TRE. SPOPOLARE I BUCOLICI. LA RETORICA DEL "LO VOGLIONO GLI ABITANTI".

Facciamoci una domanda: quanto interesse destano davvero le popolazioni degli Appennini? Cosa si desidera per loro e cosa desiderano loro? Sul secondo punto occorre andare cauti, e non per mancanza di fiducia. Chi scrive ha dedicato un libro, ormai sette anni fa, alle Marche e alla superstrada (era Questo trenino a molla che si chiama il cuore, per la cronaca). Mentre scrivevo, nell’estate calda del 2014, accoglievo quelle domande, che venivano da lontano, venivano dagli anni Zero, quando il progetto Quadrilatero era ancora sulla carta. Mi sembrava una pazzia, ai tempi, sventrare montagne, compromettere il panorama, tagliare fuori i paesi che non avevano uno svincolo dedicato, per arrivare venti minuti prima al mare, a Civitanova Marche. Allora come oggi, la critica che mi si fa è identica: che vuoi tu che non sei che una ritornante, una proprietaria di seconda casa, una che non deve permettersi di aprir bocca? Me lo sono sentito dire recentemente  da alcuni abitanti della mia Vallescura (quella inventata ha molti punti in comune col paese reale) perché criticavo la mancata trasparenza sui dati sanitari che la riguardavano. Me lo sono sentito dire qualche anno fa quando, insieme ad altri, criticavo il Deltaplano di Castelluccio di Norcia: in quel caso mi promisero anche i fucili, perché mi ero permessa di intervenire su cose loro.
Che sono cose di tutti, intanto. E poi, come si vedrà, le promesse alla popolazione stanziale sono state sempre e sempre e sempre disattese.
A Colfiorito come a Serravalle erano contenti della superstrada, perché pensavano che ci sarebbe stato lavoro. E in effetti hanno lavorato e venduto pane, ciauscolo, gelati e caffè e sigarette agli operai della Strabag (o meglio assunti dalle ditte appaltate dalla Strabag) che lavoravano nei cantieri India e Whisky e dormivano nei casotti prefabbricati che a Serravalle sono stati tirati su nella spianata di cemento dove c’erano i container del terremoto del 1997. Ma già a dicembre 2013 gli operai se ne sono andati, i prefabbricati sono stati smontati, è rimasta la piazzola di cemento nuda dove prima del terremoto c’erano gli orti da cui si andava a rubacchiare l’alloro o il basilico. Andati da un giorno all’altro, gli operai, dopo che le gallerie nelle montagne erano state scavate e allora un geometra basso, così ci raccontarono, ha puntato il dito e ha detto tu, e tu, e tu, via. Via sono andati, piangendo come bambini, uomini di cinquant’anni e ragazzi di venti, e la statale era già deserta allora, e a superstrada aperta era, è, un luogo di fantasmi.
Ma in cambio quei famtasmi dovevano avere un ritorno, una promessa da incassare:  i PAV, i Piani di Area Vasta, quelli che hanno convinto i comuni a cofinanziare la Quadrilatero. I PAV, nelle intenzioni, trasformeranno gli assi viari in “flussi di ricavi attraverso l’insediamento di nuove aree produttive, denominate Aree Leader e Aree di implementazione, adiacenti alle medesime infrastrutture stradali”. In poche parole, pompe di benzina, autogrill, lavoro. Non è successo niente di tutto questo.
Un percorso molto simile è quello di Castelluccio di Norcia. All’epoca ne parlai con Laura Colini, ricercatrice accademica ed esperta della Commissione Europea politiche urbane e regionali. Segue la vicenda di Castelluccio con angoscia. Ci riflette, scrive un intervento importantissimo dove spiega la differenza tra condivisione e manipolazione:
“Nicola Alemanno, il sindaco di Norcia, Catiuscia Marini presidente della Regione Umbria e altri difendono il Deltaplano come un progetto condiviso. Un elemento cardine della condivisione è la costante partecipazione, elaborazione e discussione a più voci di un problema dalla sua definizione alla/e soluzione/i. Questo però non basta, perché la partecipazione prevede un ripensamento dei poteri decisionali, altrimenti è manipolazione.
