TIRARE PER LA GIACCHETTA LINO ALDANI

I Precog sono stati immaginati da Philip K. Dick in Minority Report, in un anno, il 2054, che a lui appariva lontano e che oggi non lo è poi tanto, e sono persone con doti di precognizione amplificata, in grado dunque di sapere anticipatamente chi e quando commetterà un delitto. Dunque, i colpevoli che ancora tali non sono vengono arrestati senza ancora aver fatto nulla, solo per averne eventualmente avuto l’intenzione.
Ora, come detto ormai infinite volte, si tende a fare di ogni autore di letteratura fantastica un Precog, qualcuno che ha immaginato prima del tempo la situazione in cui ci si sarebbe venuti a trovare. Non funziona così. Riscriviamolo. Come dice in modo esemplare Margaret Atwood, la letteratura fantastica, inclusa quella variante della fantascienza che è la distopia, si fonda sui fatti storici del passato: dai comportamenti dell’umanità, ovvero, si immagina come questi possano reiterarsi.
Stephen King, come detto anche qui molte volte, non immaginava una pandemia di super-influenza quando, nel 1978, scrisse The Stand, o L’ombra dello scorpione che dir si voglia. In un’intervista a Playboy del 1983 racconta semmai del proprio – e molto comune- impulso distruttivo:
“Questa parte di me trova un grosso sfogo nei miei libri. Adoro bruciare le cose almeno sulla carta.  Uno dei miei momenti preferiti di tutto il mio lavoro è stato nel mezzo de L’ombra dello scorpione, quando Pattume prende tutti quei serbatoi della raffineria di petrolio e se li porta a spasso come bombe. Quando scrivo scene del genere, mi sento come Sansone mentre fa crollare il tempio sulla testa di tutti.
L’Ombra dello scorpione è stato particolarmente appagante, perché  ho avuto la possibilità di cancellare tutto il genere umano e, ecco, è stato divertente! seduto alla macchina da scrivere mi sentivo proprio come Alessandro quando ha alzato la spada sopra il nodo gordiano e ringhiando ha esclamato, “cazzo toglietevi; faccio come dico io!”. gran parte della compulsività, della sensazione che mi ha guidato mentre lavoravo a L’ombra dello scorpione proveniva da un eccitante brivido nell’immaginare un intero ordine sociale distrutto in un solo colpo”.
Ora, si può anche ripetere tutto questo mille volte, ma temo che soprattutto ai non frequentatori di questa letteratura non servirà. La disprezzano, molto spesso, e la usano quando fa loro comodo, almeno nella maggior parte dei casi. E sempre addossandole significati che non ha.
E’ accaduto domenica a proposito di Lino Aldani. Ovvero, per usare le parole di Oreste Del Buono, “uno scrittore di science fiction internazionale. Eppure, e questa è la dimostrazione più limpida della sua classe e della sua razza, è lo scrittore più italiano che io conosca”. Lino Aldani è stato chiamato in causa già in primavera, nella prima chiusura, per il racconto Trentasette centigradi. E’ stato scritto nel 1963. Racconta di una “esculapiocrazia”, dove il potere è dei medici e l’imperativo è quello di essere sani. Ma naturalmente è molto di più di questo. Ne parlarono a maggio Raffaele Alberto Ventura su Il Foglio e in novembre Alberto Mittone su Doppiozero.
Infine domenica interviene Nicola Porro su Il Giornale: e gli ammiccamenti alla situazione presente sono così tanti da spingere la figlia di Lino, Elettra, a scrivere questo su Facebook:
“Sottolineo però che in quel racconto, datato 1963, non si parla di alcuna pandemia responsabile della morte di migliaia di persone. I libri sono di tutti. Ed è giusto che sollevino domande e discussioni. Non lo è, invece, tirare per la giacchetta un autore, trascinandolo così lontano da casa sua”.
Gli scrittori non sono medium. Italo Svevo ne La coscienza di Zeno e Wells in The World Set Free hanno previsto l’invenzione della bomba atomica. Ma non per questo possiamo imputare loro una connivenza con chi l’ha realizzata. Aldous Huxley non ha incitato all’assunzione di Ritalin quando, ne Il Mondo Nuovo, descrive un’umanità resa felice e quieta da una droga che si chiama soma. E, se posso, sarebbe bello che si parlasse di questi autori e di queste autrici non solo quando sono utili a commentare l’attualità politica.

2 pensieri su “TIRARE PER LA GIACCHETTA LINO ALDANI

  1. Abbiamo sentito dire molte volte da svariati autori, che un libro, una volta pubblicato (“congedato da chi lo ha scritto,) inizia una vita propria, anzi, tante diverse vite quante sono quelle delle persone che lo leggeranno., ognuna con una sua diversa interpretazione. E’ il bello della lettura, e dei libri. Ora dopo mesi di lockdown, decreti, imposizioni sanitarie, e discutendo di obblighi vaccinali, citare questo libro mi sembra naturale appropriato e in fondo un doveroso riconoscimento all’autore e alle possibilità della scrittura in genere
    ciao,k

  2. Forse del libro, sì. Ma del suo autore o autrice… meno: altrimenti è come se quel libro non si fosse mai “congedato” da chi l’ha scritto.

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