TRE ANNI DOPO: QUELLO CHE NON ABBIAMO IMPARATO

“Il primo sintomo di anormalità di quel giorno di tarda primavera del 1985 si verificò due minuti prima del levar del sole. Per capire quanto grave fosse, è necessario conoscere due fatti di cui era al corrente Mike Hanlon, entrambi riguardanti la Chiesa Battista della Grazia, eretta nel 1897 all’angolo fra la Witcham e la Jackson Street. La chiesa era sormontata da una slanciata guglia bianca che era l’apoteosi di tutti i campanili protestanti del New England. Sulle quattro facce della base della guglia spiccavano i quadranti di un orologio giunto dalla Svizzera nell’anno 1898. L’unico altro orologio come quello si trovava a quaranta miglia da Derry, nella piazza principale di Haven Village.
Dal giorno in cui era stato installato fino al 31 maggio 1985, quell’orologio aveva fedelmente battuto lo scoccar dell’ora e di ogni mezz’ora, con un’unica importante eccezione. Il giorno dell’esplosione alle Ferriere Kitchener, non aveva battuto il mezzodì. Si era pensato che il reverendo Jollyn avesse disinserito la soneria in segno di lutto per la morte di tanti bambini, né il reverendo aveva mai smentito, anche se non era vero. L’orologio aveva semplicemente mancato di suonare.
Né suonò le cinque, il mattino del 31 maggio 1985.
In quel momento, in tutta Derry, gli anziani spalancarono gli occhi e si alzarono a sedere, presi da un turbamento che nessuno riuscì a spiegarsi. Si presero medicine, si inserirono dentiere, si accesero pipe e sigarette.
I vecchi vegliarono.”
E’ It di Stephen King, è l’alba della distruzione di Derry, un altro 31 maggio. Derry, come sapremo da 22.11.63 molto più avanti, non muore del tutto: ne restano gli umori malvagi, l’aura scura, il destino velenoso di chi ha visto muoversi e agire il Male sotto di sé, nelle fogne e nelle strade buie, ed è rimasto indifferente.
Non c’è molto di diverso rispetto alla situazione in cui viviamo.
Un ulteriore 31 maggio di tre anni fa credevamo di esserci lasciati alle spalle qualcosa di imprevisto e terribile, qualcosa che ci ha segnato in modo che non sappiamo ancora dire. E che ci avrebbe segnato ancora, con quella profondissima, amara divisione sui vaccini e sul greenpass che ha creato (ed è stata mal gestita, mille volte sì) una spaccatura che non si sana,e  di cui ancora dobbiamo vedere le conseguenze.
E poi? E noi?
Nel 1964 Italo Calvino scrive una famosissima, e citatissima, prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno. Scrive della smania di raccontare che coinvolge una generazione intera, fra l’altro, e scrive anche:
“Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell’anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica”.
Ora, siamo in un momento decisamente diverso, e non diversamente, credo, traumatico. Non possediamo l’euforia, amara, degli scampati perché non abbiamo ancora capito cosa ci sia accaduto, in nessun senso. Non raccontiamo, e non sono sicura che si desideri davvero che qualcuno metta in forma narrativa il nostro trauma: mi sembra, invece, che non vogliamo, e non abbiamo voluto altro,  che silenzio.
Credo che qualunque sia il nostro desiderio, dovremmo cominciare a cercarlo in noi: perché l’antico e così facile gioco di esigere qualcosa dagli altri, e volerlo in conformità a quel che riteniamo indispensabile, non vale più. Eppure non lo capiamo.
Ci piacerebbe, credo, che un ordine diverso sistemasse le nostre vite e le nostre scritture, qualcosa di mai visto, qualcosa che ci lenisca le ferite. Non funziona mai così: funziona tanto più lentamente quanto improvviso è stato il colpo. Molto ho imparato, ma non basta. So che occorre procedere piano, e senza ferocia, senza acrimonia. Con il massimo dell’amore possibile, per gli altri, e anche per se stessi.
Ma ancora non avviene. E quei racconti, quando ci sono, parlano di sè. Non c’è nessun sentiero, non ancora, se non quello che ci vede procedere soli.
Ci sarà, prima o poi.

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