non mi piacciono clangori e toni da dazebao. Ma veramente si può tirare di mezzo ancora il Sistema, dentro o fuori? Quando leggevo, ho letto racconti intimistici e privi di riferimenti alla realtà politica trovandoli più “rivoluzionari” di quelli telefonati ed arrabbiati. A me fa amaramente ridere che si scriva di “imperialismo” a proposito di letteratura e di combattenti della libertà per occupare case e piazze. Mi sembrano sciocchezze pari a quelli che scrive, su altre questioni, Sallusti.
Postato venerdì, 12 novembre 2010 alle 3:53 pm da vincent
Caro Vincent, quando metto in moderazione un utente significa che c’è un motivo e che le “due stupidate”, se permetti, hanno incartato una discussione. Grazie.
Valerio Evangelisti è uno scrittore che amo molto, trovo che nei suoi romanzi sappia miscelare bene più generi offrendo anche analisi storico-politiche interessanti, tra l’altro la sua formazione è prettamente storico-politica (è autore di saggi storici sul movimento operaio) più che letteraria, questo a volte fa sì che certi suoi libri (penso al dittico sul Messico, paese che ama e in cui ha pure una casa) somiglino a dei saggi storici in forma di romanzo..ma è un difetto che gli perdono.
Evangelisti è comunista a volte su posizioni un po’ “barricadere”, e anche nelle sue analisi sulla letteratura di genere si avverte..questo può infastidire qualcuno allergico ad un (presunto) “retrobolscevismo”..ma a me interessa comunque leggere ciò che scrive.
quello che forse in italia manca è il dadaista furore iconoclasta che fu la cifra del movimento punk,e in embrione nei giorni caldi del 68.O magari sarà proprio l’hip hop con le sue forti costruzioni simboliche metropolitane a dar voce alle periferie allargate quando smetterà di essere un esercizio di stile trovando una sua prosa.Nel frattempo ben vengano tutti gli sforzi tesi a evitare che certi fenomeni descritti “allo stato larvale” dilaghino sfondando a sinistra ,mantenendoci dentro placidi orizzonti comatosi che certi signori esperti in futures e pronti contro termine ci vorrebbero lasciare in eredità
http://telewebgroup.co.uk/jody/Classics/Talking%20Heads%20Road%20to%20Nowhere.mp3
@Paolo1984: ma non è fastidio, non sapevo nemmeno fosse comunista. Se trovo ripugnante quello che scrive Alessandro Sallusti su Il Giornale, non capisco perché debbano passare per “barricadere” riflessioni insensate di Evangelisti. Sei troppo giovane, ma togli la cornice e i fronzoli, lascia “imperialismo” e “Sistema” e altre parole pietre, Sembra uno scritto, lasciami dire, da esponente delle Brigate Rosse. Non è, SEMBRA.
Penso che la letteratura, l’arte in genere, debba smettere di parlarsi addosso. Ma la soluzione non è quella di mettersi a descrivere la realtà in direzione della società civile, ma è quella di inventarla in direzione di una nuova vivibilità. La descrizione un po’ romantica del movimentismo piccola fiammiferaia non mi commuove tanto, anche perché so che i movimenti di lotta per la casa ecc sono in gran parte riconducibili a roba di destra discutibile tipo Forza Nuova e Casa Pound (o roba simile di sinistra, per ragioni affettive meno discutibile). Bisogna guardare in avanti anche nella politica: il futuro è europeismo un po’ tecnocrate contro localismo populista (quindi per forza a sfondo clericale e fascista). Dato che altra scelta non ci sarà, bisogna stare dalla parte dei primi, cercando magari di convincerli a dirottare risorse sul lavoro e sul welfare a favore dei più deboli.
Bè Vincent in effetti tra le battaglie di Evangelisti più controverse c’è quella a favore dell’ex esponente dei PAC (proletari armati per il comunismo) Cesare Battisti, ha difeso anche, dal sito Carmilla, diverse persone della sinistra “antagonista” accusate di essere fiancheggiatrici delle “nuove Br”.
questo ovviamente non fa di lui un “brigatista” (nemmeno apparente) nè il fatto che parli di Sistema e “imperialismo”, è semplicemente uno scrittore di estrema sinistra che si può benissimo non approvare senza dire che “sembra” un terrorista.
Comunque sarebbe interessante conoscere il pensiero di Lipperini sullo scritto di Evangelisti, credo che almeno in parte lo condivida se ha deciso di metterlo sul suo blog, ma magari sbaglio.
