TENACIA

Valerio Evangelisti, presentando l’ antologia di AA.VV. The Clash – Lo scontro. Storie di lotte e di conflitti, Lorusso editore:
L’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali. Quando lo fa, è nel quadro dell’“accettabile”, in cui distorsioni del sistema possono essere denunciate senza mettere in discussione il sistema stesso, e meno che mai il quadro internazionale in cui è inserito. Così sono numerose le denunce della mafia e di altre forme di criminalità organizzata, della corruzione, di certe violenze poliziesche, del degrado del vivere civile, e così via. A esse, però, non corrisponde, o corrisponde molto di rado, una messa in discussione dell’intero modo di vivere sotto il capitale, oppure della sua diretta conseguenza su scala mondiale, l’imperialismo. Non mi viene in mente alcun romanzo italiano contemporaneo (a parte qualche pagina di autori poco noti) che metta in scena la guerra nelle sue molte varianti attuali, il potere della finanza o, dal lato opposto, una vita di periferia in cui fascismo e razzismo sono tornati, prepotentemente, a essere parte della quotidianità.

La risposta a questo frastornante silenzio viene, per fortuna, dal basso. Laspro è una rivista di sole quattro pagine distribuita gratuitamente nelle librerie e negli spazi dell’antagonismo sociale. Contiene racconti di alcuni degli autori presenti in questa raccolta. Si passa di sorpresa in sorpresa. Il coraggio mancante all’intellettualità “di rango” riaffiora dagli interstizi, la conflittualità nascosta e negata riemerge con prepotenza. Occupazioni, scontri con la polizia, antifascismo militante, culture giovanili irriducibili. E’ un’Italia niente affatto “pacificata” – nel senso voluto dal Presidente della Repubblica, dal governo, da un’opposizione ormai priva di identità politica e culturale – quella descritta (e vissuta) da giovanissimi scrittori molto dotati. Il quadro non somiglia a quello degli anni Settanta, ma la tenacia di chi non si rassegna sì. Ed ecco storie che narrano di chi, giorno per giorno, si impegna a contrastare nelle giungle metropolitane il dilagare della reazione, conquistando lembi di territorio e difendendoli con le unghie e con i denti. In presenza di una repressione morbida solo in apparenza, in realtà sistematica e accanita. Tanti racconti terminano riferendo l’esito dei processi che hanno chiuso – transitoriamente chiuso – gli episodi descritti nel testo.
Nel disinteresse ufficiale, sta crescendo una nuova leva di combattenti per la libertà, che occupano case e piazze, rivendicano diritti incomprimibili, sovvertono l’ordine sepolcrale in cui si vorrebbe rinchiudere la scuola, si ribellano alle nuove schiavitù del precariato e della fabbrica-galera. La vera novità, in precedenza vista molto di rado, è che questa generazione trovi subito nella letteratura un momento di lotta efficace quanto gli altri. Mentre sui blog culturali più noti (non parliamo delle sedi critiche accademiche, ormai allo stato larvale) ci si interroga stancamente sull’ “impegno” dello scrittore, e su altri temi simili già vecchi negli anni Sessanta del secolo passato.
Questa è un’antologia importante, importantissima. Apre speranze, sfida il pessimismo corrente. Fa capire che lo scontro (“The Clash”) non è prospettiva futura, ma realtà già in atto. A chi sappia prestare ascolto, non può sfuggire il clangore metallico dei guns of Brixton che, nelle periferie, migliaia di giovani stanno ricaricando.

110 pensieri su “TENACIA

  1. Valerio Evangelisti: ah, lo so. Sistema e imperialismo possono avere accezioni neutre, non nel suo caso. Ripeto, quello che scrive mi fa rabbrividire.
    @loredana Lipperini: questo Evangelisti era un modo per smorzare i toni. Un poco di leggerezza. Lo conosco. Non fare la maestrina, grazie.
    Se posti Sallusti, di cui penso malissimo, do un personalissimo parere anche su Valerio Evangelisti. Se poi c’è censura su questo blog mi venga detto espressamente. “Ti informassi meglio su tante cose”. Che ne sai? Chi credi di essere?

  2. La titolare del blog. Ovvero, di uno spazio aperto a tutti. Purché si rispetti un minimo di civiltà, di educazione e di competenza. E di “leggerezza”, così come di ironia, abbiamo due concetti radicalmente diversi.
    Vincent, mi riservo il diritto di approvare o meno i commenti, che ti piaccia o no.

  3. Eh, Loredana, finché si continua a riempire il vuoto di interesse con il sovraccarico di stilistica, si farà fatica a capire una recensione, peraltro molto lineare, come quella di Evangelisti 🙂
    @Simone: esattamente. Tanto per insistere un po’ sul livello connotativo (chiedo venia), una letteratura che modifichi radicalmente la narrazione e quindi la comprensione di ciò che caratterizza negativamente questo paese è una letteratura che rifonda gli statuti attraverso la lingua, al di là delle pratiche di ibridazione dei testi, che alla fine sono secondarie rispetto all’impatto della parola. Cioè, hai voglia fare esercizi di cut-up alla Burroughs se dietro manca una lingua capace di affrontare il presente.

