TORINO, BARI, IL MESSICO (DI CACUCCI)

Sto per lasciare le terre sabaude e andare qui, nei panni di giurata.

Sul quotidiano di oggi c’è una mia chiacchierata con Pino Cacucci su San Isidro Futbòl: ve la posto.

L’umore non è dei migliori, ma forse nell’ora e mezza di volo Torino-Bari migliorerà. Persistete nello stare bene.

Se Macondo fosse in Messico, e facesse ridere; se per i Celestini di Benni fosse stato previsto un lieto fine; se si cercasse un antidoto alle vicende assai reali e molto poco magiche dell’attuale Calciopoli: ebbene, tutto questo sarebbe  San Isidro Futbòl.  Ovvero, uno dei primi, brevi e spassosi romanzi del viaggiatore instancabile Pino Cacucci: “Era il 1991 e il libro  – racconta lo scrittore – nacque come gioco e come sfida: volevo raccontare una storia con lo stesso linguaggio con cui sarebbe stata narrata oralmente da un latinoamericano. Con un omaggio ai western sgangherati e tragicomici che avevo visto fino a quel momento”.

 Sgangherato è anche San Isidro, paese al confine fra gli stati di Oaxaca, Puebla e Veracruz: così piccolo – ventidue case di legno e lamiera- che non può neppure avere un alcalde, anche se nei fatti a ricoprire il ruolo è lo strepitoso, sanguigno e scatarrante Don Cayetano Altamirano. In compenso, come spesso avviene nei paesi sgangherati, possiede una squadra di calcio, o equipo de futbòl, di cui è stella indiscussa Quintino Polvora. Gioverà sapere che le regole di San Isidro non sarebbero apprezzate dalla Fifa: ci si sposta in venti davanti alla porta e ci si fa largo in furibonde mischie con contusi e feriti. Il concetto di fuorigioco è sconosciuto. “Il calcio degli umili – dice Cacucci – non va considerato tanto come un mezzo di riscatto, quanto come il tramite per sentirsi comunità. In vent’anni di vagabondaggio per il Centro America ho visto tante squadrette di paese che hanno valore positivo da qualunque punto di vista: in quei luoghi,  il calcio non il mostro che è diventato per noi”.

 Nel romanzo, il mostro è un altro. Perché l’abile Quintino, alla vigilia di una fondamentale partita, avvista una gamba che sporge da un’amaca appesa ad un albero di jacaranda: la gamba appartiene ad Antonia, la bella figlia del suo allenatore. Ed è sufficiente a far trascorrere una notte bianca al calciatore. Tutto sembra perduto (sei a zero, per l’esattezza), quando Quintino, scivolato in terra con ignominia, finisce col naso proprio sul misterioso concime con cui è stato delimitato il campo di gioco: concime ceduto sotto ricatto dal geloso Alvaro Cristòbal. Un’annusata, e finisce quattordici a sette per la squadra di San Isidro. Ma cominciano i guai. Perché il concime, si va a scoprire, è caduto letteralmente dal cielo, accuratamente chiuso in un cospicuo numero di sacchi, insieme ad un piccolo aereo dove i roditori hanno fatto il nido, comprensibilmente euforici: ovvio che si tratti di cocaina, e che l’ingenuo Quintino, scoperto il segreto, cominci candidamente a farla assaggiare ai rancheros suoi colleghi e al figlio del padrone. Dunque, San Isidro diventa un luogo famoso: per federali, narcotrafficanti e consumatori arroganti.

 E la storia è vera. Racconta Cacucci: “Negli anni Ottanta frequentavo Puerto Escondido. E un giorno arriva un tizio raccontando una vicenda incredibile: aveva scovato sulla Sierra, infatti, una comunità di indigeni che usavano una polvere bianca come fertilizzante. Dove l’avete trovata?, chiese. E loro: ce n’è un aereo pieno, un vero dono del cielo che ci ha protetti. Partendo da quell’episodio ho inventato la storia della squadra di calcio. Il buffo è che oggi, a Puerto Escondido, pensano che anche la partita sia vera: il farmacista del paese ha pubblicato una storia locale dove quell’episodio viene regolarmente citato. Insomma, l’invenzione è diventata cronaca: e la cronaca reale continua a registrare casi di piccoli aerei carichi di droga. L’ultimo è caduto a dicembre in Chiapas: ed è finita male per i quattro narcotrafficanti che tentavano di recuperare il carico sequestrando in malo modo il capovillaggio. Sono stati uccisi”.

  Nel romanzo, invece, il variegato gruppo dei villains deve vedersela con Padre Pedro, missionario basco e iroso, svelto di mano e avemarie, un metro e novantatre di altezza, stivali con tacco di otto centimetri e suola ricurva. Ruolo perfetto per Diego Abatantuono, che lo interpretò nel film di Alessandro Cappelletti, Viva San Isidro. “Un film nato da un altro film. Il produttore, Gabriele Salvatores e Abatantuono lessero il romanzo nel viaggio di andata verso il Messico, per i sopralluoghi di Puerto Escondido. Lo rilessero al ritorno e Tozzi manifestò la voglia di fare un altro film di ambientazione messicana. Così fu”.

 Il romanzo, per inciso, finisce con una jeep per il missionario, un matrimonio e una strada asfaltata. Lo scrittore, nel frattempo, ha compiuto – letteralmente – una lunga strada: “Ma oggi sento San Isidro Futbòl molto più mio di quando l’ho pubblicato: non ho più scritto cose simili in quindici libri, mentre ora mi viene la tentazione di tornare a raccontare una storia con quei toni e quei personaggi. Fin qui l’avevo sempre considerato un divertimento andato bene, ma niente di più. Ora ne sono fiero: perché se all’epoca pensavo semplicemente di scherzare con la storia, con il linguaggio e con me stesso, ora capisco di essere stato più veritiero di quel che credevo. Il Messico non è quello: ma è anche quello. E poi è il mio romanzo che ha fatto registrare più apprezzamenti: per esempio, ha fatto letteralmente innamorare Sepùlveda, al punto di trasformarlo in mio agente internazionale. Appena può, fa pubblicare San Isidro ovunque”.

4 pensieri su “TORINO, BARI, IL MESSICO (DI CACUCCI)

  1. Per cortesia, Loredana, ti chiedo, amichevolemente, di smetterla di chiamare sabaude queste terre che son piemontesi e che con i sabaudi o con i Savoia hanno a che fare ben poco, per di più i Savoia presero nascita in Savoia che è al di là delle Alpi.
    Se vieni a Torino, vieni a Torino, o a Alba o a Asti o a Ivrea o a Pinerolo o a Susa, vieni in Piemonte, non in Sabaudia!!!!!
    Per di più ti dico, che la cultura piemonentese è variegatissima e il dialetto di uno di Cuorgnè non è comrensibile ad un abitante di Mombarcaro!!!
    Mario Bianco

  2. Già il caldo incide, specie, se ‘sto “sabaude” viene scritto non una volta, ma tutte le volte.
    Così tanto, per metterla in pari, tutte le volte che verrò a Roma scriverò: “Ora che mi trovo in questi lidi vaticani….. o pontifici…”
    MarioB.

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