@Paolo1984: lei riprende questo post da Carmilla. Se lo condivida, non so.
Spero di no, fatti suoi. Ripeto niente del brigatista nemmeno apparente come tu scrivi, ma il linguaggio è gravissimo, se preso seriamente. Togli la letteratura come pretesto, diventa un pezzo di violenza assoluta, scritto à la manière delle BR. Mi devo informare meglio su questo Evangelisti e vediamo se è uno scivolone o la prassi.
In attesa che il signor Vincent completi le sue indagini, desidero segnalare che “The Guns of Brixton” è un brano dei Clash, normalmente interpretato come lettura del disagio delle periferie delle grandi metropoli europee (in particolare Londra).
Il termine “sistema” appartiene a molte correnti sociologiche. Il termine “imperialismo” è comunemente fatto risalire all’economista socialdemocratico inglese John A. Hobson.
Valerio Evangelisti, i termini appartengono a tanti contesti – e hanno origine non di rado avulse ai medesimi. Tuttavia imperialismo e sistema vengono spesso e volentieri utilizzati in un certo lessico politico e culturale – a cui le sue argomentazioni sono per altro funzionali – immagino nel bene come nel male. Usarli vuol dire che le implicazioni lessicali che hanno addosso non danno fastidio a chi le usa. Le evocazioni – che comportano neanche.
“mi devo informare meglio su questo Evangelisti”?
Vincent, credo di avertelo detto molte volte: sarebbe cosa buona se ti informassi meglio su tante cose, prima di postare.
@Zauberei: passi “imperialismo” (e solo nel caso ci si riferisca al contesto storico dal secondo dopoguerra in poi, ché prima era un dato di fatto oggettivo), ma “sistema” che implicazioni può avere? In sociologia, ma direi in tutte le scienze, dalle sociali alle matematiche, è un termine che più neutro non si può, visto che può essere usato per indicare cose diversissime tra loro.
Anche dire che è il loro utilizzo insieme a scatenare evocazioni di altre esperienze mi sembra azzardato: a parte che mi risulta che le BR utilizzassero una formula ben precisa, lo Stato imperialista delle multinazionali (il SIM, che oggi ha colonizzatto tutti i telefoni cellulari del pianeta). ma “sistema imperialista” è un concetto presente nella riflessione teorica di tutta la sinistra marxista da prima che Curcio e Moretti nascessero. Se uno deve rinunciare alle parole per l’uso distorto fatto da altri, a questo punto della storia dovremmo essere tutti muti.
Hai detto bene Skeight, perchè la questione per me è sinistra marxista mica br – sono cresciuta a pane e sinistra marxista – ai tempi della laurea in filosofia feci una tesi sulla scuola di francoforte e ora, oscillo tra amore e tasche piene. Non tanto di quegli autori quanto di quei lettori.
Un dato questo personale che certamente non riguarda nè te nè Evangelisti che avete tutto il diritto di usare le parole che volete. la questione non è questa – e prego anche te non cadere nel solito falso ricatto per cui chi criticherebbe l’uso di una parola, automaticamente richederebbe la sua censura. La questione è altrove – io non condivido il contesto ideologico in cui si muove Evangelisti anche se è molto limitrofo al mio, più certo di quello che può avere uno scrittore di destra. Non condivido il fatto che agire con un certo lessico e in un certo mondo mentale sia sempre la cosa più auspicabile per un buon libro – avendo conosciuto io un sacco di ragazzi ben intenzionati – nonostante lo stigma generazionale di Evangelisti – ma che scrivevano da cani.
Ditemi che state scherzando. Ditemi che questo naso arricciato sul bon ton lessicale (oggi? ora?), sulle parole desuete e inattuali, è un riflesso condizionato e siete stati fraintesi. Vi prego, almeno qui.
Sistema, Imperialismo, non fa più figo usare certi termini in certi modi, sicuro. Eppure, proprio oggi, leggiamo dappertutto che siamo nel pieno di una crisi di sistema. E allora?
Oppure, andate cinque minuti ovunque in Africa o in America Latina a chiedere quanto inattuale e desueto sia parlare di imperialismo.
E Proletari, non ce lovolete aggiungere? Brrr..che orrore.
Però, mi dispiace, per me per voi per tutti, le banlieues le favelas le scampias esistono ovunque, e dentro ci stanno i proletari. Non fanno figo, lo so. Ma ci stanno.
