TRECENTOSESSANTA

Ieri, da Belgioioso, dove forse si celebra l’ultima edizione del festival dei piccoli editori, arrivavano parole molto nette, molto dure e molto vere sulla realtà del ciclo vitale di un libro. Che, inutile girarci intorno, è brevissima.
Diceva per esempio Agnese Manni: «Lì (in libreria) i volumi hanno vita breve, vanno subito fuori catalogo e bisogna ordinarli. Chi ama il libro vuole il contatto fisico, sfogliare, parlare. Ma questo è un momento difficile, dove le grandi case si mangiano le piccole, anche perché hanno librerie, tv, catene di distribuzione, e una legge schifosa che permette sconti tutti l´anno».
Aggiungeva Massimo Scrignoli, Book Editore,: «C´è flessione di pubblico, disattenzione generale, il piccolo editore che propone percorsi alternativi era una nicchia, ora è un angolo della nicchia, in poco tempo la sproporzione è cresciuta, in Italia ogni giorno escono 200 titoli, ma a leggere sono pochi. Lo scambio del libro attraverso la posta non funziona perché ad aprile hanno tolto le tariffe ridotte editoriali, il libraio non ordina perché non ha più guadagno».
Paolo Pisanti, presidente dell’ALI, è stato esplicito: se un libro non decolla in due settimane, è praticamente fuori dai giochi.
Due settimane.
Quindici giorni.
Trecentosessanta ore.
Spiega molte cose, no?

36 pensieri su “TRECENTOSESSANTA

  1. Non sono addentro alle logiche dell’editoria e quindi mi devo fidare di quello che dicono. Difatti sono convinto che l’analisi sia in linea di massima lucida e corrispondente al vero. L’unica cosa è questa legge delle 360 ore, su cui ho qualche dubbio. Diciamo che spiega il divario tra la grande casa editrice che ha il potere di promuovere un titolo in brevissimo tempo e in maniera massiccia, e la piccola che può solo mettere il volume a galleggiare come una zattera nell’oceano del mercato. Però la mia sensazione è che sia anche un’estremizzazione e che valga solo in linea statistica. Insomma, voglio illudermi che ci sia ancora la possibilità, per un libro, di “uscire alla distanza”.

  2. Cara Loredana, le scrivo in qualità di “lettrice forte” che legge in media 5 libri a settimana. Sto seguendo in questi giorni le notizie sulla battaglia dei piccoli editori contro la nuova legge sull’editoria e le rimostranze sugli sconti che le grandi case editrici e la grande distribuzione possono permettersi, mentre loro no. In teoria sono solidale. Ma in pratica faccio fatica a sostenere le loro tesi. Perché i libri costano, e tanto. Io leggo molti saggi e testi di filosofia. Il costo “medio” di uno di questi libri è 15 euro (quando non costa di più). 15 euro forse non sono tanti, ma, senza stare a farmi in conti in tasca, le assicuro che non sempre me li posso permettere. La maggior parte dei libri infatti li prendo in biblioteca, e quei pochi libri l’anno che riesco ad acquistare li acquisto proprio grazie ai vituperati sconti della grande distribuzione (e nella voce sconti inserisco anche le raccolte punti etc). Posso capire le ragioni della piccola media editoria. Ma in tutto questo gran dibattere sulla nuova legge c’è qualcosa, o meglio qualcuno, che viene dimenticato: il lettore / acquirente. Che DEVE comprare se no l’industria va male eccetera, ma non ha alcuna voce in capitolo. Se la grande distribuzione fa tanti sconti è forse perché la gente non compra. Ma forse la gente non compra non perché non legge (certo, anche questo) ma perché i prezzi sono troppo alti. All’epoca della lira, un tascabile costava in media 8.000/10.000 lire, oggi lo stesso tascabile costa 8/13 euro se non di più. Il doppio. E il mio stipendio non è aumentato in proporzione. E’ un discorso venale forse, ma che viene da una persona che i libri li considera non un semplice svago, ma una necessità, una parte imprescindibile della propria vita. E che si rammarica davvero di non poterne acquistare di più.

