CENTOSESSANTATRE

Giustamente, nei commenti al post di ieri, si faceva notare che il problema sta, anche, nell’eccesso di libri pubblicati a fronte di un numero di lettori che è e resta scarso. Vorrei ricordare le cifre fornite da Tullio De Mauro: il 5% degli italiani è analfabeta, il 33% si ferma al primo tipo di test sulle competenze linguistiche e aritmetiche,il 66 per cento non è nella condizione di leggere un quotidiano. Ogni mille abitanti si vendono appena 102 copie di quotidiani, e i due terzi della popolazione non leggono mai né un giornale né un libro.
I due terzi.
Eppure, pubblicare non è mai stato così facile.
Le motivazioni? Credo sia impossibile trovarne una reale,  e comprendere cosa significhi davvero lo “stare sul mercato” di cui parla la gran parte degli editori.
Posso però fornire i numeri. Sono quelli dell’AIE,  ancora relativi al 2007, e ho buoni motivi di pensare che le cose siano peggiorate in tre anni (credo che il numero annuale delle novità sia aumentato).
Dunque: 59.000 (e rotti) nuovi titoli l’anno.
Significa: 4916 al mese.
Significa: 163 al giorno.
Ecco.

34 pensieri su “CENTOSESSANTATRE

  1. Sapevo che i numeri si aggiravano intorno a quelle cifre. Ma allora dove sta il punto? Ci sono troppi editori? O ciascun editore sforna troppi libri? Il problema sembra risiedere in come è evoluto il “sistema-editoria” e non certo nel fatto che in Italia ci siano più scrittori che lettori, anche perché se un autore pubblica, che se lo meriti oppure no, che sia famoso oppure no, lo deve solo ed esclusivamente al suo editore.

  2. Io non ho capito: se la domanda è così scarna, in termini strettamente microeconomici, che cosa ha fatto esplodere l’offerta? Avevo sentito commenti che dicevano: i libri di basso livello semplicemente sono andati a prendersi una fetta di domanda che prima non esisteva, banalmente, c’era chi comprava i fotoromanzi e oggi compra Twilight, chi leggeva i giornaletti per ragazzi e oggi compra Fabio Volo, chi leggeva i fumetti e oggi compra i gialli di Faletti. Altri commenti proseguivano dicendo: è un bene, in qualche modo ho avvicinato un pubblico nuovo all’oggetto libro, anche se stiamo partendo da un livello bassissimo.
    Cmq però i conti, in termini di funzionamento di un mercato, non dovrebbero tornare, perché dalle cifre la domanda dovrebbe essere più che saturata. Che cosa mi sfugge?

  3. Se dovessero smettere di pubblicare anche libri scritti da chi scrittore non è, sarebbe una cosa bellissima. Ad ognuno il suo mestiere. E’ vero che dicono che l’importante è leggere, ma sarebbe ora che diventi importante anche cosa si legge. Io personalmente dei libri scritti da comici, presentatrici eccetera penso sia, come sempre, una trovata commerciale.

  4. Stare sul mercato dovrebbe voler dire pagarsi le spese e avere dei guadagni materiali (oltre alla supposta soddisfazione morale) che giustifichino l’attività imprenditoriale dell’editore….
    ma non è detto che i guadagni materiali vengano dalla vendita dei libri.
    Esiste tutto un mondo di pubblicazioni a carattere locale che vive di finanziamenti pubblici e/o privati; esistono attività collaterali (dai corsi di editoria ai laboratori per bambini alle pubblicazioni a pagamento che non sempre e solo sono vanity press – si pensi alle pubblicazioni dei docenti universitari) che permettono di far quadrare i bilanci… poi magari c’è chi invece ha un ‘core business’ lontano dall’editoria (magari lavora in banca), ma fa l’editore solo per la soddisfazione morale di cui sopra. Costa pochissimo registrarsi un marchio e stampare poco poco, selezionando tanto.
    Temo che cifre totali senza un disaggregato ragionato non rendano semplice argomentare sulla cosa.