  4. Le riflessioni che fa Eleas sono interessanti. Pensa che con la narrativa si possa rispondere alle domande che pone, osservando e mostrando la realtà com’è, senza dargli necessariamente un nome, perché si corre il rischio di limitarne il significato (le etichette); mostrare il malessere e gli sbagli volontari e involontari di questa società, rendersene conto è il primo passo verso il miglioramento. Negare questo, significa restare nel pantano e sprofondarvi sempe più.

  5. @Lipperini: d’accordo abbiamo due concetti di ironia diversi, va bene. Vada per l’educazione, a volte ho delle ruvidezze che fanno male solo a me. Sulla competenza, permettimi di non essere d’accordo. Non sto sostenendo un esame, né vengo retribuito, quindi do sfogo, come tutti gli altri, al mio pensiero. Che ti piaccia o no. Guarda se scrivessi: “Come titolare del blog, non voglio più tuoi commenti” lo troverei più onesto intellettualmente.

  6. Rispondo e poi chiudo immediatamente l’OT. La parola chiave è “sfogo”. Non immagino questo spazio come un luogo dove si “sfoga” il proprio pensiero e dove si posta compulsivamente: ma dove si discute. Possibilmente con toni pacati. Possibilmente stando al punto. Possibilmente non arrivando a pié pari – non parlo, in questo caso, di te – alzando la manina senza aver letto quel che gli altri commentatori hanno da dire, solo per raccontare quant’è bella e giusta la propria esistenza.
    Per me, la differenza fra blog e forum sta qui: un luogo dove si confrontano idee e pareri anche diversissimi, dove si litiga, anche. Ma possibilmente pesando le parole.

  7. Resto talmente sul punto che ho riaperto un dibattito che ieri era anemico. Senza compulsioni eccessive e a parte un mio, ripeto, personalissimo pensiero, trovo che scrivere “L’odierna letteratura italiana, salvo rare eccezioni, si tiene ben lontana da tematiche politico-sociali” è opinabile.
    A Valerio Evangelisti preferisco Walter Siti. Non sopporto in uno scritto né la parola “imperialismo”, né la parola “Sistema”, anzi sono termini che trovo, aridaje, pericolosi e/o ridicoli. Fine. Pacatamente, sottovoce, pesando le parole, come piace nei blog.

  8. concordo con zauberei. Conoscevo il pezzo dei Clash, ma è indubbio che nel finale viene usato per evocare altro. Un ‘altro’ che a Evangelisti non dà fastidio. Bene. A me invece suscita disagio e avversione, come ad altri qui sopra.

  9. (appunto: siamo al delirio. Però, Skeight, mi sembra che ultimamente si deliri parecchio, e sono sconcertata dalla valanga di contumelie che mi vengono riservate altrove per il post precedente, per esempio)

  10. A me, personalmente, fa rabbrividire l’ignoranza storica di certi esegeti del linguaggio di Evangelisti. Evangelisti scrive nel 2010 “sistema+imperialismo”, le Brigate Rosse scrivono (nel 1978, o giù di lì) “sistema+imperialismo”, ed ecco trovata la connessione semantica che fa rabbrividire. Come se, per inciso, dire AB nel 2010 sia lo stesso che dirlo nel 1978 (ricordarsi del racconto borgesiano del tale che riscriveva Cervantes, già che siamo su un blog letterario).
    Per capirci: “sistema+imperialismo”, in quegli anni, non lo dicevano solo, né esclusivamente, e neppure principalmente le Brigate Rosse. Non era un connubio brigatista: quando veniva articolata, nessuno ti etichettava come tale. Ci sono interviste a Sandro Pertini (non a Renato Curcio) di poco precedenti alla sua elezione a presidente in cui Pertini indicava, in caso di golpe, le caserme dei carabinieri come i luoghi dai quali andare a prendere le armi per la resistenza. E Pertini non era neanche un esponente della sinistra socialista. Erano le Brigate Rosse che si appropriavano di un linguaggio che non era coniato da loro, e che peraltro non erano neanche in grado di padroneggiare, se non nei rozzi termini militari che gli erano propri.
    A distanza di quarant’anni (ma Evangelisti vi sembra uno che passa il tempo a rimpiangere la passata gioventù?, no, dico, c’è qualcuno che lo ha letto – per più di due righe, però – e ne ha tratto questa impressione?) la rimozione storica fa sì che si sia affermata una narrazione para-brigatista: i brigatisti si autoatribuivano l’esclusiva della lotta di classe (persino Autonomia Operaia era diffamata, e talvolta minacciata di morte, come “collaborazionista”), ed oggi ogni forma di antagonismo, di contestazione sociale, di protesta accaduta negli anni Settanta è attribuita alle Brigate Rosse: contestavi? Sarai stato brigatista! Occupavi? Sarai stato brigatista! Non era del PCI? Sarai stato brigatista! Persino la strage del 2 agosto, nell’opinione pubblica, dev’essere stata qualcosa di brigatista (i BR uccidevano, lì ci sono dei morti, saranno stati loro). È la vittoria del teorema-Calogero: fatto a pezzi dalle sentenze giudiziarie come una collezione di bufale, ma vincente nell’immaginario degli anni Ottanta, per il quale c’erano solo lo Stato e le BR, e in mezzo niente (a parte Sciascia?). E così ogni tanto capita che venga trovata una firma su un appello (ma guarda, anche Umberto Eco! anche Norberto Bobbio! anche Giampiero Mughini! ma chi lo avrebbe detto!) e, con un paio di capriole semantiche, tutti diventano possessori di un passato filoterrorista.
    Le spontanee cazzate che vengon fuori ogni volta che si pronunciano certe parole dimostrano che un’altra narrazione è non so se possibile, ma di sicuro necessaria, e anche urgente. Fossi Valerio Evangelisti, non appena riesce a smettere di ridere gli direi di sostituire alla sua introduzione un paio di post di questa discussione: sono la migliore introduzione a The Clash.