  3. spunti interessanti. Dal mio personalissimo (ma credo diffuso) punto di vista di lettore disincantato sui “fenomeni/meteora”, il fenomeno più grave non è la sproporzione delle possibilità editoriali nella pubblicizzazione del libro ma proprio quello evidenziato da Manni, cioè il suo mancato arrivo in libreria, quindi l’impossibilità materiale di imbattersi casualmente in un prodotto ignoto ma stuzzicante.
    Non parliamo del comparto poesia (visto che son stati citati editori che se ne occupano): solo questa settimana in due librerie (le uniche del paese ove mi trovo ora) mi hanno risposto “poesia non ne teniamo” col naso arricciato come se avessi chiesto Penthouse. E cercavo l’Elefante della Rosselli (Garzanti), mica l’emergente di turno per vattelapesca editore!
    A proposito “Massimo Spagnoli di Book” è in realtà – credo – Massimo Scrignòli: scusa la pedanteria ma è opportuna trattandosi, oltre che di editore valido, di ottimo poeta.
    RRC

  4. Poesia, basta nominarla e vedi l’interlocutore che ti guarda fra l’annoiato e lo stupito ( t e non “d”!)
    A volte leggi nei loro sguardi la paura che tu inizi a “declamare” qualche verso!
    Sara

  5. Sottoscrivo le parole di Silvia.
    Coglie in pieno un aspetto banalissimo e quasi sempre non commentato, non visto come fosse trasparente, però assolutamente centrale:
    i libri costano troppo.
    Le biblioteche servono a poco sotto questo aspetto: se i televisori avessero abitato esclusivamente le biblioteche e non gli appartamenti adesso non sapremmo proprio nulla di Pippo Baudo (per dire).
    Ci si augura un popolo di lettori? Bisogna rendere la lettura accessibile.

  6. Il problema è che il libro un tempo era letteratura, ora invece è consumismo, è considerato come mero oggetto di guadagno. Come ogni cosa di questo sistema, il suo essere è stato svilito.
    Quanto dice Silvia è una realtà e mi trovo sulla sua lunghezza d’onda. Il problema dei prezzi, più che dell’editoria, penso sia da far risalire all’avvento dell’euro e della conversione avvenuto. Può essere una teoria semplicistica, ma è una cosa che c’è stata e i prezzi sono raddoppiati, non si sono adeguati. Non credo che l’inflazione sia galoppata tanto in dieci anni sia arrivata a far lievitare i prezzi al doppio. Forse mi sbaglio, ma vedo un voler guadagnare in maniera superiore a quella che dovrebbe essere.

  7. Il presidente dell’Associazione Italiana Editori Polillo, il presidente dell’Associazione Italiana Librai Pisanti, i Mulini a Vento e il libraio Romano Montroni sono intervenuti nei giorni scorsi su Affaritaliani.it dialogando a distanza sul discusso (e complesso) tema della legge sul prezzo del libro.
    Qui i link per chi volesse approfondire:
    http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/legge_sul_prezzo_libro_intervista_a_pisanti_ali240910.html
    http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/romano_montroni270910.html

  8. @silvia, a me è capitato un sacco di volte di arrivare a fine mese, puntualmente senza aver resistito all’acquisto di qualche libro, per accorgermi che sommando tutti i libri avrei avuto qualche centinaio di euro in più; so che non è bello anche perché il costo della vita è aumentato; forse in futuro leggeremo più ebook e acquisteremo un libro ogni tanto;
    @loredana le 360 ore sono un computo realistico e agghiacciante

  9. per un capolavoro sono disposta a spendere tutto quello che c’è da spendere; per i romanzi banali e inutili che l’editoria ci propina mi incavolo anche per i 10 euro; forse, dal momento che li libri sono stati stati fagocitati dal dio profitto, dall’immagine e dalla velocità, forse, provo a dire, è il momento che la cultura si sposti altrove… o forse si è già spostata?