Ve la ricordate Rosarno? Oddio, i cassonetti rovesciati, quattro mazze brandite, non è così che si rivendicano uguaglianza e diritti! E che cazzo, declamate Voltaire!
Il fatto è che la lobotomia, come nello slogan pubblicitario, funziona per molti ma non per tutti. E sapete perchè? Perchè comunque, ai lobotomizzati qualcosa gliela devi dare, fosse pure solo la partita su sky o la domenica pomeriggio nei mega-outlet. Ma quando non c’è neanche quello, bè prima o poi sono cazzi.
Ci dobbiamo rassegnare, gli spossessati, i proletari, esistono, e ci guardano brutto. E’ bello? E’ buono? E’ giusto?
Niente di tutto questo. E’.
Gli esorcismi non salveranno nessuno. E i giochini stanno finendo.
La rabbia dei proletari esiste, e delle due una, o trova forme di canalizzazione, e consapevolezza, politica, o è violenza pura, guerra civile, guerra sociale. E stare a menarla col lessico è inutile.
Perchè sta per finire pure la mistica del Territorio, e delle appartenenze di cartone. Chè puoi strepitare quanto vuoi “prima i soldi a me che ai quattro rovinassi di pompei”, ma se il mitico Territorio che amministri da vent’anni e hai cementato di ipermercati e svincoli e capannoni in ogni centimetro, dopo due giorni di pioggia ti va due metri sott’acqua, poi rimangono come sempre in due. Quelli coi soldi che, alla lettera, la sfangano. E quelli senza che, sempre alla lettera, restano nella melma.
E ripeto, sono cazzi. Sia se stai sopra alla gru, a crepare di freddo, sia se stai sotto. Perchè stanno per caderti sulla testa.
L.
Mi trovo d’accordo con luca
Luca piantala con questi ricatti morali del cazzo. Figo o non figo non ci entra. Piantala di ammantarti di una consapevolezza che credi di avere solo tu perchè la sputi nel linguaggio mentre non so esattamente cosa tu faccia di concreto ( e per carità di Dio non informarmi ora – se ti sbatti meglio per te) – di solito temo sempre che chi sbraita pensa che si esaurisca li la questione. In ogni caso non ho intenzione di mettermi a frignare per avere da parte tua o di chiunque altro la patente di consapevolezza storica o politica e il mio eventuale impegno nelle cose attuali. Sei retorico e ricattatorio.
Non entro nel merito delle idee specifiche di Valerio Evangelisti sui brigatisti. Si potrebbe discutere temo per eoni senza giungere a niente più che all’espressione della propria opinione.
Credo invece che sia estremamente interessante il fatto che lui usi quelle che un tempo sarebbero state definite le parole d’ordine di una certa ideologia. Poco (assai poco) conta citare Hobson. Lo trovo interessante perché io credo che centri un punto.
Cioè è proprio vero che la letteratura evita di affondare il colpo sulle tematiche politico-sociali. Ma io credo che sia così non per paura della reazione politica, quanto piuttosto perché la letteratura non è più tanto sicura che imperialismo e soci siano i termini corretti per un’analisi. Cioè siamo ancora a quello? O la società è andata oltre e nessuno ha fatto un’analisi decente della situazione? Temo possa essere questo il problema. E io come posso scrivere di qualcosa che nessuno sta analizzando o capendo? Posso credere che a decenni dal primo utilizzo del termine imperialismo siamo ancora lì? Io non credo. Siamo andati ben oltre e a mio avviso in direzioni persino peggiori.
Io non mi vedo come rivoluzionaria, ma il libro l’ho ordinato e voglio leggerlo.
Mi pare che sempre di più ci si incarti con le parole e ci si allontani dalle cose, anche se queste senza le parole sono, letteralmente, invisibili.
E questo per me è il punto: ci sono cose che oggi non sono dette, e quindi viste e ci sono cose che, per quanto evidenti, non sono messe in relazione tra loro: una stragrande fetta di realtà (sono consapevole dell’ambiguità di questa parola) è sommersa o, meglio, affondata spesso volutamente. Come non esplicitate sono le implicazioni incistate in quella parte di realtà che riesce ad emergere.
Rimanendo in superficie ci si rende complici, mi pare dica Evangelisti, di quelli che vogliono che molte cose rimangano invisibili e che le relazioni tra le cose visibili vengano occultate.
Le parole che usa Evangelisti mettono a disagio anche me più o meno per le stesse ragioni di Zaub.