  11. Temo che ormai alcuni termini non siano più accettati dalla società. Non si dice più “compagni”, non si dice più “comunista” non si dice più “femminista” (non si usano più un sacco di altri termini a dire il vero) e non lo si dice più per paura di essere considerati degli estremisti, dei pazzi, dei “vecchi”. C’è stato un lavoro così profondo di demonizzazione e di decostruzione in determinati ambiti, anche dall’interno, che ormai chi usa un termine come “sistema”, giusto per fare un esempio, o “proletario” è visto come un problema, come un nemico della società, come un retrogrado che non si è adattato al nuovo. E il nuovo, in questa bella società, ci vuole tutti uguali, tutti sorridenti, tutti felici. Purtroppo è una cosa che vivo quotidianamente anche all’interno del mondo GLBT. Chi continua a definirsi diverso (e non diverso perché non eterosessuale ma diverso perché culturalmente appartenente ad un sistema che si allontana dal machismo e dalla fallocrazia imperante) viene identificato come un disadattato. Mi dispiace ma io non ci sto.
    E, magari, invece di discutere, a volte anche in modo poco civile, sull’orientamento politico di Evangelisti sarebbe meglio leggere il libro che è un buon libro con racconti di vita che, volenti o no, ci riguardano tutt*.
    Marino

  12. Uno dei miei motivi di turbamento, in rete e non solo, è che ci si sente autorizzati a intervenire su tutto, anche su quel che non si conosce, a intervenire “di pancia” perchè “è mio diritto”. Naturale che lo è: ma se la sottoscritta scrivesse su un blog di ingegneria spaziale la prima cosa che le passa per la mente susciterebbe, immagino, qualche reazione. Tollerante, auspicabilmente: forse un po’ meno al decimo intervento.
    Accolgo il suggerimento di Girolamo e suggerisco quantomeno una postfazione. 🙂
    Marino: la risemantizzazione di alcuni termini è indispensabile. Incluso quello di “moralista”, come diceva Wu Ming. 🙂

  13. Comunicazione importante dal Ministero della Sicurezza Verbale
    Le parole “imperialismo” e “sistema” sono state riconosciute colpevoli di gravi collusioni col terrorismo nazionale e internazionale, e quindi interdette all’uso pubblico. Da oggi in poi, esse verranno quindi rispettivamente sostituite dalle parole ”neoprene” e ”salicilato”.
    Gli amministratori di sistema saranno perciò tenuti ad autodefinirsi amministratori di salicilato, mentre gli anticomunisti militanti esprimeranno la loro condanna del terribile neoprene sovietico.

  14. La strage del 2 agosto non fu opera di brigate rosse, ma di un altro colore, molto più cupo e oscuro.
    Mi trovo d’accordo sulla linea di pensiero di Perseo.

  15. Chi lo sa, forse citare qualche caso può essere utile.
    BP. British Petroleum.
    Lo sapete che dopo l’immane disastro nel Golfo la BP ha comprato, proprio comprato, il mare e le coste, dalla Florida alla Louisiana, che dovrebbe ripulire? Lo sapete che tutti, proprio tutti, i pescatori, coltivatori di gamberi, addetti al turismo e alla ristorazione, possono lavorare solo per loro? E per nessun altro, nemmeno in proprio? E che chi lavora per loro, a mare o sulla costa, ha il divieto assoluto di rilasciare qualsiasi tipo di dichiarazione? E nel frattempo ha riottenuto il permesso di trivellare quel cazzo che le pare? Sistema capitalistico non va bene per chiamare ‘sta cosa qua? Secondo me funziona ancora abbastanza bene, se no trovatela un’altra parola, però trovatela in fretta se no si deve restare zitti, o dire che va bene così.
    Morgan Stanley. Agenzia di rating intenazionale. Per capirsi, quella che insieme a un altro paio dava il massimo dei voti a Lehman Bros o Parmalat fino a 5 minuti prima del crack.
    Levando una o due A, downgradando a suon di – e di Sell, può mandare a cartoni un Paese, presunto sovrano, in 24 o 48 ore. In Irlanda si stanno cagando addosso, proprio ora, stasera, per questo. Dentro Morgan Stanley nessuno viene eletto, nè nominato da nessun governo o authority o altro.
    Imperialismo Finanziario secondo me funziona ancora molto bene per descrivere ‘st’altra cosetta qua. Secondo molti altri no ? Puzza di “retrobolscevismo”? Ok, mentre deodorate la casa sforzatevi, come se fosse un cruciverba, a cercare anche questa nuova parolina.
    Il numero di lettere è illimitato.
    Aggiungete un’ultima definizione:
    Iniziali di un calciatore italiano conosciuto e premiato in tutto il mondo, cognome e nome. Ha smesso di giocare, è buddista, e non sta in galera. Due lettere.
    L.