  10. Bè, è probabile. In più provando a tracciare una prospettiva: nell’intervista su Fahrenheit Ginevra Bompiani dice che il limite per lo sconto sul libro è stato fissato al 15% ma che per la durata di un mese, da parte degli editori (e non dei librai –anche se spesso sono gli stessi-) questo limite può essere ignorato a piacimento anche per libri appena usciti, quindi sconti del 20%, 30%, 40%. Se ho capito bene.
    Dunque quello che investirà il lettore nelle (mega)librerie dei prossimi tempi sarà una sorta di turbo-marketing con vetrine e scaffali ancora più monotitolo di quanto lo siano adesso per periodi brevi (meno di un mese?) con prezzi accattivanti di soli libri scontati, totem, vele e sagome di cartone. Pochi titoli, poi più nulla. Se lo stesso libro lo si vuole acquistare a prezzo pieno il trentaduesimo giorno bisognerà rivolgersi al web plausibilmente sul sito dell’editore che provvederà alla ristampa e accollandosi le spese di spedizione.
    Sto esagerando, per capirci, ma la libreria sarà sempre meno il luogo dove trovare ciò che si cerca, secondo questa ottica.
    §
    Però Ginevra Bompiani dice anche un’altra cosa che credo abbia effettivamente un certo peso: il libro è il perno della cultura di un paese, non è un oggetto come un altro da commerciare. Piaccia o non piaccia, è così.

  11. Sono d’accordo con un’editrice coraggiosa come Ginevra Bompiani che osa essere “lineare” tenendo fede all’imprinting specifico delle sue collane e al “suo stile”, senza facili cedimenti alle leggi del mercato, osando pubblicare coraggiosi inediti come “Troviamo le parole”, il carteggio tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann. Questi sono gli editori che si dovrebbero avere, gente che crede ancora in questo lavoro e ha il coraggio di rischiare. In Italia il marketing editoriale sta dilagando. Solo poche case editrici sfuggono. Ma gli editori coraggiosi non devono smettere di cercare e lottare, allo stesso modo gli scrittori (sia di case piccole o medie), devono continuare lo stesso a scrivere, con vera certezza, senza ridicole vanità o sogni di vani effimeri successi. Già la vita, il nostro hortus conclusus, è di per sé un miracolo. Io leggero’ sempre. Cerchero’ sempre nelle librerie i libri che mi corrispondono o mi sorprendono. Il pessimismo e la crisi dell’editoria “classica” è evidente, sconfortante il ruolo economicamente e commercialmente marginale dei piccoli editori, ma i lettori veri esistono sempre e i libri “veri”, osteggiati o meno, al macero o dimenticati, prima o poi, chissà che non riescano a rispuntar fuori…

  12. Sarò il perno della cultura di un paese il libro (anche i chick lit, l’instant book, il saggio per commissione, le biografie dei calciatori, i casi editoriali, i diari postumi di gente di spettacolo? La Bompiani facesse un decalogo la prossima volta), ma piaccia o non piaccia, non è più così, Sir Robin.
    I libri si comprano a metratura, ora va molto Adelphi, ma nessuno, tranne pochi sfigati, legge, perché è un gesto di massimo orrore. Loredana Lipperini mi chiese di argomentare questo giudizio non condivisibile. Non si può commentare la verità. Ci credo, siamo quattro gatti e una come la tizia di apertura che legge cinque libri alla settimana, più che suscitare invidia, risulta involontariamente fastidiosa.
    Ho letto su Anobil che la Nostra ha un potere editoriale importante perché scrive su Repubblica e il suo “Non è un paese per vecchie” sta scalando le classifiche. Bene, ma il mercato editoriale non c’entra nulla con la lettura. Questa attività mefitica è un gesto per perditempo, per donne infelici, questa è la percezione e gli ometti manager sono costretti a sfogliarne uno al giorno fintamente mentre leggono la posta elettronica sul cellulare. Pochi giorni fa seguivo la De Gregorio da Feltrinelli, c’era un nugolo di donne vestite in Scottish tartan con Hesse sulle ginocchia. Nessuna ascoltava realmente, erano già con una gamba fuori da Babington. Nemmeno i recensori finiscono i libri e si accontentano della quarta. Spendere soldi per scegliere un libro e poi portarlo a casa e leggerlo realmente sta diventando una malattia rarissima. Ginevra Bompiani è fin troppo ottimista e i megastore servono soltanto per florilegi di sconti di cose inutilissime, che portano polvere, ma indispensabili. Per smarcarsi dalla cafoneria televisiva e dalla maleducazione dei più.

  13. @Patuzzi scrivi: “Io leggero’ sempre” con l’apostrofo e continui anche dopo. Meno male che cerchi libri che ti corrispondono? La grammatica la riprendiamo in mano? Grazie. Saluti.

