UN CIRCOLO NON HA UN CAPO: QUALCHE RIGA SU DUNE E FOUNDATION

Dunque, ho visto al cinema Dune di Denis Villeneuve, da Frank Herbert, e ho visto le prime due puntate di Foundation, di David S. Goyer, da Isaac Asimov. Il primo scritto nel 1965, il secondo (parliamo del primo romanzo in ordine cronologico del Ciclo delle Fondazioni) del 1951. Cosa hanno in comune? Intanto, sono due splendide trasposizioni: naturalmente diverse fra loro per destinazione (grande schermo e televisione) e dunque ritmo e poetica. Simili nella fedeltà al testo originale, o quasi, ma di ciò occorre tacere. Quel che non viene tradito è lo spirito dei libri, e anche la loro visione di futuro: nei due casi, la tecnologia è prima un’opportunità e poi un problema. La storia di Dune inizia avendo alle spalle un evento che Herbert chiama Jihad Butleriano, e che è quel che sembra: una guerra contro l’intelligenza artificiale guidata da Serena Butler, che si ribella allo strapotere dei computer pensanti affidando poi agli umani (Mentat e Bene Gesserit soprattutto) la capacità di calcolare e prevedere con i soli poteri della mente. La storia delle Fondazioni inizia con la fiducia assoluta nella scienza e nella psicostoria di Hari Seldon, che attraverso l’utilizzo di statistica, psicologia e soprattutto funzioni matematiche, ritiene di poter non fermare, ma abbreviare, il lungo periodo di oscurità che seguirà al crollo dell’Impero. Salvo poi veder scompigliare ogni previsione da una variante in carne e ossa e dunque non prevedibile,  il mutante chiamato il Mulo.
SEMISPOILER
Credo di avere una spiegazione per il finale del secondo episodio di Fondazione. E secondo me si lega all’ultimo libro di quella che all’inizio era una trilogia. Mi taccio.
FINE DEL SEMISPOILER

Mi colpisce, e credo colpisca molti, che due grandi saghe della metà del secolo scorso trovino oggi nuova vita. Mi colpisce non, come è stato scritto da molti, per l’attualità di alcune problematiche affrontate già allora (geopolitiche e ambientali e tecnologiche). Mi colpisce un fattore, in realtà, che è quello che dava il senso stesso alla letteratura di fantascienza. Quello che sarebbe emerso nell’ultimo ventennio del Novecento e che avrebbe sì dato vita a una grande produzione letteraria e cinematografica, ma avrebbe segnato uno spartiacque. Ovvero:
“Bisogna guardare ai mutamenti sociali venuti a maturazione nello straordinario decennio degli anni Ottanta: la diffusione di un’angoscia planetaria per la sovrappopolazione e il degrado dell’ambiente; l’acuirsi della forbice tra Nord e Sud del mondo e il realizzarsi di una «rivoluzione» del terzo mondo rovesciata rispetto alle previsioni dei marxisti ma non per questo meno sconvolgente, quella dell’emigrazione; il crollo del sistema del «socialismo reale» e la fine, con la crisi del comunismo, di tutte le utopie; l’intrecciarsi schizofrenico fra l’emergere di una cultura integrata su scala planetaria, che chiederebbe anche un governo sovranazionale, mondiale,dei processi, e lo scatenarsi anche sanguinoso dei particolarismi, dei localismi, dei tribalismi,con l’immancabile e triste codazzo delle xenofobie e delle infamie antisemite. In questo quadro si comprende chiaramente che è la stessa nozione di «futuro», una nozione chiave della modernità, sulla quale si basava in larghissima misura la fantascienza, a dissolversi”.
E’ Antonio Caronia, in Risposte a un questionario sulla fantascienza. E’ il 1992. Non che scrivere fantastico non sia più possibile, ovviamente. Mi chiedo però in quale direzione, soprattutto la fantascienza, deciderà di andare. Se interrogandosi sul tempo, come Ted Chiang, oppure?

3 pensieri su “UN CIRCOLO NON HA UN CAPO: QUALCHE RIGA SU DUNE E FOUNDATION

  1. Io credo che la fantascienza (o speculative fiction, se vogliamo essere snob e non essere presi per nerd) abbia ancora molto da dire, se non (più) come monito sulle derive del presente, come immaginazione di un futuro di *guarigione*. La sf può essere rivoluzionaria, nel senso proprio del termine, prospettandoci strade nuove, diverse, migliori di una asfittica ripresa/resilienza/ripartenza che fa solo il gioco delle Grandi Case. Ne scrivo, proprio a proposito di Dune e del Jihad Butleriano, ad esempio su http://lavagnadifaraday.blogspot.com/2021/09/we-must-not-fear.html e mi piace – mi conforta, azzarderei – che ci sia un’assonanza con un post – come questo – firmato da chi stimo molto.

  2. La fantascienza (tanto ormai sono nerd) è una delle ragioni per cui vale vivere.
    Rispetto ai tempi di “Dune” e di “Fondazione”, possiamo dire che il *genere* si è esteso con grazia e risultati eccezionali a tutti i media conosciuti (cinema in primis, fumetto, televisione, videogiochi). Probabilmente, ma è una probabilità proporzionale alla mia ignoranza in materia, oggi non è ancora venuta fuori l’opera spartiacque, che rivoluziona stilemi e induce davvero nuovi pensieri – che è la cosa meravigliosa dell’arte e soprattutto della fantascienza, in questo presente. Presente talmente caotico, oscurato, che davvero il “videmus nunc per speculum et in aenigmate” sembra scritto per noi.

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