  16. Mi contraddico, non ho ancora tra le mani il libro, ma mi sono piaciuti i commenti di Alessandro Daniele e di Perseo.
    Sui commenti di pancia, o troppo di testa come forse qualcuno dei miei, io non sarei così severa, Loredana. Sono come un’eruzione cutanea che è pur sempre il sintomo di qualcosa che potrebbe essere più seria di un semplice eritema.
    Io leggo il tutto così: attraverso un’accora campagna di sensibilizzazione (vedi il commento di Perseo) siamo diventati allergici a certe parole e, per questo, allontiamo da noi pure i fenomeni che queste parole esprimono, non li percepiamo più.
    Poi capita che alla radio, a ridosso della questione ‘Pomigliano’, uno sente dire da un economista questa frase:
    “Non è vero che la lotta di classe non esiste più. Anzi non è mai morta. Solo che la stanno facendo, unilateralmente, i ricchi contro i poveri”.
    Solo che i poveri, per bon ton (qualcuno dovrà pure rimanere ad osservarlo), devono fare finta che non ci sia.

  17. diana, non so cosa ti abbiano fatto quei cattivoni dei tuoi genitori intellettuali marxisti (ho la sensazione da altre discussioni avute con te sul blog di Binaghi che certe tue “avversioni” politiche siano di origine familiare), ma qualunque cosa sia non è colpa di Valerio Evangelisti nè di quelli che usano parole terribili come sistema e imperialismo-
    Per non parlare di femminismo e proletariato…mamma mia che impressione!!!!
    Grande Alessandra Daniele! E anche peseo

  18. Non so Diana, ma l’insofferenza per certe parole a me deriva dal fatto che le ho sentite troppo spesso pronunciare come volute di fumo in salotti molto lontani dalle periferie e dai problemi che quelle parole avrebbero dovuto denunciare. Non ci sento dentro l’eco dell’indignazione e della rivolta, ma il birignao autoassolutorio di una sinistra parolaia e soddisfatta.
    Per questo oggi preferisco la definizione puntuale di quello che accade, e che è gravissimo, al suo involucro ideologico.
    Poi sì, mi pare giusto che si torni a parole precise e forti. Se c’è lo sfruttamento (e c’è) si chiami sfruttamento e che a dirlo siano per primi gli sfruttati.
    E, credetemi, queste parole non sono frutto di anti-intellettualismo, per cui in genere provo un vero fastidio.

  19. in realtà, leggendo la recensione di Evangelisti mi sono tornati in mente i capetti di Lotta Continua che ascoltavo alle assemblee del Tasso, a Roma, negli anni settanta. Non li apprezzavo, no, effettivamente. Comunque grazie, Paolo, della tua discrezione. E Loredana, effettivamente non credo di avere messo a fuoco i criteri in base ai quali si può scrivere o non scrivere, qui. Ma va bene.
    @valeria. Senz’altro l’ipocrisia delle volute di fumo può diventare soffocante. Non avendo letto né il libro recensito, né Evangelisti (di cui però ricordo la saga di Eymerich alla radio, molto bella), il mio breve intervento era solo una reazione a una prima lettura della recensione e ai suoi ‘echi’.

  20. Diana, mi spiace se ti sei risentita, ma non penso di aver scritto niente di offensivo nei tuoi riguardi e ho parlato di cose che tu avevi già scritto in un sito pubblico e leggibile da chiunque.
    se ho commesso una scorrettezza, mi spiace. Sul serio.