  5. Non è semplice, certo. Ma Pisanti, presidente dell’Associazione dei Librai, ricordava che con duecento novità al giorno (dunque la cifra è salita), è complicatissimo gestire la presenza su uno scaffale. Di qui, il famoso ciclo vitale di quindici giorni a libro.
    E, Paolo, quel che dici è verissimo: ma ragioniamo soltanto sulle novità proposte dai grandi gruppi. Di media, una sventagliata di dieci titoli ogni quindici giorni. Niente affatto pochi.

  6. in UK pare si producano 365 nuovi (o nuove edizioni di) libri al giorno (dati dalla publisher association). La proporzione col numero che citi sopra se ho fatto bene i conti e’ che ogni 10 libri nuovi in UK ce ne sono 4 nuovi in italia. Le attitudini alla lettura sono diverse, non riesco a trovare velocemente dati in termini di numero di libri letti (ricordo a braccio una media di 20 all’anno) ma ho trovato dati in termini di tempo speso a leggere libri, cioe’ in media 4.6 ore alla settimana (dati dalla readingagency.org.uk). Ad occhio e croce mi pare che si, ci sia una notevole sproporzione fra libri letti e libri pubblicati in italia, non credo che la collocazione dei nuovi testi nella libreria sia il nocciolo della questione qua.

  7. Alla base dell’eccesso di offerta c’è sicuramente l’imprevedibilità del successo. Non esistendo ricette che funzionino sempre, ogni editore preferisce pubblicare dozzine di titoli alla rinfusa nella speranza che almeno uno di questi faccia boom e ripaghi le spese di tutti gli altri. Viene comunque scoraggiata la complessità.
    Ecco una mia recente esperienza come scrittore:
    1) “Gentile signor Angelini, ho letti i racconti che ci ha mandato: belli! Originali, ben scritti, interessanti. Un romanzo l’ha scritto? Intendo per adulti, come i racconti.”
    2) “Caro Angelini,
    sono riuscit* a leggere altre sue cose ma – lo ammetto – ancora non tutte! Mi ha fatto molto ridere (perché io amo molto le visioni comico-grottesche del mondo) il racconto sui Pink Floyd anche perché non solo sono mezz* venezian* ma c’ero anch’io ai tempi del fantascientifico concerto e conosco a memoria la canzone dei Pitura Freska. Il pezzo (surreale) sulla NIE, sempre dal mio punto di vista, è esilarante. A presto.”
    3) “lo ammetto: mi sto affezionando a lei. Intanto, buon anno! Poi, per quel che riguarda le novità, non saprei da che parte cominciare. Ho fatto fatica a districarmi tra tutti i testi che mi ha mandato. Comunque, in parte li ho letti, in parte li ho fatti leggere e il giudizio è unanime (sempre lo stesso): lei scrive benissimo e la sua scrittura è molto affascinante e originale.”
    4) “Non ce l’ha un progetto più semplice con una trama che si possa seguire un po’ meglio?”

    Il mio interlocutore voleva dirmi : “O perde complessità, o si attacca al tram”. Ho preferito attaccarmi al tram.

  8. Certo, Loredana, sono troppi. Tanto è vero che i colossi si auto-cannibalizzano e non riescono a proporre decentemente quello che stampano… e ai piccoli (anche ai piccoli autori che pubblicano coi grandi editori!), restano briciole. La logica di mercato prevede per forza il tentativo di conquistare e mantenere posizioni dominanti, però ci dovrebbero essere dei contrappesi che limitano questi tentativi. Che ne so, cose come se fai l’editore non devi avere catene di punti vendita o quote della distribuzione…
    Chi ci va più di mezzo, in questo scenario, è il libraio indipendente.
    Credo che nei prossimi anni andremo incontro a una ridefinizione radicale del ruolo dei librai; anche se le competenze del libraio restano impagabili (sono infiniti i racconti di delusioni nei megastore), il modello di business ‘libreria indipendente’ subirà grandi mutamenti per ospravvivere.
    Una proposta? Ogni casa editrice con un fatturato superiore a tot è obbligata per legge (in cambio di sgravi fiscali) a finanziare attività di promozione alla lettura indipendenti dal proprio marchio, magari svolta proprio nelle piccole librerie… però già vedo le mille storture cui si potrebbe andare incontro con questo sistema, proponete voi qualcos’altro.

