BADINTER: CAMBIARE LE PRATICHE

La retorica sul femminile è altissima, in questi giorni. Si tratti di massaggiatrici, madri mancate (ignobile la polemica sull’aborto di Nilde Jotti), candidate “con la marcia in più” (parola di Sgarbi e Berlusconi), le donne vengono usate come armi politiche. Niente di nuovo, certo. Per questo motivo, credo sia interessante leggere l’intervista che la già citata Elisabeth Badinter ha rilasciato a Maria Grazia Meda su D. In questi giorni convulsi è il minimo che, pur affannata, posso fare.

Nei paesi ricchi, un numero crescente di giovani donne sta dimostrando che l’assoluto materno non è poi così assoluto. A modo loro, prefigurano uno stile di vita nuovo, in reazione alla retorica maternalista dominante e all’assenza di forme concrete di sostegno nella cura dei figli, da parte dello Stato ma anche dei padri. È una delle tesi formulate nel nuovo saggio di Elisabeth Badinter Le conflit. La femme et la mère (ed. Flammarion), fresco di stampa e già oggetto di polemiche.
Nota teorica del femminismo, la filosofa francese esplora la profonda crisi d’identità della donna contemporanea, combattuta tra il desiderio di maternità e il bisogno di realizzarsi professionalmente. Sottolineando come nella nostra società, che mette i figli al centro di tutto, i doveri della buona madre non coincidano con gli interessi della persona realizzata.

