UN CASO DA STUDIARE

Ne ho parlato nella rubrica del sabato su Repubblica, ma credo che il caso vada riproposto qui, specie dopo le dichiarazioni di Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il libro e la lettura. Ferrari interviene sugli eBook dichiarando  oggi ad Antonio Gnoli: “Siamo come sull’orlo di un burrone. Possiamo solo cercare di non precipitarvi dentro. Voglio dire che l’eBook è un salto enorme, un po’ come fu l’invenzione della stampa. Noi non abbiamo idea di che cosa accadrà. La nostra percezione è continuista, ma l’eBook è davvero una svolta radicale. Il libro così come è stato è una forma definitiva, compiuta come può essere un quadro o una statua. La natura del mezzo elettronico lo renderà flessibile, modificabile, adattabile. Molto più simile a un essere vivente che a una cosa”.
Il caso da studiare, allora,  è quello di J.A. Konrath. La storia di Konrath è raccontata in un lungo post su Baionette Librarie, blog che si occupa di narrativa fantastica e di eBook: lo scrittore americano, infatti, ha reso pubblici in rete i guadagni derivati della vendita dei propri eBook, sia per quanto riguarda quelli pubblicati su Amazon con la mediazione del proprio editore, Hyperion, sia per quelli pubblicati autonomamente. I risultati? “I cinque eBook pubblicati con Hyperion fanno guadagnare mediamente in royalty 803$ l’uno, all’anno, su Amazon. I quattro eBook che ha pubblicato da solo a prezzo bassissimo fanno guadagnare 3430$ l’uno, sempre nel corso dell’anno, su Amazon.” . Questo non significa, ammonisce il titolare di Baionette Librarie, il Duca Carranonan, che chiunque “nel 2015 potrà vendere da solo la sua mezza dozzina di romanzi e ricavarne 20.000 e più euro l’anno”. Però il post, articolatissimo e dettagliato, fa riflettere.

24 pensieri su “UN CASO DA STUDIARE

  1. Interessante il fatto che il “Centro” avrà come direttore l’ex direttore Mondadori…
    Su Konrath ho delle forti perplessità. Non è che il passo successivo sarà il “write on demand” che altro non è che la versione rovesciata delle Avallone in circolazione?

  2. GL: però il dato più pazzesco è che la gente ha comprato lo stesso i libri a 1,99 nonostante fossero disponibili gratis sul sito dell’autore. Pazzesco o interessante. Se i dati sono reali potrei persino capire a questo punto l’ostilità delle case editrici per il nuovo mezzo.

  3. GL se si arrivasse al write on demand sarei assolutamente concorde con te e non è affatto escluso che ci si arrivi, però il caso di Konrath a me fa pensare a un classico caso di “scavalco l’editore” con tutti i pro (guadagni maggiori) e i contro (minor cura del prodotto) che la cosa comporta.

  4. @D’andrea GL: non capisco, scusa, che intendi quando ddici “qui si tratta di scrivere libri per qualcuno”? Cioè quale sarebbe il collegamento tra distribuzione a basso costo/gratuita e il write on demand?

  5. E’ ovvio, a mio parere, che quando gli ebook diventeranno una realtà commerciale anche in Italia, avrà poco senso venderli al proprio editore. Agli editori spetteranno i soli diritti sul cartaceo, mentre i diritti ebook, come tutti i diritti secondari, andranno commercializzati a parte.
    Se venderli – ad esempio – direttamente ad Amazon permette di ottimizzare i guadagni, allora li venderemo ad Amazon. Sono gli scrittori i proprietari della loro opera. E devono tener duro, a mio parere, sui diritti ebook, perché i guadagni possono essere ben più alti di quelli sul cartaceo. A partire, almeno, dal 50% in su, a fronte del risicato 10% di royalties che si ottiene solitamente dall’editore sul proprio libro.
    Del resto, abbattuto il costo della carta e della distribuzione, non si vede come potrebbe essere diversamente.