Però, attenzione: il disagio (o addirittura la demonizzazione) nei confronti dell’ideologia (detta nel senso più neutro possibile) rischia di negare la realtà che quelle parole dicono, e che esiste davanti intorno dentro di noi. Per cui forse varrebbe la pena di denunciare anche l’ideoloiga imperante, che nega se stessa in quanto ideologia e si maschera di oggettività.
.
Al punto in cui sono arrivata, per quel che mi riguarda, preferisco un linguaggio denotativo secco e senza fronzoli che descriva in modo più fenomenologico possibile le cose e che le metta in relazione tra loro. Di fronte allo stato rivelato delle cose poi scatta, dovrebbe scattare, l’urgenza dell’azione.
E qui si apre l’angoscia del che fare e di come farlo. Io sinceramente non lo so, non so nemmeno se lo sa Evangelisti, ma che le cose vadano almeno viste e dette su questo non ho alcun dubbio.
Sto leggendo ‘Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia’, curato da Pietro Basso e edito da Franco Angeli, che mette in fila le cose e stabilisce relazioni tra loro.
La sensazione che mi viene leggendo è che la caldaia stia davvero scoppiando, anche se a scrivere non sono autori ‘militanti’ e il titolo del libro non è ‘Clash’.
Zauberei,
il ricatto e il ritiro della patente li vedi tu. Io la patente non ce l’ho, tantomeno le distribuisco. C’era scritto che io faccio tanto per i proletari, e tu no ? Tranquillizzati. Io non faccio niente, il cursus honorum te lo lascio in pieno.
Guida con prudenza.
L.
Mettiamola così Valeria, di cui ho apprezzato molto l’intervento – sallo:) – a me la targa di giovane combattente per la libertà e cultura giovanile irriducibile non dice molto che io voglia sapere per essere invogliata a occuparmi di un libro o di una rivista. A parità di informazione gradisco più della saggistica coi controcoglioni, o del giornalismo coi controcoglioni che un romanzo o un romanzo malscritto. La recensione in questione non mi offre appigli su mal scritto e ben scritto – e anzi come dire, “genereletteralizza” l’impegno sociale, lo antepone a. E io detesto il genere come categoria di partenza e non di approdo in fatto di libri. Per quanto mi riguarda è una trappola. E anzi: da un libro voglio più di questo, voglio più del dire, voglio l’interpretare, voglio una visione del mondo. Ho finito stamattina Lethem – la fortezza della solitudine. Un romanzo che ho trovato magnifico. Ma mica è magnifico perchè parla delle carceri e delli graffitari. O perchè tra le molte cose che dice, ce ne è diverse che rientrano nei nostri desiderata in fatto di sguardo filosofico politico.
Ecco, mi pare che Eleas abbia intravisto le cause. Aldilà delle giuste considerazioni di Zauberei, sappiamo tutti che un autore può fare politica anche con un racconto che descriva la sua evacuazione sul water, che l’impegno sia esplicito o metaforizzato non ha nessuna attinenza con il risultato estetico raggiunto.
Come altri hanno scritto, non è che i termini “sistema” e “imperialismo” siano da sostituire: al contrario, non sono da cristallizzare nel concetto che vi siete fatti quando li avete usati da giovani, perché spesso si odia ciò che si è amato per troppo tempo e ci ha delusi, e così si finisce per sviluppare qualche idiosincrasia da tacitare con l’analgesico. D’altronde è vero che usare parole come fascismo, comunismo, antisemitismo, capitalismo, […], rischia di essere puro flatus vocis, perché ciascuno ha un’idea comunque antiquata del loro contenuto semantico odierno. Perciò riproporli non aiuta a capire né a denunciare, certo non a fare distinzioni
Ma chi davvero ha capito e potrebbe spiegare in forma davvero compiuta e organica come il potere finanziario articoli il suo imperialismo, per dirne una? Come chiedere alla letteratura di essere addirittura più lucida con le sue figure retoriche quando anche la saggistica è ancora così arbitraria e insicura nelle sue argomentazioni, fatalmente persa tra i due estremi della presbiopia del dettaglio o della miopia dei massimi sistemi?
Se si ha lo sguardo all’orizzonte si rischia di essere accecati dal Sole. Ma chi guarda il frutto dell’evacuazione lo sa che esistono il Sole, l’orizzonte e ciò che cavalca là dietro?
G.L
Perché no? Chi era che diceva che dai diamanti non nasce niente…
Sallo pure te Zaub che apprezzo i tuoi interventi, anche quelli su questo thread.