Non crede che le donne siano corresponsabili di questa contraddizione, continuando a farsi carico in via esclusiva della cura dei figli?
“È difficile fare altrimenti: l’ideologia dominante confina le donne in quel ruolo, colpevolizzando chi esce dai ranghi. La grande novità, a mio parere potentissima, è che oggi esiste una scappatoia: non avere figli”.
Le childfree pongono una nuova domanda al femminismo.
“Childfree o childless, sono donne totalmente nuove, che prefigurano uno stile di vita e di coppia inedito. Mostrano alla società che si può avere un’esistenza pienamente realizzata senza figli. E questo è un vero shock”.
Perché?
“Quando il 20 per cento delle donne fertili – e le cifre Usa suggeriscono che stiamo arrivando al 30 – decide di non fare figli, viene messa in discussione l’essenza della femminilità”.
Secondo lei sono le pioniere del nuovo femminismo?
“Costruiscono una nuova identità femminile che non ha bisogno della maternità per definirsi. E questo costringe le donne e la società a ribaltare il punto di vista di fronte a una nuova concezione della libertà”.
Secondo recenti indagini, le donne che hanno almeno il diploma sono poco inclini ad avere figli. C’è una correlazione tra status e rifiuto della maternità?
“Potremmo immaginare uno scenario orwelliano dove le meno abbienti e meno istruite troveranno nella maternità l’unica possibilità di realizzarsi. Penseranno: piuttosto che fare un lavoro alienante mi dedico al più bel mestiere del mondo. Ma è uno scenario che fa paura, e spero non si realizzerà”.
Lei dice che le childfree sono le sole a riflettere sulla maternità…
“Sono le prime donne nella storia dell’umanità a riflettere seriamente sulle implicazioni e le conseguenze di questa scelta. E si astengono. Trovo più stupefacente che la società trovi normale il non riflettere: la più isterica, pericolosa, irresponsabile delle donne fa un figlio e nessuno si stupisce”.
Auspica un principio di precauzione sul desiderio di maternità?
“Perché no? Ci vorrebbe un dibattito pubblico sulla necessità di riflettere seriamente su una decisione irreversibile che ti cambia la vita per sempre”.
Nel libro sottolinea la sofferenza delle donne di fronte a certe scelte.
“C’è una fortissima contraddizione tra la retorica sulla gioia suprema della maternità e il fatto che la società tratti le madri come paria. Non solo sono malviste sul lavoro, ma socialmente diventano invisibili. Non a caso oggi molte giovani donne, vedendo le amiche trasformarsi in mamme al cento per cento, schiave del bebé, cambiano idea e decidono di aspettare. Ecco la contraddizione: tutto le spinge a desiderare un figlio, ma razionalmente sanno che è una trappola”.
Non in Francia, dove si registrano la più alta natalità d’Europa e un tasso d’occupazione femminile elevato.
“L’esempio della cattiva madre francese è interessante”.
Cattiva?
“Nel senso che non segue ciecamente i precetti della pedopsichiatria moderna. La donna francese affronta la maternità con una certa nonchalance, anche perché qui, contrariamente che in altri paesi, nessuno oserebbe criticare una donna che non allatta e che manda i figli molto piccoli all’asilo nido. Ma anche in Francia le cose si fanno difficili: cominciano a mancare le strutture pubbliche, e purtroppo non sento più una rivendicazione chiara da parte delle donne di una partecipazione dello Stato e dei padri nella cura dei figli”.
Sono cambiate le priorità: ora vogliamo sfondare il soffitto di cristallo.
“Ha notato che fare una bella norma sulle quote rosa in parlamento o nei CdA non costa nulla? I politici fanno bella figura e le donne pensano di aver vinto una battaglia. Poi a casa, nel quotidiano, non cambia niente”.
Qual è il nuovo discorso femminista?
“C’è un grande silenzio, perché tutto quello che poteva essere ottenuto con una legge è stato ottenuto. Adesso si tratta di cambiare le mentalità e le pratiche, soprattutto nel privato”.
Da qui la mancanza di nuovi modelli forti?
“Già, ormai cadiamo in estasi di fronte a Laetitia Casta col pancione sulla copertina di Paris Match. I media esaltano tutte queste dive incinte, rafforzando un’ideologia strisciante secondo cui la vera realizzazione passa attraverso la maternità. Ecco i modelli che proponiamo alle nuove generazioni: la donna realizzata nella maternità oppure la vittima”.
Si spieghi meglio.
“L’8 marzo è diventata la festa delle vittime, delle oppresse, delle escluse. Celebriamo le vinte e non le vincitrici. Insomma, insegniamo alle ragazzine a proteggersi dal mondo, invece di spronarle a dominarlo”.
Uno dei divari tra uomini e donne è nel modo di proiettarsi nel futuro.
“Gli obiettivi maschili sono omogenei: qualsiasi uomo punta ai soldi, al potere, allo status. Mentre le donne hanno interessi e obiettivi conflittuali, che spesso non convergono. Ecco un freno formidabile al femminismo”.
Lei sostiene che l’obiettivo più importante per una donna è l’indipendenza economica assoluta: non la ritiene una questione superata?
“Al contrario, va ribadita continuamente: abbiamo perfezionato i grandi discorsi sulla parità e una retorica inquietante sulla maternità, ma nessuno parla più di vera indipendenza economica. Non sproniamo pubblicamente le giovani a farne il principale obiettivo. Il risultato è una moltitudine di donne preparatissime che accettano lavori part-time, sottopagati. Si precarizzano da sole con il più indifendibile degli argomenti: così posso occuparmi dei bambini. Conosco trentenni brillanti che decidono di avere un figlio e smettono di lavorare per tre anni: una follia!”.
Bisogna ragionare in termini di coppia: il reddito più elevato è in genere quello del compagno.
“E se lui perde il lavoro? Se si separano? Il messaggio che dovremmo difffondere incessantemente è l’indipendenza economica assoluta; un discorso assente nel dibattito pubblico”.
Stando alle recenti indagini, le donne sono sempre più infelici.
“Non mi stupisce: è come se stessimo correndo i cento metri con una tonnellata sulle spalle. Se vogliamo essere madri perfette e realizzarci professionalmente, la vita diventa un inferno”.
Insomma, il vero ostacolo alla parità non è il sessismo ma la maternità?
“Se deve adempiere al ruolo di madre perfetta imposto dalla società – allattare a tempo indefinito, non affidare il bambino a una baby sitter, accettare un lavoro part-time per seguirlo nel quotidiano, insomma mettersi al suo servizio – non vedo come una donna possa trovare il tempo per realizzare altre aspirazioni. Indipendenza e parità non si costruiscono con le leggi: sappiamo che la radice delle diseguaglianze non è sul posto di lavoro ma in ambito domestico. Le quote rosa non hanno mai intaccato le differenze, meno che mai le disparità di stipendio”.
Quale consiglio darebbe a una trentenne?
“Non lasciare per nessuna ragione il lavoro ed essere indipendente economicamente. Per il resto, fare quello che le pare”.