  21. Loredana il fatto che io sentissi parlare di quelle parole in quei salotti non vuol dire che io appartenga a quei salotti.
    Vengo da una famiglia contadina e abito nella periferia sud est di Roma, ma non me ne faccio un punto di vanto, perchè la provenienza, qualunque sia, non la considero un blasone nè un lasciapassare che ti esonera dal dimostrare quello sei, adesso.
    “Sei di sinistra? Dimostralo!” nessuna richiesta penso sia stata meno soddisfatta.
    .
    Torno a Cechov, che è il mio scrittore preferito.
    Stavolta cito non da un segnalibro, ma dal libretto ‘Senza trama e senza finale’ della Minimum Fax.
    “Cechov sentiva l’assurdità del contrasto tra le parole che si dicono e si scrivono e la vita che si conduce: tra quello che si crede di essere e quel che si è. Dopo un pranzo organizzato per celebrare un anniversario della liberazione dei servi della gleba, scrisse nel suo diario:
    ‘Era una faccenda assurda e fastidiosa stare a tavola, bere champagne, ascoltare discorsi inneggianti al risveglio degli umili, alla libertà e così via, mentre nello stesso istante, altri servi in abito nero correvano da un tavolo all’altro, ugualmente schiavi, e fuori all’aperto, intirizziti dal freddo, sostavano i cocchieri. Questo significa in verità peccare contro lo spirito’….. Kroptikin scrisse che nessun altro scrittore russo aveva rappresentato altrettanto bene ‘i difetti della natura umana nella nostra civiltà contemporanea ‘ e specialmente ‘la completa bancarotta morale degli intellettuali'”.
    .
    Mi dispiace molto scrivere queste cose in un momento in cui gli intellettuali, soprattutto quelli di sinistra, godono di così cattiva stampa, ma considero l’autocensura come la peggior forma di censura, per cui lo scrivo lo stesso, lo condivido e spero di non essere fraintesa.
    E se poi sarò di nuovo fraintesa me ne farò comunque una ragione.

  22. Valeria. I blasoni non c’entrano. E neanche gli intellettuali. Mi sembra che Girolamo abbia efficacemente dimostrato, nel suo intervento, come trasalire per la terminologia usata non abbia alcuna motivazione storica. Quanto alle motivazioni personali, capita che possano non essere pertinenti.

  23. Girolamo ha dimostrato come trasalire per la terminologia usata non abbia nessuna motivazione storica, non ha dimostrato che non abbia nessuna motivazione personale. E le motivazioni personali, dichiarate come tali, sono motivo sufficiente e pertinente per trasalire.
    Evidentemente su questo punto non siamo d’accordo. Capita anche questo.

  24. No per carità, siamo arrivati alla apologia acritica di ogni terminologia perché si è figli (figlia) di operai. A quando la rivoluzione contro i salotti?
    @Girolamo: riconosco che in quello che dici c’è del vero, al punto che mi vergogno un poco della mia semplificazione che non è assolutamente il verbo. Questo io lo avevo detto dal primo commento, parere personale, assolutamente personale, al punto di essere dileggiato per questa mia avversione linguistica per “imperialismo+sistema”, che però ha scaturito commenti significativi e un’ottima postfazione. Mentre la titolare del blog si trastulla in faccine e in offese (parlare e scrivere a vanvera, sei OT, sei fuori dal thread, my god, e forse sono dentro al tunnel), hai messo un punto fermo su cui non posso controbattere. Grazie.

  25. Sono il curatore dell’antologia, mi sento di ringraziare pubblicamente Valerio Evangelisti per esporsi in prima persona nel presentare un lavoro di autori e autrici in massima parte esordienti o poco più, e a Loredana Lipperini per averne dato conto.
    Si potrebbero scomodare termini come coraggio, impegno, militanza per un lavoro del genere, così come per l’introduzione qui pubblicata, ma non è il caso. Si tratta, semplicemente, di raccontare i nostri tempi e le nostre vite, di cui lo scontro è una componente, più o meno cercata. C’è una definizione data in un racconto, di vite passate da “lungosopravviventi”. Avvengono momenti in cui le persone (e i personaggi qui raccontati) si trovano su una linea di confine, in cui ci si trova a scegliere, oppure a scegliere di non scegliere.
    Non è, il più delle volte, in una situazione strutturata e organizzata che ciò avviene, ma nello svolgersi di una quotidianità sempre più difficile. E che si sente il bisogno di raccontare, si avverte la necessità che qualcuno ce la racconti. È politica, è sociale e sì, sono d’accordo con Evangelisti sul fatto che nella letteratura italiana questa dimensione, individuale e ancor più collettiva, sia poco esplorata.
    Quando verranno a bussare alla tua porta, dicono i Clash in Guns of Brixton, come ti farai trovare, con le mani sulla testa, “or on the trigger of your gun”, o sul grilletto della tua pistola. Ora, parlando di letteratura, c’è bisogno di spiegare la metafora?
    Questo libro non è un manifesto politico (“la vera novità è che questa generazione trovi nella letteratura uno strumento di lotta efficace quanto gli altri”, nella letteratura, quanto buona non sta a noi giudicare, non, in questa veste, in un volantino o nel cordone di una manifestazione), non pretende di dare risposte, però pone delle domande forti e chiare e qualcosa la dice: esiste nell’Italia dei nascenti anni dieci un rumore di fondo, la necessità di conflittualità e dell’espressione di un rifiuto, a volte poco più che un “no” primordiale. Si può ignorarlo o tentare di ingabbiare in schemi precostituiti (semplificando, uso di termini quali sistema, imperialismo = brigatismo). Oppure si può provare ad ascoltarlo, e capire quanto è a noi, o di noi, che sta parlando.