  9. Fatturato.
    Bare fiscali.
    Ecco cosa sfugge, secondo me, in molte presunte analisi economiche.
    Cos’è, davvero, il mercato oggi? Non parlo solo di libri.
    Per me, il mercato è prima di tutto capacità di indebitarsi, di ottenere molteplici e reiterate linee di credito.
    Per questo obiettivo il fatturato vale e conta molto più che utili e margini di profitto, e rende ragione dunque dell’inflazione di titoli che gruppi grandi e medi sfornano senza sosta. Vendere gli interessa, ma fino a un certo punto. Questo principio rende ragione anche della gran parte delle strategie di fusioni industriali in quasi ogni settore, altrimenti incomprensibili in termini di puro profitto, molto di più invece nel senso di creazione di monopoli e fatturati monstre. Too big to fail. Altro che liberismo.
    Secondo. Bare fiscali. In accezione squisitamente italica. I gruppi editoriali, qui da noi, quasi senza eccezione sono all’interno di sistemi finanziari di cui costituiscono solo una parte, e non la più rilevante. In pratica, gli editori puri, tranne pochissimi casi, non esistono. Tenere questi soggetti in perdita perenne può essere tutt’altro che un danno. Bare fiscali, appunto, utili come compensazione di altre attività. Potenziali bacini di afflusso di ‘nero’. Sgravio fiscale, partite di giro.
    L’eterno illusionismo del capitale.
    State tranquilli, non ci perdono.
    L.

  10. Ho una domanda…
    So per esperienza che per un Editore è più proficuo avere un parco di pubblicazioni variegato, ad esempio più riviste che fanno capo allo stesso Gruppo, per questioni di marketing/ inserzioni pubblicitarie.
    Ma le riviste sono dotate di spazi dove inserire redazionali o campagne.
    E quindi mi chiedo cosa accade invece nel caso dei libri?
    Perchè tanti titoli e cosa spinge veramente un editore a pubblicarne uno piuttosto che un altro?
    Posso supporre che un grande Editore abbia la possibilità di investire su diversi generi letterari e quindi garantirsi l’attenzione di diversi tipi di pubblico: quello che ama i classici, quello che legge gialli o fantasy o horror e quello che acquista solo le raccolte di aforismi. Insomma ne ha per tutti i gusti. E se magari per quella stagione non è andato “forte” con i saggi, si rifà con i titoli per ragazzi.
    Il Piccolo Editore purtroppo non ha la stessa possibilità.
    Ma è davvero così?
    Sul numero delle pubblicazioni mi sono ritrovata a fare due conti anche io ultimamente. Per esempio, ho calcolato tutti i titoli americani di Young Adult/Fantasy che mi sarebbe piaciuto leggere “ma non posso” (usciti nell’ultimo anno e mezzo) e sono la bellezza di 2.058!!!
    I titoli calcolati sono naturalmente quelli più popolari. Non oso immaginare quanti ne siano realmente passati sugli scaffali delle librerie.
    Parlo di romanzi. No fumetti, aforismi, saggi, classici…
    E il 30% di questi titoli sono debutti letterari.
    Ma TUTTI autori americani.
    Ecco, per quanto riguarda l’Italia invece, mi piacerebbe sapere quanti di quei “4916 al mese” sono autori italiani, quanti sono romanzi piuttosto che libri di cucina per esempio, quanti sono debutti e quanti sono gialli, romanzi di formazione, ecc. ecc.
    E grazie, per darci sempre spunti di riflessione infiniti! 😀