73 pensieri su “BADINTER: CAMBIARE LE PRATICHE

  1. Il punto è che l”estinzione della razza umana’ paventata da alcuni per il rifiuto delle donne di far figli è un fenomeno mondiale, visto che da decenni gli indici di fertilità scendono. Banalmente, quasi ovunque si fanno meno figli, anche in culture dove il femminismo non esiste.
    Se la genitorialità e la centralità della riproduzione sono cardini essenziali della vita umana allora come si spiega che, non appena ce n’è la possibilità, si fanno meno figli? E la possibilità di fare meno figli da cosa è data?
    Insomma, non è perchè ci siano delle idee ‘sbagliate’ che si fanno meno figli: è perchè, data la possibilità, uomini e donne ne fanno meno senza che nessuno li costringa e vivono MEGLIO. Se temete che ciò porti all’estinzione della razza umana o anche solo dell’Occidente dovrete sbrigare a fare qualcosa di drastico, tipo un ritorno al livello tecnologico del 1850.

  2. @Sascha Mah se mai si fanno meno figli la dove non c’è la possibilità di farli: vedi tenersi il lavoro, non c’è più tempo, al giorno d’oggi costano parecchio ecc. Appena c’è la possibilità si fanno i figli, quando non c’è non si fanno. Almeno in generale..
    Difatti mi pare che fino a gli anni ’80-’90 la popolazione fosse in aumento, evidentemente è lo stile di vita subentrato dopo che ha cambiato le cose.
    Quindi non è la tecnologia ad influire sulla natalità, suppongo che siano il lavoro precario etc etc…
    Non ci sarà mai un estinzione della razza umana per questo motivo era solo un argomento per assurdo uscito sopra.
    La tecnologia con la natalità proprio non centra nulla anzi se mai la favorisce poiché dovrebbe rendere la vita più semplice, ad influire in negativo è la precarietà del lavoro, ristrettezze economiche, costo della vita e mancato supporto dello stato.
    Non capisco proprio proprio perché parli di “possibilità di fare meno figli” quando si tratta di impossibilità a farli. o.o

  3. ah ho letto ora zauberei che appunto porta un esempio
    “sentire delle amiche che hanno per esempio 2 figli e sentir loro dore che lo farebbero un terzo figlio ma il mondo lavorativo glielo impedisce.”
    vedi si vorrebbero i figli ma non ce ne è la possibilità quindi si deve rinunciare!
    dire “non appena ce n’è la possibilità, si fanno meno figli” è completamente sbagliato ç_ç

  4. meno figli non è come non fare figli.
    Io ho detto che per me fare un figlio è stato bellissimo – che ne farei un altro, che ne so artri due! Mica nove. Il salto è nella genitorialità ne basta uno solo ed è bello che fatto.