  26. Giusto per glossare: sul Giornale di oggi, Giancarlo Perna riprende le parole sottoscritte in un appello del 1971 da 800 intellettuali sulla morte dell’anarchico Pinelli per accusare Eugenio Scalfari di essere «tra coloro che hanno indicato agli assassi­ni di Lotta Continua il bersa­glio di Luigi Calabresi». Sempre sullo stesso foglio di carta, il noto critico letterario MP (ma adesso anche editorialista politico, vedi mai le intelligenze multiple) ci fa sapere che «un bestseller come Gomorra» è «la semplificazione di una realtà fumettizzata», e fa parte di quella categoria di romanzi politici che garantiscono agli autori «un passaporto per l’oblio».
    Siamo in un’epoca in cui ogni parola pesa: sarebbe bene usarle con la cura del farmacista d’altri tempi, con molta attenzione agli ingredienti e alle dosi.

  27. Non credo sia in discussione, non credo lo fosse, il diritto alle proprie idiosincrasie verbali. Ognuno ha le sue, legittime. Le sue parole “antipatiche”. Io, ad esempio, quando ascolto la locuzione “lacci e lacciuoli” divento matto. Mi fa proprio schifo, non mi piace quel suono liquido, mi dà sui nervi.
    Ho il pieno di diritto di NON usare le parole che non mi piacciono.
    NON ho il diritto, secondo me, di accusare, e trarre inferenze automatiche, coloro che le usano.
    Ho il diritto, quando le ascolto, di chiedere maggiori spiegazioni, chiarimenti, specificazioni, circa l’uso che ne viene fatto. NON ho il diritto di smettere di ascoltare, come se già sapessi tutto ciò che verrà detto dopo, e continuare a interloquire.
    Posso anche smettere di ascoltare, ma non posso continuare a ribattere. Il dialogo finisce lì, scelta legittima.
    I riflessi condizionati esistono, eccome. Quando ascolto “lacci e lacciuoli”, in automatico penso che al 99% mi trovo di fronte a un ultras liberista. Scatta il riflesso. Eccolo là, il coglione.
    E se invece volesse parlarmi delle stringhe delle sue scarpe? O di altro che nemmeno immagino? Se voglio continuare a parlargli mi devo sforzare, continuare ad ascoltare, indurlo a chiarire, e poi controargomentare.
    Se invece si sale sul pero e da lì si sciorinano un po’ di sentenze in libertà, dal bolscevismo alle BR, dal biennio rosso a Francoforte, passando per i capetti di Lotta Continua e gli immancabili salotti, se arriva di rimando qualcosa che suona simile a un ” vai a cagare” non credo ci si possa sorprendere.
    Non so se anche questa cosa è ricattatoria, a me pare che riguardi le regole elementari del dialogare. Attività, è bene ricordarlo, non obbligatoria.
    L.

  28. @luca: io ho fatto proprio un mea culpa, perché solo i cretini non cambiano idea (frase ad effetto, in uso in ogni talk trash). Non di meno ho tante di quelle idiosincrasie verbali che mi spavento. A parte i due termini che non oso più pronunciare e che hanno fatto di me una bella “macchietta” (ah, la levità), ci sono superlativi e altro. “Splendido libro o splendida festa, assolutamente sì, assolutamente no” e via andare. Ma, sai , sentenziare in libertà non significa stare sul pero, necessariamente, ma un’attitudine al caos e all’affastellamento che possono irritare e non poco gli altri, ma non con premeditazione e malizia. Non sempre, in ogni caso.

  29. Forse esco un po’ dal tema ma vorrei dire una cosa a cui tengo molto. Qualche commento sopra ho letto: “No per carità, siamo arrivati alla apologia acritica di ogni terminologia perché si è figli (figlia) di operai. A quando la rivoluzione contro i salotti?”
    Ognuno di noi si porta dietro un retaggio culturale che ha contribuito a fare di noi donne e uomini adulte/i. Io guardo alle nuove generazioni che hanno modi diversi di riunirsi, di comunicare, di lottare rispetto a quando ero ragazzino io (be’ non molto tempo fa eh!!!!) ma vedo che manca il termine “proletario” e “proletariato”, manca non solo nel linguaggio ma anche nella quotidianità, nella cultura.
    Non esistono più figli di operai? All’apparenza sembrerebbe di no. C’è un rifiuto non solo nei confronti di una povertà che continua ad esistere a volte in modo drammatico ma anche contro il modello “proletario”. Non vogliamo più essere o far sapere di essere figli di una classe lavorativa che è stata e continua ad essere la spina dorsale di questo paese?
    Mi chiedo che uomo sarei, oggi, se non avessi avuto un padre operaio. A quattordici anni, davanti alla scelta della scuola superiore, ho scelto l’istituto alberghiero, eravamo tre figli e mio padre percepiva uno stipendio equiparabile alle 700 euro di oggi (1.300.000 lire), mia madre è sempre stata casalinga. Lo stesso anno in cui ho cominciato la scuola ho cominciato anche a lavorare e con quel lavoro mi sono pagato i libri, l’istruzione, l’università e grazie a quel lavoro ho potuto, nella vita, fare altro. Ma quanto è stato difficile? Anche il mondo della letteratura ha uno snobismo di fondo volgare e assurdo, forse oggi che il mercato regna su tutto le differenze sono meno visibili, ma in alcuni casi è ancora così. Mi ritrovo molto con chi esprime fastidio affermando che parole come “proletario” o “sistema” troppo spesso vengono utilizzate da salottieri di professione. Ma il “sistema” non è fatto solo dai salottieri, siamo noi con le nostre storie e il nostro retaggio culturale che abbiamo l’opportunità di “rivoluzionare” (altro termine considerato molto pericoloso) la quotidianità. E non solo la nostra.
    Allora, forse uscendo dal tema del post ma avvicinandomi, a mio parere, allo scopo del libro e di Lorusso, vi chiedo:
    Può la letterartura essere fonte o veicolo di rivoluzione?
    Marino

