TITIRO E LA FONDAZIONE MERLONI: SPOPOLARE I BUCOLICI

Torno dalle Marche. Marche assolate, bellissime come sempre, come sempre complicate, come sempre interpretate come una mentre sono molte. Dedicherò questa settimana a una riflessione su un articolo. E’ apparso sul Corriere Adriatico, e non so quanti, fuori Regione, lo abbiano letto. Lo firma Donato Iacobucci, docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni. Fondazione Merloni, nelle Marche e non solo, significa un rilevantissimo potere economico, politico, di influenza, tenetelo a mente. Cosa sostiene il professore? In poche parole: in alcune zone delle Marche la popolazione è diminuita ed è invecchiata. C’è stato il terremoto ed è naturale, più o meno: ma, dice il professore, qui bisogna rimboccarsi le maniche, mica vorremo rimanere attaccati ai vecchi modelli?
I vecchi modelli lui li chiama “silvo-pastorali”. Un termine poetico, virgiliano, sembra quasi di sentire i vecchi versi latini che abbiamo imparato a scuola: Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi. silvestrem tenui musam meditaris avena; nos patriae finis et dulcia linquimus arva; nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra, formosam resonare doces Amaryllida silvas.
Macché selva e selva, espone pratico il professore. Questo, e scusa tanto Titiro, è
“un modello insediativo non più adatto alle nuove condizioni di produzione del reddito e, soprattutto, alle nuove esigenze di accesso ai servizi pubblici e privati che sono considerati irrinunciabili nelle scelte localizzative di individui e famiglie. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono risolvere solo in parte il problema: si può fare una transazione bancaria da qualunque punto purché si disponga di una connessione ad internet ma non si possono garantire complesse operazioni chirurgiche in modo decentrato. Non è solo una questione di costi ma anche di efficacia: una scuola elementare con pochi alunni non ha solo un costo maggiore per alunno ma determina anche un peggiormente della qualità del processo educativo. Non è pensabile l’idea di adattare l’organizzazione sociale ed economica del ventunesimo secolo su un modello insediativo che si è strutturato e consolidato per un’economia e una società pre-industriali”.
In altre parole: non siete al passo con i tempi, cari bucolici dei borghi marchigiani. Siete costosi e improduttivi. Dunque, bisogna “spopolarvi”:
“gli insediamenti della popolazione vanno ripensati in funzione delle nuove esigenze economiche e sociali e, in particolare, dell’accesso ad una gamma diversifica di servizi, da quelli essenziali a quelli di svago, che è nelle attese di gran parte dei cittadini. Occorre una strategia che definirei di ‘spopolamento programmato’ di alcune aree a favore di altre nelle quali è possibile conseguire livelli di densità compatibili con le attuali esigenze sociali ed economiche”.
Lo sostiene, dice il professore, anche Romano Prodi “nel suo intervento conclusivo al convegno di Save The Apps tenutosi a Fabriano nel giugno 2019 e che riporto: «L’idea che si possano far vivere persone isolate come un tempo ci deve passare dalla mente… gli insediamenti vanno organizzati dove può vivere la gente, dove si può fare fronte alle esigenze delle famiglie, dove ci può essere una comunità abbastanza grande per andare a scuola e per divertirsi». E condivido anche la considerazione generale riguardo a tante proposte di nuovi modelli di sviluppo: «Operando in modo velleitario, anche se con grande passione, buttiamo via risorse». Le alternative ad uno “spopolamento programmato” rischiano di farci continuare nel circolo vizioso già sperimentato di spopolamento, declino economico e ulteriore spopolamento.”
Tutto quel che ho riportato è stato evidentemente scritto così come lo leggete. Sul punto c’è moltissimo da dire, e spero tanto che tutti gli studiosi che, come Vito Teti e molti altri, stanno parlando dell’esatto contrario di quanto sostenuto dal professore (che, ripeto, non è l’ultimo arrivato), si facciano vivi. Intanto vi riporto anche qualche risposta di un attivista e conoscitore del territorio che si firma Phil Connors, e che evidentemente condivido:
“I servizi nell’entroterra non ci sono più non perché da decenni vengono smantellati sistematicamente guardando solo al risparmio e non al territorio ma perché siamo ostaggio di questo cazzo di modello silvo-pastorale che ci attanaglia”.
“Chi lo dice che una scuola elementare con pochi alunni determina un peggioramento della qualità del processo educativo? Cosa intende Iacobucci per processo educativo?”
“mi limito a dire che questo considerare gli abitanti delle aree interne come pecore (ma come? Il modello silvo-pastorale non era obsoleto?) senza una volontà proprio e senza diritto di scelta che vanno “spostate” in maniera selettiva senza lasciargli alcun diritto di determinare la propria vita in un senso o nell’altro è veramente da pazzi. Ma d’altra parte è lo stesso approccio che a livello politico mainstream (e ahimè non solo) si ha verso tutte le categorie “a scatola chiusa” come i gggiovani, gli immigrati, etc. Poi, si può parlare di spopolamento programmato e di grandi centri abitati mentre in Canada ci sono 50 gradi ed il riscaldamento globale è qui e ora e non una teoria da ecologisti fanatici? Sarà il caso di ragionare su altro?”
C’è moltissimo da dire sul punto. Per ora, mi fermo qui. Ma spero che la discussione sia ampia, il più possibile. Anche perché, ripeto, stiamo parlando di un ente che detta la linea. Non solo nelle Marche, soprattutto nelle “obsolete” Marche.