  5. Non sono fautrice dell’istinto materno obbligatorio nè del fatto che la realizzazione debba passare per tutti/e tramite la genitorialità.
    Però mi turba molto questa intervista.
    Insomma, che la maternità o la non-maternità sia una scelta consapevole e non forzata da condizionamenti culturali per un numero crescente di donne non può che farmi felice (come mi fa felice se chi decide di essere madre non si lascia colpevolizzare e tirare dentro in modelli di madre perfetta ecc. ecc.). Se dunque questo è il punto, gaudeamus.
    Però nell’intervitsa mi sembra ci si riferisca largamente a donne che rinunciano alla maternità NON perchè non fa per loro, ma perchè si rendono conto che, nella attuale società ostile, fare figli renderebbe loro la vita molto, troppo difficile (“si accorgono che è una trappola”): in tali casi faccio fatica a considerare questa “scappatoia” come una conquista, come un passo nella direzione della realizzazione personale come esseri completi. Mi sembra più una rinuncia di fronte al prezzo altissimo da pagare, che sempre più donne, giustamente, non vogliono pagare più. Quindi se si tratta di rinunciare per difficoltà a una cosa che invece non si disdegnerrebbe in condizioni più favorevoli, non lo vedo tanto diverso dalla posizione di chi, pur desiderando continuare a svolgere una professione gratificante, invece vi rinuncia perchè difficilmente conciliabile con gli impegni familiari. Forse è un passo avanti, ora le donne possono scegliere a cosa rinunciare con maggiore libertà.
    Diciamo che però il mio sogno di emancipazione sarebbe più simile alla realtà francese (citata brevemente anche nell’intervista), dove l’alta natalità è compatibile con un ruolo preminente delle donne nel lavoro e nella società, e dove mi pare dunque ci sia meno rinuncia e più realizzazione.
    Per il resto mi ritrovo molto nelle consderazioni di Zauberei.

  6. loredana: offensivo? e cosa avrei detto? che la filosofia di badinter implica la rinuncia delle donne a una parte di ciò che piaccia o no sono? Abbiamo concezioni dell’offensivo differenti. La battuta sull’estinzione è data anche dalla cifra 30-40% tirata fuori, non mi pare una percentuale piccina.
    simona io non ho detto che le donne “devono” fare figli ma che l’essere madri per voi come l’essere padri per noi è parte di ciò che siamo e se vi rinunciamo, rinunciamo a un pezzo importante di noi. Se tu non fossi dittatoriale nemmeno tireresti fuori l’ipotesi della galera per chi esprime opinioni differenti dalle tue.
    wan non considero i figli lo scopo della mia vita, i figli a un certo punto andranno via, se li fai diventare lo scopo della tua vita a un certo punto resterai senza scopo. Ma sì assolutamente uomini e donne sono per me su un piano assolutamente paritario in questo rapporto con maternità e paternità.
    sascha: solo una cosa tu dici che non si fanno figli non appena se ne ha la possibilità, ma io ti potrei ribattere che proprio il mondo del lavoro odierno rende al proletariato (se ancora ha un senso usare questa parola) avere figli. Quindi il nostro sistema di vita e non la tecne è impedimento al fare figli. Non ce li possiamo permettere detto in soldoni.

  7. Cito: “se badinter ragiona e può ragionare come fa adesso non è per suoi meriti assoluti, ma perché dopo secoli s’è arrivati a una concezione di donna non schiava (fatto che le permette di fare la femminista)”.
    Spero che tu ti renda conto della piccineria insita in questa frase: mi sono sempre battuta per l’uno-a-uno della rete. Ma parlare in questi termini di una donna di grande cultura e grande coraggio mi fa cadere le braccia. Non dico altro.

  8. @loredana: ho detto che badinter non sia una donna di cultura? che non abbia coraggio? No. Dico che c’è stato un progresso, e che se un filosofo può proporre certe tesi è anche merito di questo movimento della storia. Se questa è piccineria onestamente non lo so e nemmeno mi interessa. Mi pare una constatazione, poi uno può essere o no d’accordo con la badinter, io non lo sono, credo che la libertà delle donne si possa esprimere in altri modi che non nel non fare figli e soprattutto si possa esprimere insieme agli uomini e non contro o separatamente da.