  14. Rimango dell’idea che se un libro che costa 18 euro esce con uno sconto che lo porta a 15, questo è il vero prezzo di mercato. La riduzione dell’IVA è forse l’unica strada “democratica” per il libro. Aiuterebbe gli editori, i librai e noi lettori. Le altre alternative mi sembra che abbiamo dei pro e dei contro: è giusto abbassare gli sconti, ma se questi riguardano le biblioteche, come hanno detto in trasmissione, significa che le biblioteche avranno sempre meno libri. E già hanno sempre meno soldi da investire. Questo è un contro. Che poi anche i piccoli librai possano concorrere alla gara d’appalto (al ribasso) è una buona cosa, ma questo non avverrà mai per altri motivi.

  15. vincent, ma che commento e’ il tuo? Io per esempio non ho accenti sulla mia tastiera, perche’ vivo in America, e qui le e, i, o accentate non ci sono. Quindi quando uso gli apostrofi al posto degli accenti vuol dire che non conosco la grammatica?

  16. Sul prezzo del libro non intervengo, perche’ direi sempre le solite cose: e cioe’ che chiedere 16-20 euro per quello che e’ di fatto un tascabilone, non in copertina rigida, e’ un furto. Non ci sono altre termini.

  17. Tuscan Foodie: sai Tuscan l’uso dell’ironia prevede sfumature sottilissime, se non le rispetti frana tutto. Non è la grammatica ma il “io leggerò sempre” che è sintomatico di una compulsione sopravvalutata. Non è un commento. Quello è sopra. Evidentemente è franato tutto.

  18. Ho una personale teoria per spiegare il fatto che si vendano pochi libri. Scrivere in maniera mediamente dignitosa è ormai alla portata di tutti. La gente – di conseguenza – preferisce scrivere libri piuttosto che infliggersi la lettura delle molteplici sboronate in perpetua uscita editoriale. Così può poi mandare i propri racconti o romanzi ai concorsi on line (Blusubianco, IOscrittore eccetera, in genere gestiti da sbarbini e sbarbine non migliori dei waanabewriter) e sperare di diventare il fenomeno editoriale della futura stagione. Non occorre manco più andare a fare la fila alle Poste. Si può tranquillamente spedire il dolente racconto con l’operazione alla prostata subita di recente dal proprio nonno in comodo allegato email.

  19. Scrivere in italiano corretto dovrebbe essere la normalità (dovrebbe, appunto 😉 ); chiunque con un poco di costanza e impegno può apprendere la tecnica per stillare un buono scritto. Ma la capacità di trasmettere non è da tutti: occorre una gran consapevolezza per saper raggiungere le corde che sono nel profondo (non quelle superficiali: quelle possono essere toccate da chiunque), perché un vero libro lascia un segno che rimane, è scolpito nella roccia, non come acqua gettata su un vetro che scivola via in un breve lasso di tempo.

  20. Vincent, per la trecentosessantesima volta: a te l’intervento a gamba tesa nella discussione, anche con toni maleducati come quello nei confronti di Claudia Patuzzi, sembra una cosa molto carina che dà pepe al dibattito.
    A me no.

  21. Non per difendere i librai, non ne hanno bisogno, fanno già da soli: ma sono davvero sottoposti a ritmi di ricambio folli. Sui banchi delle librerie arrivano decine di novità OGNI SANTO GIORNO (mentre ricordiamoci sempre che le grandi superfici e alcune catene selezionano moltissimo e si permettono di tenere solo quello che vende meglio – massimizzano la rotazione) e se un libraio vuole mantenere un assortimento e un’offerta valida, soprattutto dal punto di vista dello stimolo culturale, è quasi costretto a fare così, a togliere quel che non si sta vendendo.
    E’ una questione di politica industriale degli editori grandi, quelli che determinano il mercato con le loro strategie, e degli equilibri (o disequilibri) che mettono in campo per sostenere i propri budget e, a fine anno, i risultati. Dal mio punto di vista è una questione molto complicata, fatta di tante angolazioni. Non per nulla il battibecco in diretta di ieri a Fahrenheit tra Bompiani e Pisanti rende conto delle difficoltà di trovare punti comuni…