  11. Per avere un quadro piu’ chiaro della situazione bisognerebbe anche vedere la tiratura complessiva di tutti questi libri. Penso che in generale aumentino i titoli pubblicati ma diminuiscano, e di parecchio, le prime tirature. Se di un libro una volta si stampavano 5000 copie adesso magari ci si ferma a 1000. E i piccoli editori, che stampano spesso col digitale, riescono a pubblicare anche 50 titoli l’anno, come un editore medio/grande, stampando e vendendo poche decine di copie di ognuno. In questo modo non hanno nessun problema di magazzino e di rese, e guadagni sicuri anche se limitati. Per contro sono obbligati a pubblicare piu’ titoli possibile per fare fatturato e produrre utili sempre piu’ corposi.

  12. Lucio scrive una cosa giusta, provo ad estendere: il modello d’affari dell’editore consiste nel pubblicare a ventaglio, sperare che un libro su cento abbia un grosso successo, e vendere immediatamente i diritti del libro a un editore immediatamente sopra di lui nella catena alimentare.

  13. “Eppure, pubblicare non è mai stato così facile”
    Escludiamo dal discorso l’editoria a pagamento (esiste, ma non è editoria); si pubblica tanto, ma è di qualità, c’è del materiale valido? Fortunatamente sì, anche se è una piccola parte rispetto all’oceano del mercato.
    Fanno riflettere gli interventi di Lucio Angelini e Luca.
    E’ vero si cercano cose lineari, quasi si temesse la complessità perché in grado di far riflettere, come se fosse qualcosa da evitare.
    Preoccupante il fattore indebitamento, considerato come moneta, e le bare fiscali: fattori che sono da prendere in considerazione e non sottovalutare. Purtroppo non è una cosa solo dell’editoria.

  14. Pensate che il Cinema, un’arte di maggior consumo rispetto alla letteratura (un film “dura” 2 ore, ben più di un libro, e si “compra” anche a 4 euro), offre un mercato molto meno prolifico.
    Escono circa 14 film la settimana. Per un totale di 14×52 (non più di 700 pellicole l’anno, comunque, vista la stasi estiva).
    Eppure, eppure, è un mercato fallimentare.
    40 anni fa si producevano circa 200 film l’anno, in Italia, a dispetto dei 20 di adesso, ma la gente andava al Cinema molto di più.

  15. i libri di basso livello semplicemente sono andati a prendersi una fetta di domanda che prima non esisteva, banalmente, c’era chi comprava i fotoromanzi e oggi compra Twilight, chi leggeva i giornaletti per ragazzi e oggi compra Fabio Volo, chi leggeva i fumetti e oggi compra i gialli di Faletti
    Certo, la letteratura “bassa” è stata inventata più o meno all’epoca di Drive In. Prima si pubblicavano solo capolavori della LetTeratUra (ho messo più maiuscole perché così è più letteratura).

  16. Come al solito Luca ha la parola onnicomprensiva, bare fiscali. Agli editori non importa nulla della quantità spropositata di libri e quindi di carta che transita a casaccio nei megastore e nelle librerie. L’importante è la perdita, la mancanza di fatturato reale. Gli editori maggiori, tranne rare eccezioni, odiano i libri in modo macroscopico e sono meno contenti di quanto possa apparire di fronte ai casi editoriali, il fatidico milione di copie e se ne sbarazzano con la trasposizione cinematografica (la solitudine dei numeri fissi o primi, ho un vuoto) di Giordano e di mille editor dietro, ne è un esempio.
    Non è vero che i lettori sono scarsi, sono nulli, una quantità risibile (studenti, insegnanti e giornalisti che pur digrignando i denti, si atteggiano a “lettori” loro malgrado). Chi è vero lettore non lo dice e non si fa vedere MAI in giro con un libro, gli altri, gli esibizionisti, hanno velleità di scrittura o hanno già pubblicato qualcosa, Poi c’è la categoria di chi si compra la pubblicazione, capolavoro o schifezza, trovano bello autografare lo scritto per la famiglia e i parenti. Poi i giovani, già accennati, che lo fanno per compiacere i genitori e ritirare l’obolo (poi che tra di loro una parte si affeziona realmente alla lettura è del tutto irrilevante). Dunque quella montagna di carta in perdita serve solo per risolvere casi fiscali e per coprire altre magagne.