  9. Io personalmente:
    sono stufa, strastufa, arcistufa di ascoltare donne che parlano di figli. Ovunque, in sala d’aspetto, dal parrucchiere, per la strada, al telefono. Mi allibisce ‘sta cosa, che sono sempre in gara a chi si sbatte di più per pargolo (dei padri, di solito, non fanno menzione, il piatto forte è la scuola e le insegnanti).
    Mi chiedo se è “normale”, ecco… (è normale?)
    E io detesto i bambini! Soprattutto i piccoli mostri che strillano al supermercato.
    Quando sento ‘sta storia che a un certo punto a una gli arriva ‘sto desiderio irresistibile di maternità mi perplimo – e mi preoccupo un pochino: oddio, sarò mica un mostro, che di farne uno a me manco per il cacchio che mi passa per il cervello?
    Sarà perché da piccola giocavo con i trasformer e i micronauti invece che la barbi? (però la bambola patatina ce l’avevo, mi divertivo a fargli le punture… infatti s’era riempita d’acqua e stava marcendo)
    Sarà che non ho ancora incontrato l’omo giusto (cioè quello che poi se li puppa lui)?
    Insomma è obbligatorio che a una gli piacciono i bambini, e se no cià qualcosa che non va.
    Mah.. 😉

  10. Chiarisco una cosa sulla mia posizione dialogando con Francesca Violi, perchè non so se lei si riferisse a me o magari in generale. Io non credo che una donna o un uomo si realizzi solo con la genitorialità – ho fatto un figlio a 36 anni sonati per un calcio in culo e posso dire, anche per aver fatto un discorso approfondito per la mia formazione, che stavo na pasqua senza figli. Faccio un altro discorso, di come dire consapevolezza psichica e inconscia oltre che conscia, che l’argomento figli per nessuno si restringe a natalità, urla di pargoli al supermercato e pigolio sui pannolini. Queste sono cose spacciate per sostanze, ma sono solo vestitini da metterci sopra, la cui qualità dipende dalle risorse a disposizione e disgraziatamente dalle risorse che la società mette a disposizione.
    Per il resto, esistono anche moltissime madri che sanno parlare di un mucchio di cose – non bisogna neanche esagerare, se no si finisce per pensare che noi qui che discutiamo di questa cosa siamo una chi sa qual razza superiore. Alla pressione culturare che semplifica la genotorialità e mette la femminilità sottoscacco corrispondono anche molti individui che cercano un posto.
    (poi certo nun ze trova)

  11. @zauberei: intendevo dire che sono d’accordo sulle considerazioni sulla genitorialità che hai fatto in questo post. Inoltre, parlando di esperienze personali, mi ritrovo abbastanza nel tuo percorso per arrivare a figliare (e sono già a quota due!). Ma soprattutto mi ritrovo in questa frase:
    “Sono fulminata da questa esperienza emotiva e intellettuale. ”
    Per me la maternità ha rappresentato un momento di messa in discussione della percezione che avevo di me stessa come donna, del rapporto col mio corpo, con la famiglia d’origine, del mio ruolo nella società, e l’esplorazione di un mondo nuovo di relazioni e emozioni. Insomma un’occasione di maturazione e crescita, proprio il contrario del sentirsi ridotta a incubatrice/nutrice/badante bebècentrica.

  12. L’intervento di E. Badinter è radicale e può apparire estremo ma penso che non sia solo il risultato di una riflessione teorica ( se fosse così peccherebbe, forse, di astrazione) : dentro ci sarà anche il rapporto con la società francese, ci sarà la sua esperienza personale di madre e di donna che lavora , che non ha voluto fare delle rinunce, pur sapendo che avrebbe pagato un prezzo alto cercando di realizzare più di una possibilità. Probabilmente il suo è un discorso a favore di una donna che ritiene di potere essere completa : è un discorso difficile da comprendere, non perchè sia “alto”, anzi forse è tanto “normale”, tanto “equilibrato” da stupire. Non mi riferisco , cioè, alla valorizzazione delle childfree ma all’invito alla riflessione, a non trascurare una realizzazione più piena, a non considerare come naturale un modello che, per essere secolare, non è , per questo, automaticamente naturale. E che i figli non siano generati solo dalle donne mi sembra ( almeno questo) secolare e naturale. Nasciamo da un padre e da una madre, da due persone.