  22. sono d’accordo con desian: è una questione complicata e le posizioni (le forze in campo) sono tante e apparentemente contraddittorie.
    Si tratta di trovare un punto intorno a cui far ruotare il compasso. Dovrebbe essere, questo punto, il libro. Fin qui credo che siamo tutti d’accordo. Il libro, però, detto così, è un concetto, un’ipotesi. Il libro veicolo di cultura. Bellissimo.
    Però, appena si comincia a parlare di “libri” (cioè gli oggetti concreti), ecco il problema. I libri hanno vita media di due settimane. Perché? Perché in quelle due settimane “chi li doveva comprare li ha comprati”? O perché bisogna sostituirli con altri? Se è vera questa seconda ipotesi, perché altri libri (con identica vita media) incalzano? Perché gli editori si sentono obbligati a buttar fuori novità a piè sospinto? E’ la domanda che continuo a fare lì dove lavoro, ma ancora non ho avuto una risposta soddisfacente: Perché bisogna stare sul mercato, mi si dice. Perché le collane devono essere alimentate, si aggiunge. Perché ormai si fa così, ci si arrende…
    Ma davvero servono tutti i libri che vengono pubblicati? Perché se ne pubblicano così tanti? Per sperare che – grazie ai buoni auspici della statistica – almeno uno funzioni, sbanchi, esploda? Non sarebbe meglio pubblicare di meno, ma curando di più la scelta, la lavorazione, la promozione di quello che si pubblica?
    Se è vera la prima ipotesi, delle due da cui sono partita, cioè che in due settimane chi doveva comprare ha comprato, non significa, questo, abdicare alla funzione culturale del libro (la diffusione richiede tempo)? Non significa incentivare la bulimia ossessiva di cui si parlava, che spinge a comprare molto e leggere meno (mentre la lettura avrebbe bisogno di lentezza e ruminazione)?
    Se è vero che ci dobbiamo rassegnare a considerare il libro un prodotto speciale, ma pur sempre un prodotto (che quindi è inserito nei meccanismi del mercato), si potrà trovare un modo per non essere subissati, invasi, storditi da migliaia di proposte?
    (Ripensavo a “La libreria del buon romanzo”, libro fin troppo patetico che purtroppo per questo ‘vizio di forma’ è, a mio parere, un’occasione mancata di ragionamento su questo tema).

  23. Secondo me bisognerebbe lasciar perdere questi diverbi da fine millennio e pensare a un reale sistema di vendita degli e-book che, al giorno d’oggi, sono diffusi molto – ma molto – meno di quanto dovrebbero.
    🙂

  24. @Loredana Lipperini: come ho già scritto ironia che è franata e di cui mi scuso. La Patuzzi è una scrittrice, quindi ne sa di grammatica, spero. Non rilevo gambe tese, né toni maleducati. Solo una apatia alla “dacci oggi il nostro commentino quotidiano” che mi vede vergognosamente in prima linea. Nell’ansia di cercare un contraddittorio inesistente, costruisco boomerang che mi si ritorcono contro. Cari saluti.

  25. Tutte le nuove forme di comunicazione si bruciano velocemente. La narrativa, se da una parte è premiata sul verso perché ha un linguaggio molto più simile a quello attuale, dall’altra è penalizzata dall’affollamento di narrazione informativa cui siamo quotidianamente sottoposti. Se il mercato non le da il giusto tempo di decantazione, è come se le sue parole si sciogliessero nell’immensa, frammentaria, inarrestabile narrazione informativa di questo mondo.
    Paradossalmente, solo la poesia che non viene più promossa, mi da la certezza di non consumarsi rapidamente perché il verso di fronte al caos ti arresta, sancendo uno squarcio di mondo che imprime se stesso al tempo che manca.
    E sei tu che decidi quanto farlo durare.

  26. Non ho titolo per commentare questo argomento, lo dichiaro a chiare lettere. Da lettrice non compulsiva, mi piacciono i libri, le belle edizioni, li compro perchè mi piace ‘possederli’ e, lo confermo, da profana, mi piacerebbe che i prezzi di copertina fossero più contenuti. E’ un pio desiderio che ovviamente si scontra con le ‘complicatezze’ degli editori, dei librai, etc.
    Volevo invece commentare il ‘vincent’ il quale mi ricorda tanto un frequentatore – ex come lo siamo tutti – del forum di fahre. Erudito, probabilmente professore d’italiano storia e geografia – e forse latino – ama fare le pulci ai post, ama, per così dire, mettere i puntini sulle ‘i’, ama apparire saccente e, a volte, invadente. Non si accorge, il ‘curioso’ del forum di fahre, di usare toni maleducati che lui ritiene ironici,
    Naturalmente, questo ‘vincent’ non è il ‘curioso’ del forum, ma me lo ha fatto venire in mente con nostalgia.
    P.S. Per inciso sono d’accordo con desian quando dice che ‘Sui banchi delle librerie arrivano decine di novità OGNI SANTO GIORNO’ e che il mercato è fortemente indirizzato dai grossi editori. E che i piccoli editori fanno una fatica del diavolo per tenere la testa fuori dall’acqua.