  17. Oddio, sarò malata gravemente! Mi trovo quasi d’accordo con vincent, soprattutto quando – e mi piace moooooolto – dice che gli editori odiano i libri in modo macroscopico. Ma mi dovrebbe spiegare, se vuole, perchè mai questi editori menefreghisti sono scontenti quando un libro supera il milione di copie … Che poi qualsiasi libricino venga trasmutato in film e si pretenda che sia un redivivo ‘Via col vento’ o ‘Gattopardo’ beh, anche questo non lo capisco. O forse non lo voglio capire, altrimenti … ho già il magone.

  18. Perdonate il parziale OT, ma questa balla (fino a dimostrazione contraria) dei “mille editor” dietro il libro di Paolo Giordano comincia a stancare. L’unica pezza d’appoggio è il fatto che il titolo è stato proposto all’autore: come, per dirne due, “Le parrocchie di Regalpetra” o “Il sergente nella neve”. È una bufala messa in giro da un critico letterario che stava per rieditare un libro vecchio di 10 anni, e aveva la necessità di negare tutto ciò che smentisce la sua tesi sulla morte della letteratura, cioè tutto ciò che di buono è stato scritto nell’ultimo decennio. Fine dello sfogo.

  19. gentile signora Lipperini,
    una volta anni fa, le scrissi.
    Esulo dal discorso o forse no.
    Laureato in lettere(l.triennale)mi piacerebbe scrivere(scrittore come professione).
    Qualcosa ho fatto, ma non è piaciuto e non basta.
    Pubblicare a pagamento no.
    Eppure so di non essere meno di molti in giro.
    (mi manca metodo e fiducia in me)
    e sono scoraggiato dal panorama nazionale….sia culturale che altro.
    Con le dovute eccezioni.
    Un saluto.
    Stefano A.

  20. Ma 163 titoli al giorno sono una manna dal cielo! Alla faccia dei semi-analfabeti, noi fichissimi alfabetizzati abbiamo di che scialare! Certo, bisogna fare in fretta ché sennò te li fanno sparire sotto il naso… (però spesso si rimedia con maremagnum). Insomma: l’editore ci guadagna, il lettore ci guadagna. Dov’è il problema? C’è tanto per pochi, dunque siamo a posto.

  21. @Rosemarie: no, non sei malata. Sei lucida, ma puoi continuare a non sopportarmi. se vuoi, ma già mi ami. Allora gli editori maggiori odiano i libri che superano il milione di copie, i cosiddetti casi letterari, perché poi riesce difficile tornare a una media di 2000 copie a titolo, cioè i vuoti a rendere, dovendo in ogni caso essere in perdita per motivi fiscali, ma anche culturali (è difficilissimo confezionare un nuovo prodotto con un titolo che attira e, nel caso della narrativa, ad una trama facile facile , ma ammiccante). Per esempio, la solitudine dei numeri… al cinema sta avendo un fenomenale successo (il fatto che il film non sia riuscito e che abbia dei momenti di comicità involontaria è sempre del tutto irrilevante) e alla sceneggiatura ha partecipato anche Paolo Giordano, lo “scrittore” del libro. Quelli della Mondadori si devono dannare per la seconda opera dell’esordiente prima che il bluff sia chiaro a tutti ed è un bel guaio e nel frattempo il Nostro scribacchia a destra e a manca. Il marketing editoriale è il perno su cui ruotano questi fenomeni mostruosi, delle case editrici medie e piccole non importa nulla a nessuno. Tranne ai lettori cui non frega niente a nessuno. Le passioni e la cultura soprattutto in questo periodo vengono percepite come iatture e sciagure da cui tenersi lontano accuratamente. Ciao.