  6. Francesca: quello che temo è che lo scrittore che pratica la scrittura “porta a porta” (come in questo caso) riceva più pressioni di quelle che già riceve da una casa editrice. Nel senso che il suo “guadagno” diventa ancora più collegato alla richiesta del lettore che diventa, ancora di più, “cliente”. Che poi è il sogno di qualsiasi Casa Editrice, temo. Il lettore per come la vedo io non è e non deve mai essere “cliente” e lo scrittore non deve essere “venditore”, ma scrittore e basta. Questa, naturalmente, è una mia personale idea (dettata in parte anche dalla mia esperienza).

  7. Ricordiamoci che non tutto il pubblico è interessato a opere puramente commerciali, cè la parte che apprezza le opere impegnate e così via queste non sono certo destinate a scoparire, certo non non guadagneranno come Fabio Volo ma d’altronde già ora è così.
    Le opere libere/impegnate/etc degli scrittori hanno un loro pubblico, quello della gente che le vuole ed è improbabile che questa domanda resti senza una corrispettiva offerta.
    quindi se il “guadagno” diventa ancora più collegato alla richiesta del lettore, la dove si punta a quei lettori che desiderano opere non commerciali e “libere” il tutto continua a funzionare.

  8. Non mi è chiaro perché lo “writing on demand” dovrebbe costituire un pericolo. Ci sono esempi clamorosi di “writing on demand” nella storia della Letteratura, l’Eneide e l’Orlando furioso furono scritte per qualcuno, con un chiaro intento celebrativo, eppure non mi paiono spazzatura. Certo, molte opere “on demand”, celebrative, facevano schifo, ma non mi pare che il sistema delle case editrici, ora come ora, di per sé protegga il lettore dal pericolo di acquistare opere ignobili.
    Quanto all’idea che uno scrittore che passi per una casa editrice sia disinteressato alla reazione del pubblico, mentre uno che pubblichi in proprio sia schiavo dei gusti maggioritari, mi pare bizzarra. Genna ha pubblicato in proprio Medium, il suo romanzo forse meno “commerciabile” e più disturbante, con buon successo. D’altra parte, già ora i progetti più innovativi, letterari e narrativi in generale, in tutti i media, anche quelli che passano attraverso le Major, vivono in stretta simbiosi con la comunità di lettori e di “fan”.
    Piuttosto, forse, il rischio è l’assenza di una funzione di filtro, l’editing e la selezione garantite da una buona casa editrice. Ma anche qui, perché non potrebbero essere supplite da funzioni analoghe, esercitate in modo virale, dalla comunità dei lettori? In fondo, la letteratura mondiale ha fatto a meno per millenni delle case editrici, affidandosi al gusto e alla capacità di selezione della comunità dei letterati e dei fruitori.

  9. Non so. Perché allora Mondadori, Rcs, Messaggerie e altri stanno costruendo a Stradella (PV) 180.000 metri di capannoni per logistica editoriale? Un complesso monumentale e impressionante…
    Boh, non è che si sta facendo troppo terrorismo psicologico?
    Il libro di carta non morirà mai. E l’avvento dell’e-book sarà un dono per tutti quegli editori che nella loro produzione uniscono qualità e sapienza nella scelta delle confezioni, delle carte e dell’oggeto… Non voglio tornare alla solita querelle sulla “qualità” che vuol dire tutto e niente e che lascia il tempo che trova per quanto riguarda i contenuti. Per quanto riguarda i processi produttivi del libro, la scelta dei materiali e della veste grafica è innegabile che le piccole “umane”, “artigianali” produzioni hanno molto da insegnare alle rotative da 160 pagine al minuto.
    Secondo me la battaglia dei prossimi anni sarà quella di tornare – anche nel mondo libro – ad un concetto di produzione più umana. I grandi colossi della stampa libri – Mondadori ha ceduto la divisione printing prima del salto nel vuoto di questi anni di crisi – sono tranne rari casi in crisi. Produzioni forsennate, triature insostenibili, sovrasconti quantità inimmaginabili sulle bobine di carta, la sovraoccupazione di questi anni e il conseguente e drammatico ridimensionamento di questi anni, sta portando e porterà sempre più alla chiusura di tante aziende di stampa ed editoriali che hanno investito miliardi (e si trovano a pagare leasing insostenibili) su macchinari e tecnologie che ora, sì, tramite l’ebook e il suo successo, sono sì in grave pericolo. Questo è il baratro. Il baratro non è l’estinzione del libro cartaceo, ma la sovrapproduzione forsennata di questi anni “cartonati”. A noi piccoli, la crisi ha consentito di ritornare ad un concetto di libro molto più “domestico”. Consentendoci di fare ricerca e qualità a prezzi accessibili e competitivi.
    Dunque benvenga l’ebook, sicuramente meno dannoso per l’ambiente e indolore. Ma lunga vita al libro di carta come oggetto d’eccellenza e d’arte nella compatibilità e nel pieno rispetto dell’ambiente.