  13. Anche a me è piaciuta molto la frase di zauberei “sono fulminata da quest’esperienza emotiva e intellettuale”. Trovo che renda molto bene l’idea. Personalmente non metto in dubbio che diventare madre, e padre, sia un’esperienza sconvolgente e meravigliosa. Però non è l’unica esperienza sconvolgente e meravigliosa che può capitare nel corso di un’esistenza. Si possono salvare vite umane nel corso di un’esistenza, in tanti modi. Ci si può muovere per il mondo e entrare in contatto con culture così diverse da noi da obbligarci a ribaltare il nostro punto di vista su noi stessi e sulle cose. Si possono intraprendere viaggi pericolosi e affascinanti al centro di noi stessi, e invecchiare conoscendoci davvero. Ci si può ubriacare di arte, di vita, di cultura, di amore. Si possono condividere con altre persone passioni e valori così potenti da investirci una vita intera e morire soddisfatti di cosa si è dato al mondo. Ciascuno sceglie la sua vita, e il suo modo per realizzare sé stesso/a. E nessun modo è migliore di un altro. Trovo onestamente fastidioso, e anacronistico, che nel 2010 siamo ancora qui a pensare a un percorso di vita obbligato per tutti/e, come unica fonte di completezza e felicità profonda, e chi ne è fuori perché sceglie altro viene visto come condannato a accontentarsi, in una sorta di omologazione della felicità o della pienezza esistenziale. Quante esperienze profonde e sconvolgenti si possono fare nel corso di una vita? Chi ha stabilito che avere figli debba essere un’esperienza imprescindibile, soprattutto per le donne, mentre altre no? Con quanta arroganza ci si può arrogare il diritto a definire una vita altrui più o meno piena, più o meno completa, usando come metro di paragone la propria?
    Capisco perfettamente che per secoli questo diktat culturale è stato funzionale al patriarcato. Quello di cui non mi capacito è che tuttora ci siano donne e uomini emancipati che innalzino la genitorialità a una sorta di conditio sine qua non per uscire dalla condizione di mezze donne o mezzi uomini, o di una presunta incompletezza. Io non lo so se vorrò avere figli, a volte ho pensato di sì, a volte credo di no. Quello che sono certa di non volere, invece, è il sentirmi obbligata a desiderarli perché è l’unico modo per essere felice. Come se tutto il resto non avesse importanza. Come se la mia vita dovesse improvvisamente essere letta come incompleta o mancante, anche quando sento che non lo è, perché non possiede le features considerate fondamentali, come un pc da aggiornare perché qualcuno ha deciso che serve una nuova funzionalità.

  14. Io credo ASSOLUTAMENTE e TOTALMENTE nella parità tra i sessi. Tuttavia la Badinter arriva a prendere il peggio del femminismo negando la differenza fisiologica tra uomo e donna dalla quale, piaccia o no, non si può ancora prescindere: i figli li fanno le donne e se TUTTE fossero cosi intelligenti e lungimiranti come il tanto esaltato 20% (ma le confortanti statistiche USA dicono che è in aumento) di childfree, il mondo esaurirebbe la sua stirpe umana. E forse non sarebbe nemmeno un dramma….
    Io sono per la libertà di scelta SEMPRE e senza pregiudizi, ma aborro chi pontifica ritenendo la propria opinione/scelta l’unica va veramente valida, ancor di più se ciò vien fatto a suon di stereotipi, cioè esattamente come fa la Badinter riproponendo il più antico stereotipo del genere maschile per criticare quello della maternità sdoganata.

  15. Stranamamma, calmiamoci e abbassiamo le maiuscole. Leggi bene: Badinter dice qualcosa che anche de Beauvoir afferma. Ovvero, che l’istinto materno non è “natura”. L’amore è naturale, non l’istinto. Dunque, la maternità non è una scelta obbligata, per nessuno.

  16. Non posso che essere d’accordo sul fatto che l’istinto materno non sia per forza innato in ciascuna donna e che ciscuna sia libera di scegliere la maternità o meno, ma non si può pensare assolusticamente che solo chi decide di non avere figli faccia una scelta ponderata e intelligente. Negare il fatto che molte madri si siano interrogate ed abbiano fatto una scelta ponderata significa giudicare negativamente chiunque la pensi in modo diverso, senza lasciar spazio ad altri modi di vedere e vivere. Sarà anche provocatorio, ma io diffido sempre da chi si fa promotore di dogmi assoluti siano essi il riflesso di idee antiche o moderne.