Non lo so se Evangelisti volesse dire che la letteratura debba essere impegnata socialmente, qualsiasi cosa voglia dire questa espressione. Io l’ho interpretato in questo senso: gli scrittori che vogliono parlare di realtà, che vogliono fare libri ‘di denuncia’ (anche qui le virgolette, perché ormai le parole scivolano da tutte le parti) non possono limitarsi alla superficie delle cose ma scandagliarle fino in fondo.
E su questo sono d’accordo, che me ne faccio di sociologismi e politicismi d’accatto in confezione ‘fiction’?
Poi sì, anch’io mi leggo i saggi o romanzi che con la ‘realtà’ sembra che non abbiano niente a che fare e che invece ti sono, per te che leggi, necessari.
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In generale, comunque, per quel che riguarda lo zoccolo duro della bruta realtà preferisco la descrizione alla interpretazione e un linguaggio esplicito, dove di ogni parola si renda conto dell’uso che se ne fa.
Prosaico, ma necessario.
La merda non insegna a sognare. La merda ti insegna a turarti il naso.
@Valeria scrive:
“In generale, comunque, per quel che riguarda lo zoccolo duro della bruta realtà preferisco la descrizione alla interpretazione e un linguaggio esplicito, dove di ogni parola si renda conto dell’uso che se ne fa.”
Condivisibile, ma credo che tutti gli autori dei commenti siano consapevoli che a volte occorre l’azzardo nel piano connotativo affinché si scardini lo stanco e sclerotizzato uso denotativo. Per questo la letteratura, quando vi riesce, ha più forza del saggio e guarisce il sordo lettore.
@GL
Ti insegna a scappare da quel fetore ma ti insegna anche che da lì nascono i fiori. Non è forse questa unica riga tra le tante che si posono trovare, già messaggio politico e azione?
No, è un messaggio di rassegnazione. Difensivo. Consolatorio. Mangia la tua fetta di merda. Non guardare la merda. Non guardarti allo specchio. Sorridi.
@Hommequirit. Anch’io sarei in linea di massima d’accordo, se della connotazione e della declamazione non si fosse fatto un uso orgiastico da decenni.
Poi ogni vera letteratura degna di questo nome azzarda un linguaggio, a volte scarno a volte barocco, a volte tutte due e altro.
L’azzardo è sempre relativo al contesto. Gli scrittori del dopoguerra scardinarono con un linguaggio denotativo lo stanco e sclerotizzato uso del connotativo.
Oggi, saturi di carverlishismo, forse l’azzardo è nell’altra direzione.
Però non mi riferivo alla letteratura quando parlavo di zoccolo duro della bruta realtà. Mi riferivo al modo in cui se ne dovrebbe parlare abitualmente, mentre da decenni abusiamo in privato e sui media di connotazioni e declamazioni.
Guarda, ho proprio qui davanti a me un segnalibro con una frase di Cechov: “Non permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero”.
Ecco, questo voglio dire.
@Gl
Dice? E perché non dedurne un messaggio pugnace. Offensivo. Provocatorio.
Sputa la tua fetta di merda. Guardala, la merda. Guardati allo specchio. Indignati.
GL la rassegnazione ti viene fuori laddove manca comprensione, almeno per me è così. Ribadisco non stiamo comprendendo granché di quanto ci sta attorno. Parole vecchie non spiegano il reale. La merda viene prodotta con altri mezzi. Puzza ugualmente per carità. Ma la fetta da ingoiare diventa via via più grossa. Quindi credo che capire sia una necessità… fisiologica!
Perchè di provocatori il mondo è pieno. I fiori si portano sulle tombe. Gli orizzonti sono per i vivi.
Eleas, non ti piace “sistema”, non ti piace “imperialismo”? non piacciono nemmeno a me. E sai bene quanto per il sottoscritto le parole contino. C’è un “ma”, però. E cioè che anche con quelle parole lì, la realtà non cambia. Non si chieda alla narrativa di spiegare, si chieda alla narrativa di aggredire.
@Valeria
Concludo perché sto occupando lo spazio altrui e ho voglia di leggere altri più che me.
Lei ha ragione ma Checov elogia la lingua come ancella del cogito, e critica il superfluo. Tuttavia il suo è un invito alla disciplina. In fondo è ottimista perché invita alla briglia, a evitare il barocco che c’è in ogni scrittore. Però ho qui davanti a me un’altra frase, di Peirce: “il linguaggio è la somma di me stesso e i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mondo”. Perciò per poter limitare il carnevale della connotazione, occorre padroneggiarlo e la cosa è molto ardua, di sicuro non è solo un problema di incontinenza.