4 pensieri su “TITIRO E LA FONDAZIONE MERLONI: SPOPOLARE I BUCOLICI

  1. Buongiorno a tutti e tutte.
    E si; c’è materiale sul quale discutere e dibattere.
    Eppure noi tutti, educati ormai alla norma anglosassone, parliamo
    ed esaltiamo il termine “to develop” e lo traduciamo e confondiamo
    con “sviluppo”.
    In inglese “to develop a country” significa “sfruttare economicamente
    un luogo”. Anche in maniera predatoria, ovviamente.
    Ciò che scrive Donato Iacobucci e reverberato da Romano Prodi è, nella
    mia opinione, esattamente questo.
    E sono assai coerenti.
    Pretendono il sopra menzionato “Sviluppo” articolato nelle sue
    varie fasi.
    Coloro i quali non sono d’accordo con la loro “visione”, vengono zittiti
    e anche censurati. Accusati di letargia, antiprogressismo ed egoismo.
    La forza nel dare loro consona risposta, non sarà soltanto nel contrapporre
    altri intellettuali, ma nel numero di persone che rifiuteranno tale sorta
    – ahimè – di pianificazione.
    Come nelle locali azioni di rifiuto per la TAV, per il TAP, l’acqua privatizzata
    e alla via così.
    E alla Fondazione Merloni … in pratica battezzano i loro esperti. Ma è
    la Confindustria che parla. Sono i Padroni.
    Alfredo

  2. Mentre ascoltiamo tutti i giorni in radio, l’invito dell’allenatore Mancini,a visitare le Marche, lèggiamo ciò che si vorrebbe modificare con uno “spopolamento programmato”
    Perciò suggerirei di aggiungere allo spot, un “sbrigatevi”! Perché tra poco le Marche potrebbero diventare altro.

  3. Primo consiglio di lettura: (ri)leggere le pagine di Zygmunt Bauman, “Modernità e olocausto”, sulla distribuzione razionale della popolazione come uno dei tratti peculiari cheal tempo stesso definiscono la modernità, e costituiscono una precondizione indispensabile alla pianificazione dell’Olocausto.

  4. Secondo consiglio di lettura: Il “Manifesto di Stivigliano”, che “In primo luogo propone un piano di governo che sposta l’asse del discorso sull’immigrazione dalle politiche di accoglienza e integrazione, giudicate fatalmente perdenti, a una strategia economica e sociale espansiva, basata sul recupero e (ri)valorizzazione, anche culturale, del territorio, a cominciare dalle vaste aree abbandonate sparse nelle regioni di questo nostro paese; e lo fa richiamandosi all’esperienza del New Deal roosveltiano”. Qui: http://www.euronomade.info/?p=11342

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