  10. Beh ci sono migliaia di sviluppi possibili, ad esempio case editrici che si sono adeguate e riescono a seguire il nuovo sistema, oppure professionisti a cui l’autore si può rivolgere prima della pubblicazione o il sito stesso di distribuzione che se ne preoccupa (stile editore) e comunque tutto quello che va ad aumentare la qualità del prodotto va ad aumentarne anche le vendite, quindi resta nell’interesse dell’autore che il suo libro venga curato il più possibile, altrimenti piacerebbe di meno, venderebbe di meno..

  11. Forse stiamo confondendo l’attività dell’editore con quella dello stampatore. L’editore è (o dovrebbe essere) colui che promuove un libro, lo fa recensire, lo fa conoscere. Questa funzione potrebbe rimanere valida anche nel caso dell’ebook, non so in quali forme (ma perché no?).

  12. però riccardo il caso portato all’attenzione dimostra che un libro può fare a meno dell’editore e fare incassare soldoni all’autore a prescindere da esso. Quindi il dubbio resta proprio su quell’attività di affinamento qualitativo che in teoria un editore dovrebbe seguire e che spesso o è fatta male o è fatta seguendo logiche come minimo discutibili.

  13. Io Konrath non lo conosco, e dall’articolo non si capisce se fosse conosciuto o meno nell’ambiente già da prima che iniziasse a vendere senza mediazioni. E però mi sembra il punto centrale: se tutti vendessero direttamente i propri libri su kindle, esordienti compresi, come farebbe il lettore a orientarsi e selezionare? E chi seguirà gli autori meno esperti?
    “Qualcosa” che assolva a questi compiti dovrà esserci, sarà intrigante vedere cosa..

  14. Segnalo, parzialmente in tema, un articolo di Leon Wieseltier, su «The New Republic» del 12 febbraio, sulla “proletarizzazione” di molti giovani scrittori e giornalisti sulla scia della rivoluzione digitale, soprattutto in riferimento alle collaborazioni ai siti web, pagate — dice lui — poco o niente. Wieseltier cita un recente articolo di James Rainey, sul «Los Angeles Times», «about the reality of the contemporary freelancer: “what’s sailing away, a decade into the 21st century, is the common perception that writing is a profession–or at least a skilled craft that should come not only with psychic rewards but with something resembling a living wage.” Is this really what we want?». Subito dopo, però, aggiunge una nota anche sul mondo dei libri. Con l’avvento degli ebook, a suo avviso «a similar indecency is taking place in book publishing. Laud the Kindle all you want, but who will pay the advance for the novels and the histories that you will cop for $8.99, without which they cannot be written? Not Amazon. A literary agent in New York was recently heard to remark that $30,000 is the new $100,000, and it takes years to write a book. Forward-looking thinkers explain that the money that the publishing houses, or their corporate proprietors, save by printing fewer physical copies will make up the difference; but anybody who believes that those savings will be restored to the primary mission of the editors and the publishers does not understand a thing about the corporate temperament, especially in the aftermath of a panic. No, nausea is in order.» Quindi, sul tavolo dei pro e contro degli ebook, va probabilmente messo anche questo discorso degli anticipi. In ogni caso, anche i commenti all’articolo di Wieseltier sono variegati.