Da parte mia non chiedo al romanzo di fare il saggio: al secondo chiedo risposte, al primo le contraddizioni di quelle risposte.
cicci – rispiegateme la differenza tra linguaggio denotativo e connotativo che non vi seguo.
Per il resto GL quando parla della richiesta di aggressione e non spiegazione mi ha colpita, mi ha fatto pensare. Rimane il fatto che – sarò retrò – ma per la questione rimane il come si fanno entrambe le cose
Lo scopo della narrativa è di raccontare storie, cioè una narrazione diversa da quella della saggista, né migliore né peggiore, solo con diverso pubblico. Ultimamente nella narrativa interviene anche il registro saggistico, oppure chi scrive ricorre a un piano connotativo-allegorico, invogliando il lettore a sviluppare, se non lo ha già, un interesse verso tematiche di cui normalmente non si occupa. Ricordo un’amica che leggendo Manituana, in cui si rintracciano temi legati alla nascita del neo-liberismo, commentò “questo libro sta parlando a me”. La differenza fra dimensione denotativa e connotativa (o se vogliamo, fra il piano letterale e quello figurale, ma si possono usare anche altri termini) in narrativa ha questa funzione qui. Poi, se l’interesse per la narrativa italiana contemporanea manca a prescindere, la colpa non si può attribuire alla qualità letteraria, su cui su questo blog si è discusso fin troppo.
Zaub: sono più fossile io. Ho la presunzione (pensa te!) di credere che un narratore prima di aggredire debba anche mettere il bersaglio nel mirino. Sempre lieto di colpire 🙂
Cara Zaub, hai ragione. Posso rendere conto dell’uso che ho fatto io dei termini ‘denotazione’ e ‘connotazione’, e quindi mi assumo la responsabilità dell’approssimazione della spiegazione casareccia.
Un termine ‘denota’ quando non vuole rimandare ad altro se non alla cosa che nomina, ‘connota’ quando carica la cosa che nomina di altri significati, sensi o emozioni.
Questo è l’uso che ho fatto io di questi termini, senza alludere agli abissi linguistici e logici che si aprono (‘abisso’ in questo contesto è un termine connotato), infatti – come mi ha fatto notare gentilmente hqr, citando Peirce ““il linguaggio è la somma di me stesso e i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mondo”.
Padroneggiare il carnevale della connotazione non si può, ma esserne almeno consapevoli sì e cercare di arginarlo pure, nei limiti possibili.
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Se con la frase “Da parte mia non chiedo al romanzo di fare il saggio: al secondo chiedo risposte, al primo le contraddizioni di quelle risposte” hqr stava contestando qualcosa detto me, puntualizzo che tutto quello che ho detto nei miei interventi precedenti non andava nel senso della sovrapposizione o nella non distinzione tra romanzo e saggio, anche se condivido quello che dice Claudia in proposito e sugli slittamenti che oggi sono frequenti.
Mi correggo da sola su un punto: il linguaggio non è questione solo di contesto, ma di consapevolezza da parte dello scrittore.
Non volevo fare dello stile una forma di reazione.
p.s. ma in tutto questo, qualcuno ha voglia di leggere il libro di cui ha parlato Evangelisti?
Io sì, per cui starò zitta fino a quando non lo avrò tra le mani e potrò dirne qualcosa di concreto.
Intanto anticipo il commento del ragazzo di una cooperativa libraria a cui l’ho ordinato. E’ trasalito come se non si aspettasse che qualcuno glielo chiedesse, e poi ha detto “Ah, sì. E’ un libro bellissimo”.
Be’, vorrà dire pure qualcosa.
Che poi, Claudia, tutto questo imbizzarrirsi per un termine e interesse reale per la narrativa contemporanea less than zero 🙂
(sogno o son desta? Mi stropiccio gli occhi anche io)
Evangelisti mi pare che individui due nodi fondamentali:
1) la nascita dal basso di un progetto come Laspro (fatto che posso confermare, visto che sono amici con cui collaboro da anni);
2) la centralità della letteratura come strumento per raccontare una realtà diversa da quella che ci vorrebbero propinare.
E, aggiungo io: la letteratura come piano d’intersezione di soggetti che credono nel potere fondativo della parola, e dunque dei suoi effetti anche sul piano extraletterario.