  27. E’ vero che la situazione è a dir poco sconfortante, ma dobbiamo imparare a vivere – con caratteristiche di sopravvivenza – in una realtà in disfacimento, con la cultura predata dal mercato che detta legge ecc. Non so se e quanto potrà reggere una situazione gonfiata con una pletora di libri usa e getta, che significa per forza una ulteriore omologazione a standard imposti; non so per quanto tempo i lettori riusciranno ad accettare questa omologazione. Forse tutto deve finire, prima o poi, e fare “crack”; chissà se a quel punto qualcosa di nuovo potrà rinascere.
    Chissà.

  28. Ma i lettori non sono mica obbligati ad ‘accettare questa omologazione’! I lettori suppongo che vadano dove li porta la loro cultura, la loro formazione. Quand’ero una ragazza mi facevo incantare dal bel titolo, dalla bella recensione, e, perchè no, dalla bella copertina. E a volte questo incantamento mi procurava splendidi pomeriggi d’estate immersa nella lettura. Ma a volte, troppo spesso, l’incantamento finiva dopo le prime dieci pagine. Adesso non comprerei mai i faletti i boldi e … non so, insomma non comprerei -come non compro – questi fuochi di paglia che hanno la ventura di possedere delle grancasse di risonanza, assordanti, ma che di sostanza, per i miei gusti, non hanno niente. Il lettore vero, prima di comprare un libro, lo soppesa, lo annusa, lo scruta, lo vuole conoscere e vuole farsi conoscere. Questioni di alchimie strane, impossibili da descrivere. Che poi si possano leggere 5 o 6 libri alla settimana … beh non mi resta che rimanere a bocca aperta davanti a queste capacità. Ma mi chiedo quali sono questi libri che possono essere inghiottiti come pillole?

  29. Paolo Pisanti, Presidente ALI; dice: “se un libro non decolla in due settimane, è praticamente fuori dai giochi.”
    Bisogna dargli atto che l’aver tenuto duro [ cioè lasciar sopravvivere il libro in vetrina ] almeno una volta ha pagato, ha contribuito a farci scoprire un grande scrittore post moderno quale considero Camilleri.
    Mi raccontava suo fratello che nei primi ’90 i romanzi di Camilleri giacevano invenduti negli scaffali. L’Autore, meschino, ogni fine mese si affannava in lunghe telefonate scongiurando i Pisanti di tenere ancora esposti i suoi romanzi. Questi, non senza alzare gli occhi al cielo, alla fine acconsentivano.
    E’ buffo eh? pensare a Camilleri che implora un libraio, un bravo e onesto libraio, sembra un scena d’altro mondo. Eppure accadde così, la Libreria mantenne visibili quei librucci, e bisogna dire che è stata ampiamente risarcita dai fatti.
    Bravi i Pisanti.

  30. Anche se tutti storcono il naso quando sentono parlar di una casa editrice a pagamento, non mi vergogno di dire che ho pubblicato (dopo sessant’anni da lettrice) un libro (Formiche periferiche) con Statale 11 e non mi sono scandalizzata per il modesto contributo chiesto, perchè penso che la casa editrice debba sostenere delle spese non trascurabili . Non ho fatto “presentazioni” come l’editore aveva proposto perchè mi sembrava di andare in giro a chiedere l’elemosina .E allora che voglio? Semplicemente vorrei che le librerie non avessero tanti pregiudizi e accettassero di mettere questi libri nei loro scaffali .Su Internet ,certo , si possono acquistare, ma senza pubblicità nessuno saprà mai della loro esistenza. Conclusione: se me ne verrà ancora la voglia scriverò solo per me.

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