  15. Saltato il nome nel commento precedente.
    E non consideriamo il fatto che un libro digitale sarà di gran lunga più facile da ‘correggere’ di un brano musicale…

  16. Fresco fresco, un altro articolo in tema, per giunta anche abbastanza ottimista: sul numero in uscita della «New York Review of Books», Jason Epstein con Publishing: The Revolutionary Future. In buona sostanza, Epstein sostiene che per l’editoria si profila un cambiamento tecnologico di diversi ordini di grandezza più grande della rivoluzione gutemberghiana:
    «Gutenberg’s technology was the sine qua non for the rebirth of the West, as if literacy, scientific method, and constitutional government had been implicit all along, awaiting only Gutenberg to throw the switch. Within fifty years presses were operating from one end of Europe to the other, halting only at the borders of Islam, which shunned the press. Perhaps from the same fear of disruptive literacy that alarmed Islam, China ignored a phonetic transcription of its ideographs, attributed to a Korean emperor, that might have permitted the use of movable type.
    The resistance today by publishers to the onrushing digital future does not arise from fear of disruptive literacy, but from the understandable fear of their own obsolescence and the complexity of the digital transformation that awaits them, one in which much of their traditional infrastructure and perhaps they too will be redundant.»
    Il futuro, comunque, potrebbe essere roseo soprattutto per piccoli e nuovi editori, perché:
    «The cost of entry for future publishers will be minimal, requiring only the upkeep of the editorial group and its immediate support services but without the expense of traditional distribution facilities and multilayered management. Small publishers already rely as needed upon such external services as business management, legal, accounting, design, copyediting, publicity, and so on, while the Internet will supply viral publicity opportunities of which YouTube and Facebook are forerunners.»
    Quanto agli autori, gli anticipi potrebbero essere erogati da «external investors hoping for a profit, as is done for films and plays».
    E accanto alla «devolution from complex, centralized management to semi-autonomous editorial units is already evident within the conglomerates (for example, Nan A. Talese at Random House and Jonathan Karp at Hachette)», ci saranno gli autori di best-seller che «with the help of agents and business managers, will become their own publishers, retaining all net proceeds from digital as well as traditional sales».
    Etc. etc.

  17. BREAKING NEWS!!!!
    http://www.nytimes.com/2010/02/22/business/media/22textbook.html?ref=books
    Insomma, incomincia ad affacciarsi la possibilità del nuovo, eccitante sviluppo del libro: la possibilità di ‘correggere’ e ‘migliorare’ i libri da parte dei lettori.
    Finora ci si era concentrati sulla possibilità per autori ed editori di ‘correggere’ libri già esistenti o adirittura già venduti a distanza: ora questa possibilità si estenderà anche ai lettori. Ogni volta che un lettore deciderà che una tesi sostenuta in un libro da un autore autorevole è ‘sbagliata’ potrà ‘correggerla’ e farla circolare ‘giusta’ ma sempre con sfruttando l’autorevolezza dell”autore’. Se un ‘autore’ decide, in base ad antiquati canoni estetici, di far finire una ‘storia’, magari facendo morire l”eroe’ i lettori potranno ‘correggere’ il finale facendolo vivere e trionfare con ampie possibilità di seguiti.
    Insomma, parole come ‘interattività’, ‘contaminazione’, ‘cultura convergente’ diventeranno veramente operative e l’obbiettivo finale della Rete sarà sempre più una realtà: rendere ogni cosa e ogni persona sempre più simile ad ogni altra cosa e persona fino a rendere l’umanità un unico immenso sciame di chiacchiere…

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