  17. Si anche io sono completamente d’accordo sulla non esistenza dell’istinto materno. E concordo anche con certe cose della contestualità sociale che Badinter mette in luce. Pure io sento anche qui un’alleanza segreta tra sessismo e disprezzo della genitorialità.
    Ce ne ho fatto un post oggi – lo segnalo a Loredana e a chi interessasse.
    (Loredana spero che nun te arabbi! Ma questa volta il linkamento del post tuo mi veniv antiestetico! ma te rilinko alla prossima giuro! E tii ringrazio perchè mi dai sempre begli spunti di riflessione)

  18. La mia prof di antropologia disse un giorno seccamente: l’unico istinto nell’animale uomo è quello della suzione nel neonato. Ma sarebbe stata altrettanto secca nel negare una naturalità dell’amore…

  19. Non ho mai fatto molto caso alla divisione dei compiti tra madre/padre nella mia famiglia. Forse mi mancava il distacco necessario. Ma da quando ho cominciato a lavorare come babysitter per molte famiglie, ne ho viste di tutti i colori. Quello che dice la Badinter -cioè che le donne decidono di non avere figli perchè si rendono conto che è una trappola- è assolutamante vero. Perchè per quanto riguarda l’educazione dei figli, i tempi non sono affatto cambiati. Gli uomini considerano ancora occuparsi dei figli come un compito da donne: mamme, nonne, zie – e per chi se la può permettere- babysitter. Il fatto che ogni tanto cambino un pannolino non cambia la realtà che 9 volte su 10 non sanno quasi niente della scuola, degli impegni della giornata dei figli, dei loro amici, degli insegnanti, dei problemi ecc…Semplicemente non gli passa neanche per l’anticamera del cervello che anche loro dovrebbero occuparsi dei propri figli. Con le altre tate ci diciamo spesso che i padri sembrano aver deciso di aver figli, perchè a una certa età è nella “natura delle cose”, senza pensare, senza essere conscienti che crescere un figlio è una cosa seria. Bella, ma estremamente impegnativa e delicata. In un certo senso è come se anche loro fossero dei bambini. Incoscenti e irresponsabili. Diverse mamme per cui lavoro ricorrono alla babysitter solo perchè non ne possono fare a meno. Ma si capisce benissimo che, se potessero, starebbero a casa con i bambini. Ogni volta che me ne accorgo penso : sono pazze. Le vedo che tornano tutte trafelate dal lavoro e, mentre faccio il resoconto della giornata dei figli, comininciano a preparare la cena mentre il marito, in salotto, cazzeggia al computer. I bambini guardano la tv e il padre neanche li considera. E vi stupite se le donne preferiscono non avere figli? Quando è tutto sulle loro spalle?

  20. semplicemente credo che la tesi della banditer si possa accogliere in tutta tranquillità se la si legge da questo punto di vista: chi vuol esser madre sia e viceversa; ciò che non è per tutti è la capacità di svincolarsi mentalmente dal fardello della consuetudine culturale ovvero del fare i figli perchè così va il mondo. si può amare l’umanità del futuro anche se non l’abbiamo partorita noi. il fatto è che l’egoismo innato dell’umana specie ci impedisce di fare ciò. si preferisce amare incondizionatmente solo qualcuno (ma più frequentemente qualcosa) di cui ci sentiamo psicologicamente proprietari. non bisogna rinunciare alla propria indipendenza economica perchè fondamentalmente l’essere umano è solo nella sua vita. alla fine è sempre con te stesso che fai i conti in tutti i sensi. non ho paura che altre culture possano sterminare una certa razza occidentale o che so io. ho paura piuttosto di quella certa razza. c’è molto da imparare dalle culture altre. buoni figli a tutte!