Nel caso del Deltaplano la partecipazione non sembra essere un processo virtuoso. Il Deltaplano è un pacchetto già confezionato con tanto di firma di “archistar” (spettacolarmente definito tale dai giornali locali) da rendere luccicante la soluzione del problema definito da poteri decisionali che hanno già preso accordi tra attori forti. A questo punto basta il consenso dei cittadini, il loro convincimento al sostegno del progetto e tutto può andare avanti. Gli enti pubblici sembrano essere lentissimi nelle opere di ristrutturazione degli immobili: su 100 000 case disastrate nel centro Italia solo 18 sono ristrutturate. Gli abitanti sono disperati, non ascoltati, passivamente arresi e dipendenti dalle decisioni (e inefficienze) del settore pubblico Quando si piange, qualsiasi attenzione sembra un regalo inatteso. Così il progetto del Deltaplano arriva come una torta bella e pronta su cui tutti, specie chi l’ha preparata, potrebbero mangiare, senza dichiarare chi festeggia, chi mangia e chi ne smaltisce i rifiuti”.
Gli abitanti di Castelluccio, quelli effettivi, hanno ricevuto i container quasi ultimi nella zona terremotata, perché, tanto, avevano il Deltaplano.
Cosa intendo dire con queste storie? Che quando si esibisce il consenso della popolazione bisogna andarci piano, perché dipende da come è stato ottenuto quel consenso, e promettendo cosa. Perché oggi ci sarà senz’altro il tripudio per i noccioleti e domani, chissà, per nuove fabbriche che dovrebbero garantire progresso e benessere. Ma bisogna guardare lontano, bisognerebbe almeno, per trovare le benedette alternative. Lo disse, assai poco ascoltato, e molto tempo fa, Alex Langer.
“Una logica di pura amministrazione burocratica o autoritaria o repressiva delle risorse e del nostro equilibrio ecologico e sociale del pianeta è una logica che difficilmente può convincere per motivare. Da questo punto di vista credo che occorra una forte spinta etica in positivo, non solo la paura di non farcela a sopravvivere, e anche una dimensione percepibile, una dimensione vivibile, entro la quale l’equilibrio ecologico ha un senso che un po’ tutti possono condividere e verificare. Questo penso che abbia anche delle forti contro-indicazioni. Molto spesso la comunità locale può essere quella che dice “purché vengano i turisti, noi facciamo anche 7 sciovie e se c’è bisogno costruiamo anche un nuovo monte, perché il vecchio non basta più per la quantità di turisti che vorremmo ospitare”. Non è che automaticamente la comunità locale, l’autonomia locale sia risolutiva, ma se non si trova un ambito entro il quale (come in una qualsiasi comunità percepibile reale) le autolimitazioni hanno un senso, cioè non sono soltanto la paura della multa o della pena o della repressione, il discorso non regge. Se non si trova una dimensione in cui la ragione ecologica possa coniugarsi con la democrazia, allora probabilmente le virtù di cui parlavo prima rischiano di essere un nobile e minoritario esercizio di ascesi ecologica, un nobile esercizio di solidarietà, ma un esercizio probabilmente con in grado di invertire la tendenza, o per lo meno di rallentare o arrestare il degrado, cosa che d’altra parte vorremmo tentare di fare”.
(da “Il margine”, intervento tenuto a Brentonico (Trento), nell’ambito del convegno “Il politico e le virtù” organizzato da La Rosa Bianca dal 27 al 30 agosto 1987)

Un pensiero su “TRE. SPOPOLARE I BUCOLICI. LA RETORICA DEL "LO VOGLIONO GLI ABITANTI".

  1. Brava, spiegato con chiarezza cos è il
    Consenso e il decisionismo di un sistema politico patriarcalclientelare che non ha ne partecipazione ne coscienza del baratro in cui ci sta portando

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