  30. @Luca. Io mi sono limitata solo a dichiarare la mia preferenza per la descrizione nuda e cruda dei fatti, che sono gravissimi, rispetto al loro impacchettamento ideologico.
    Ho anche denunciato l’uso sociale, ampiamente sociale, che di certe parole si sono fatte e che hanno finito per renderle vacue e fastidiose oltre che vane.
    Anche se mi pare che questa sensazione non sia solo mia, ma condivisa da molti, me la tengo come personale e la rivendico di nuovo, in quanto tale, come pertinente.
    Ho anche apprezzato il fatto che un libro come ‘Clash’ sia stato pubblicato, tanto che ho deciso di acquistarlo e di leggerlo.
    Il tuo inanellamento paralogico di quello che è stato detto su questo thread non mi pare sia un buon tributo al diaolgo. Ti faccio notare, a questo proposito, che spesso il tono dei tuoi interventi è più simile allo sfogo, alla predica e all’invettiva accorata piuttosto che all’interlocuzione pacata, pertinente, improntata alle regole del dialogo e al rispetto degli altri partecipanti che per te sembrano spesso esistere solo come persone da risvegliare, imbonire, strigliare.
    La tua predica ce l’hai fatta anche oggi dall’alto del tuo pero, su cui ti sei issato ormai in pianta stabile, grazie, ti prego di non spacciarla, però, per dialogo. Non lo è. L’invito che ci hai rivolto alla fine del tuo frullato di frasi esplicita in modo efficace la tua attitudine all’ascolto e il tuo rispetto degli altri.
    .
    @Girolamo. Certo, i fatti non solo sono gravi, ma pericolosi. Era ampiamente previsto che certi eterni fiancheggiatori dell’oggi, in qualsiasi modo questo si declini, sarebbero passati all’attacco massiccio, preannunciato, peraltro, dal loro condottiero a Seul.
    La macchina del fango, descritta ‘sciaguratamente’ in tv a sette milioni di persone (che ignominia!) da Saviano, si è messa in funzione a ciclo continuo, nemmeno dieci minuti per la pausa pranzo, nemmeno il tempo per andare in bagno.
    In qualche modo sono d’accordo con la tua frase: “Siamo in un’epoca in cui ogni parola pesa: sarebbe bene usarle con la cura del farmacista d’altri tempi, con molta attenzione agli ingredienti e alle dosi” un po’ perché dovrebbero farne tesoro tutti, un po’ perché conforta la mia preferenza per la descrizione nuda e cruda dei fatti.
    .
    @Marino. Sono assolutamente d’accordo con te. Tutti i mie interventi precedenti erano per dire che l’abuso di certi termini, sganciati totalmente dalla realtà cui si riferiscono, non fa altro che disinnescarli. E le parole servono per gli inneschi, non per i disinneschi. Da qui l’importanza vitale della letteratura, secondo me.

  31. “Anche il mondo della letteratura ha uno snobismo di fondo volgare e assurdo, forse oggi che il mercato regna su tutto le differenze sono meno visibili, ma in alcuni casi è ancora così.”
    Riprendo una frase di Perseo/Marino. Penso ci sia della verità in quanto afferma. Spesso, sia da parte dei lettori sia da parte delle case editrici, si ritiene che per poter scrivere si debba avere almeno una laurea, come se questo sia sinonimo di qualità. Il valore di uno scritto non dipende da queste etichette, perché una persona se ha volontà, in qualsiasi ambito può emergere e crescere e aver qualcosa da dare; ma è difficile da far comprendere in un mondo che si basa sulle apparenze e sui titoli che le persone possiedono e non valuta il valore reale dell’individuo.
    Naturalmente molti possono contestare queste parole, dato che sono di parte, dato che sono figlio di operai e non me ne vergogno, sempre convinto che il valore di una persona dipende da ciò che uno vuole essere e non dalle etichete che altri decidono di attaccargli.
    La letterartura come fonte o veicolo di rivoluzione? Più che rivoluzione, cambiamento, comprensione, resistenza e ribellione.