  21. io amo la badinter, e trovo che il differenzialismo si sia impastato con il peggio del cattolicesimo, con il new age, con la crisi economica che riporta le donne a casa, con i libretti beceri delle donne che vengono da venere gli uomini da marte, con la cattiva scienza e la cattiva medicina, che, se ieri ti strappavano il bambino dal petto in nome dell'”igienicissimo” latte artificiale (era l’epoca in cui le donne cominciavano massicciamente a lavorare fuori casa) oggi negli ospedali ti impongono l’attaccamento al seno del neonato anche se hai le ragadi o ti fa schifo (può succedere, una volta ottime madri non volevano allattare e lo consideravano normale) minacciandoti, se non lo fai, un figlio malato, psicopatico, depresso.E noi ci siamo cascate.
    cos’è la natura è difficile dirlo. chi ha esperienza di montagna sa che le mucche al primo parto spesso abbandonano i vitelli per lo spavento, il dolore e la fatica, e tocca all’allevatore rimetterli insieme. cento anni fa una donna che lavorava era contronatura. e l’omosessualità allora? il discorso naturale è sempre vischioso.
    la verità è che le madri di oggi,non nascondiamoci dietro un dito, sono una pessima pubblicità per il prodotto-bambino. oh, certo, non metto in dubbio che siano felicissime del figlio. ma la loro vita, molto spesso, non sorride. vedo dappertutto madri infelici, nevrotiche, angosciate.perché? questo non succedeva trenta anni fa, quando le donne ritenevano che il futuro sarebbe stato segnato dal loro riprendersi in mano il mondo. il mondo, intendo, quello di fuori. Io uso gli assorbenti di stoffa e se avessi un figlio di sicuro userei i pannolini di stoffa, ma non cambia la faccenda. le argomentazioni della badinter possono essere contestabili se prese una per volta, ma certo è vero che attraverso questo postulare il ritorno delle donne alla loro “naturalità” di madri si sta decidendo la loro schiavitù. io di donne scimpanzé ne vedo, e molte. solo che gli scimpanzé mi sembrano complessivamente più soddisfatti della loro vita.
    io non voglio dare risposte specificamente femminili: non mi interessa. prima di essere donna voglio essere persona. prima di essere madre vorrei essere genitore.
    ma siccome non è più possibile, la società ci riporta a strattoni in direzione della più elementare, presunta, “naturalità” di essere madre e le donne, un po’ per convinzione, un po’ per suggestione, un po’per vessazione, dicono di esserne addirittura contente, pazienza.non lo sarò.

  22. sono daccordissimo con Badinter e anzi sottolineo come nella mia esperienza di amiche, sorelle etc. che hanno avuto figli, si tratta nella maggior parte dei casi di donne che rinunciano a realizzarsi professionalmente e socialmente e ripiegano sulla famiglia, salvo poi ritrovarsi piantate e madri single, anche perche’ una donna non realizzata socialmente e’ necessariamente una donna frustrata. e quindi una compagna e madre frustrante. la maternita’ puo essere meravigliosa se ben bilanciata da una realizzazione individuale, altrimenti si trasforma in una gabbia. numerosi soprattutto in una societa’ ipocrita e conformista come quella italiana i casi di genitorialita’ data per scontata, per attenersi a aspettative altrui, e i conseguenti disastri. avere “desiderio” di maternita’ (o paternita’), come giustamente sottolinea badinter non e’ condizione sufficiente a creare una famiglia equilibrata e soddisfacente. anche le e gli isterici (anzi, spesso soprattutto questi) pretendono di possedere un “forte desiderio” di riprodursi. cio’ non garantisce la capacita’ di creare coppie e famiglie che funzionino. lo stesso vale per gli uomini, che spesso diventano padri in modo non riflettuto , al pari delle donne. e creano poi situazioni invivivibili (da cui le migliaia di separazioni con figli in fasce), con la differenza che gli uomini difficilmente sono disposti a rinunciare al loro status economico e lavorativo , una volta diventati padri, facendone ricadere il peso quotidiano su donne nevrotiche e frustrate.

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