TRADIMENTI E SARCASMI: DA FLANAGAN A SANDRA NEWMAN

Complice Messa di mezzanotte di Mike Flanagan (sì, sarà difficile uscire dall’emozione di quella serie) penso ai tradimenti. Io ho il romanzo di Paul Wilson, che grazie a Paolo De Crescenzo uscì per Gargoyle, con una postfazione dell’altrettanto amato Alan D. Altieri.
Beh, se posso dirlo senza mezzi termini, il romanzo non è un granché. E non perché abbondi in splatter, figurarsi. E’ che non ha un briciolo della profondità e dell’introspezione, e dei dubbi esistenziali e spirituali che sono la ragione stessa della serie. Poi, certo, Flanagan ha pescato da un’immaginario amplissimo. L’esorcista di William Peter Blatty, oggi molto e ingiustamente sottovalutato, era un romanzo sulla fede e sulla crisi della fede. Tanto che ci tornerà in un altro romanzo del 2013, ancor più sottovalutato, che è Redenzione. La serie, inoltre, si avvicina alla Tempesta del secolo di Stephen King per disegnare cosa avviene nelle comunità separate che vivono in un’isola e vivono (malino) di pesca, quando vengono insidiate da Qualcuno Che Viene da Fuori. Addirittura evoca il naufragio del Titanic, con quell’inno, “Nearer, My God, to Thee”, che viene intonato prima della catastrofe di cui si tace e che a quanto pare venne suonato dalla mitica orchestrina del transatlantico mentre si inabissava (così nel famoso film di James Cameron, comunque).
Ma il romanzo di Wilson è tutt’altro. Nasce dall’idea che dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo i vampiri scorrazzino in tutto il mondo, finché, in quel del New Jersey, si oppongono a loro un prete, un rabbino, una suora molto tosta e un’altrettanto tosta signorina. Stereotipati come pochi. Mancanti di anima letteraria come pochi. Brutto, insomma, anche se, se non ricordo male (insomma, era pur sempre il 2004) Wilson si faceva beffe dei vampiri languidi di Anne Rice, che sono indubbiamente contestabili, ma di certo non erano privi di complessità narrativa.
Scrivo questo, lieta del tradimento di Flanagan, anche perché da ultimo mi capita di rispondere spesso alla domanda “come mai ti interessi di cose esoteriche?”. Ecco, non le definirei così. O dovrei rispondere come Shirley Jackson in “La vera me”, con sarcasmo che cela un po’ di insofferenza:
“Sono stanca di scrivere graziose storielle autobiografiche in cui mi fingo una linda casalinga con un grembiule a fiori, che rimescola appetitose cibarie sulla stufa a legna.
Vivo in una vecchia casa umida con un fantasma che cammina rumorosamente in quella stanza in soffitta dove noi non siamo mai entrati (credo che sia murata), e la prima cosa che ho fatto quando ci siamo trasferiti qui è stato disegnare simboli magici a carboncino sulle soglie e sui davanzali delle finestre per tenere fuori i demoni, e in generale ha funzionato.
In cantina crescono i funghi, e le mensole di marmo dei caminetti hanno l’inspiegabile abitudine di cadere in testa ai figli dei vicini.
Nelle notti di plenilunio mi si può trovare in giardino a raccogliere la mandragora, che coltiviamo in piccole quantità insieme al rabarbaro e alle more. Di solito non vado pazza per quelle ricette con le erbe o le ali di pipistrello, perché non si può mai essere certi della loro riuscita; mi affido quasi completamente alla magia delle immagini e dei numeri. La mia esperienza più interessante è stata con una ragazza che mi ha offesa e in seguito è caduta nella tromba dell’ascensore e si è rotta tutte le ossa che aveva in corpo, tranne uno di cui ignoravo l’esistenza”.
Amare la letteratura fantastica non comporta – non necessariamente almeno – evocare demoni. Perché il campo è più vasto di quanto non si creda. Approfitto, a mo’ di esempio, per evocare un  libro che mi ha dato gioia, speranza e persino coraggio: “I cieli” di Sandra Newman. Racconta una doppia esistenza, senza che si capisca davvero qual è quella onirica e quale quella reale, perché è il reale stesso a incrinarsi davanti al lettore. Una stessa donna, Kate, vive e ama nel 2000 e, mentre dorme, e sempre più profondamente sogna, nell’Inghilterra di William Shakespeare, lambita dalla peste. La stessa possibilità di Shakespeare di diventare grande fra i grandi si deve all’abilità che condivide con Kate: sognare, e nel sogno mutare il mondo in cui vive. In peggio, forse. Dipende dalla scelta, dipende da cosa si desidera, se la fama immortale che fu anche di Alessandro il Grande o la salvezza degli umani. E’ un romanzo fantastico? Sì, certamente, ma insieme è un romanzo realistico: veri sono gli aerei che si infilano nelle torri gemelle, veri gli ospedali psichiatrici dove Kate finisce, vera la peste di Londra, vero l’amore e vero il dolore. E’ un romanzo che gioca con il tempo, come molti dei romanzi fantastici che ci accompagnano da ultimo (“Storie della tua vita” di Ted Chiang, ma anche il più lontano “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” di Audrey Niffenegger), e che hanno per protagoniste donne insieme indifese e coraggiosissime, ma mai eroiche nel senso in cui siamo abituati a usare questa parola. Pensate al sogno di Calderón de la Barca e immergetevi nei sogni di Kate, che è Emilia quando incontra Shakespeare e che a lui, e al suo compagno dei nostri giorni, dispensa amore. E fatevi una risata se qualcuno, come Edmund Wilson (“re del bigottismo realista”, lo definiva Ursula K. Le Guin) strilla, come lui fece stroncando Tolkien, “Oh, quei terribili orchi!”, ridetegli in faccia, e leggete “I cieli”. Dove non ci sono orchi, ma la straordinaria potenza dell’immaginare.

2 pensieri su “TRADIMENTI E SARCASMI: DA FLANAGAN A SANDRA NEWMAN

  1. Confesso, ho guardato il primo episodio di MM distrattamente, stoppando dopo mezz’ora, tirata in qua e là da mille pensieri, poi l’ho riconosciuto: l’ufficio dello sceriffo Hassan, uguale a quello di Little Tall Island, e mi sono detta ci siamo, questo è interessante. A partire dal personaggio di Riley, un “perdente” che sarebbe stato a suo agio nel famoso club, tutti gli abitanti di Crockett Island sono alla ricerca di una seconda occasione, e un po’ di speranza. L’aspetto che ho apprezzato di più della serie (vista due volte, consigliata a tutti) è stato il respiro concesso ai personaggi per aprirsi e farci entrare nelle loro vite. Sì, certo, l’elemento sovrannaturale, l’orrore trattenuto e nascosto fino all’ultimo (è una serie horror dopotutto) ma è una goccia nel mare di solitudine in cui annegano tutti, gli sbandati come Erin aggrappati a una promessa di futuro che si deve ancora materializzare, giovani uomini senza uno scopo, una comunità di pescatori impoveriti, e soprattutto lui, Monsignor, ambiguo e perso, manipolato e manipolatore. Sarebbe stata una serie così bella senza tutta quella oscurità, se il mistero si fosse risolto con una provetta e un laboratorio? Se, insomma, invece di Flanagan fosse stato diretto da un Fincher, magari con uno psichiatra al posto di un prete? Chissà, magari avrebbe convinto più spettatori respinti dal pregiudizio nei confronti del “genere”, ma ciò che è più chiaro non è sempre più luminoso.

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