  32. quoto valeria – non solo nell’universale ma anche nelle articolazioni particolari
    Alcune osservazioni a random.
    – A me la discussione è nell’insieme piaciuta. Magari era OT – ma come si fa a fare una discussione nel T quando l’oggetto è sconosciuto ai lettori? L’unica strada per stare nel centro del tema era dire – o’ compro nullo compro. Invece è successo che si incagliasse su dei termini che hanno forti valenze politiche e sociali, e che rinviano all’esperienza di ognuno. La discussione sui termini maledetti – sistema, imperialismo – ha rivelato atteggiamenti diversi verso i medesimi. Per quel che mi riguarda, io avevo delle associazioni sugli stessi, associazione che gli stessi commenti in un certo modo mi hanno confermato.
    – Il problema non sono le parole. A essere precisi, il problema non c’è: c’era da parte di qualcuno, io per prima, la legittima perplessità e il legittimo desiderio rispetto a un orizzonte mentale e un modo di fare politica che non si condivide. Che si sente, relativamente distante, o relativamente profiquo o quello che vi pare. Mi sfugge ancora perchè scandalizzarsi, perchè reagire stizziti, perchè arrabbiarsi. Ognuno qui ci ha il suo vanto generazionale – io so figlia della borghesia (perdono! me cospargo il capo di cenere! 🙂 – ma di una borghesia che si è fatta un gran mazzo, e avendo visto i miei genitori piangere – letteralmente – perchè le loro strategie politiche avevano fallito, io che ancora ne condivido gli ideali e gli obbiettivi vado cercando un lessico diverso.
    – Dopo di che ci avevo anche delle perplessità strettamente letterarie, che toccano quell’altro infame tema della letterarietà – e insomma mi sa che quelle non se le caga nessuno. E vabbè. Io faccio molti auguri a Marino Perseo, di cui apprezzo il blog e questo mi invoglia più della recensione dell’Evangelisti – ma mi chiedo perchè Lorusso dice che non sta a noi giudicare quanto è buona la letteratura in questione. Ma insomma io na recensione che la leggo a fa?
    Ecco. Mi sfogai.

  33. @ Valeria
    la macchina del fango funziona perché milioni di italiani, compresi quelli che si lavano la coscienza guardando i programmi a target “progressista”, non sono capaci di ragionamenti difformi da quelli del capo. L’artificio di prendere una parola di A, dimostrare che l’ha già detta B, che come noto è un fetente, e concludere che A è fetente quanto B è talmente vecchio da essere stato inventato da sant’Agostino. Se funziona non è per la sua raffinatezza. Ecco perché dovremmo stare tutti molto attenti alle parole, e badare soprattutto alle travi che ci escono dalla bocca, e non alle pagliuzze sussurrate dai vicini: è un esercizio preventivo, come quello di prendere un cucchiaio di miele al mattino per combattere i batteri e il mal di gola.

  34. @Zauberei
    “ma mi chiedo perchè Lorusso dice che non sta a noi giudicare quanto è buona la letteratura in questione”
    Quel noi è riferito a noi che il libro l’abbiamo scritto e pubblicato, mi sembrava chiaro, evidentemente non lo era.

  35. @Girolamo.
    Ti risulta che io abbia fatto questo giochetto? Non mi pare.
    In genere, anche se guardo i programmi ‘target’ progressista (e non solo quelli, guardo pure lo soap), sto molto attenta a non lavarmici la coscienza, come sto molto attenta a esercitare le mie capacità di ragionare in modo autonomo, non conformandomi ai ragionamenti del capo. Qualsiasi capo.
    Riguardo all’uso attento delle parole, ti invito a rileggere il tuo commento e a vedere quanta insolenza c’è dentro.
    Se non sei in grado di farlo, non vale la pena di stare a parlare oltre di correttezza del linguaggio. Non con te, almeno.

  36. Non ho letto tutti i commenti prima del mio. Tuttavia vorrei dire che questa notizia postata da Loredana mi da speranza. Anche a me sembra di cogliere qualche piccolo segno di cambiamento. Non si può peggiorare sempre…

  37. @perseo Marino scrive: “Può la letteratura essere fonte o veicolo di rivoluzione?”.
    Direi proprio di no, perseo. Poi quale rivoluzione vuoi fare? Un’altra parola ambigua, tanto per gradire. Ormai sembrate un ricettacolo di rivoluzionari da tastiera che scomodano i propri genitori per gustose storie sul proletariato che fu e dello snobismo che è.

  38. Questo è l’equivoco Vincent: Marino parla di un proletariato che è, e ne parla – da quello che ho capito – dalla sua esperienza personale.
    Il fumo di quelli che ne parlarono un tempo si addensa su di lui. Ma non è giusto. Per questo sgombrare il campo dalle parole e fare posto ai fatti sarebbe un gran bene.

  39. Condivido le parole di Evangelisti. Come scrittore (son poca cosa, sia chiaro), come figlio di operai e come ex operaio di cose da dire ne avrei, ma dopo 99 commenti preferisco lasciare il passo.
    Dico però che sarebbe ora di tornare a parlare di capitale e di imperialismo.
    Termini questi quasi abiurati dallo stesso pci negli anni 70-80 che, travisando Gramsci, s’inventava il compromesso storico (far l’occhiolino alla dc non era certo la via italiana al socialismo).
    (Però io a Evangelisti, se legge, dico che il comunismo, quello vero, l’hanno ammazzato a Kronstadt).

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