  22. @nicoletta z.: starai scherzando o anche tu hai un’ironia franante”? Alla faccia dei semi analfabeti” lo accetto solo come boutade e meno male che il maleducato sono io!
    Starò dalla parte dei semi analfabeti tutta la vita, soprattutto se non hanno avuto la possibilità economica per affrancarsi da questa condizione. Voi fichissimi alfabetizzati scialate di prosecco più che di libri. Ma sicuramente sono quattro righe scherzose, ma finire con: “C’è tanto per pochi, dunque siamo a posto”, suscita in ogni caso una tristezza infinita.

  23. Sarcasmo, Vincent. Ma quando vai a stringere, la fotografia della situazione è questa. E suscita una tristezza infinita, sì.

  24. Anch’io penso che si pubblichi troppo in Italia. Pero’. Pero’ poi vado a vedere i dati relativi ai libri pubblicati ogni anno in altri paesi del mondo, e trovo dati dai quali posso trarre conclusioni contrastanti.
    Se prendo i dati UNESCO per buoni (http://en.wikipedia.org/wiki/Books_published_per_country_per_year) e li aggiusto con il dato italiano qui sopra di 59.000 libri per l’Italia, siamo ottavi al mondo (in Francia sono a 76 mila libri per il 2008: http://www.planetoscope.com/tourisme-loisirs/974-Nombre-de-nouveaux-livres-publies-en-France.html)
    Non ha senso fare un confronto con l’Inghilterra, l’America o la Spagna, perche’ molti dei titoli pubblicati in questi paesi sono anche da esportazioni verso paesi anglofoni o isponofoni. La Francia? Neppure, perche’ ha il mercato nordafricano.
    L’unico confronto sensato mi pare col Giappone e la Germania, paesi in qui la lingua non e’ da esportazione. Bene, in Giappone hanno il doppio dei nostri abitanti, la meta’ dei titoli pubblicati. In Germania hanno il 50% in piu’ di popolazione e piu’ o meno il 50% di libri pubblicati in piu’.
    Difficile tirare conclusioni.

  25. >ma ragioniamo soltanto sulle novità proposte dai grandi gruppi. Di media, >una sventagliata di dieci titoli ogni quindici giorni. Niente affatto pochi.
    Ecco, mi tocca una precisazione: è vero che nella prima parte dell’anno, i grandi gruppi escono ogni due settimane ma con ben più che una decina di novità ad uscita. Nella seconda parte (diciamo da luglio in poi) invece le uscite diventano SETTIMANALI e con qualche decina di titoli ogni volta. L’inflazione è notevole.

  26. Si pubblicano troppi libri. Molti, troppi, di bassissima qualità e ad abbassare la qualità contribuisce in modo decisivo il fenomeno dell’editoria a pagamento.
    Mi chiedo: come è possibile che l’AIE accolga al suo interno questi signori?

  27. 163 titoli al giorno sono tanti o pochi? Rispetto a cosa? Due titoli al giorno sarebbero meglio o peggio? E, sì, nel numero sono inclusi anche i titoli degli editori a pagamento (alcuni dei quali hanno cataloghi con migliaia di titoli…), che dalle librerie transitano difficilmente.
    Qualcuno si chiedeva che fine ha fatto la legge della domanda e dell’offerta: in effetti gli editori fanno una vitaccia, e non tutti riescono a sopravvivere più di qualche anno.
    Detto questo, le tirature si sono abbassate. Un piccolo editore stampa mediamente 1.000 copie e se ne vende la metà è contento. E’ un modello così sbagliato? Cosa non vi convince? Vorreste meno titoli che vendano di più? A quale scopo?

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