UN NORMALE TRACOLLO DI PRESSIONE

Non so se la storia proceda per salti o scelga percorsi sotterranei, se sia abbia le molle o le ali degli angeli che guardano alle proprie spalle. Credo però che sia giusto l’ammonimento che sabato pomeriggio, durante la discussione su Donne, media e società a Lugano, la storica Nelly Valsangiacomo ci ha rivolto: leviamoci dalla testa l’idea secondo la quale stiamo procedendo in modo lineare, seguendo  sorti magnifiche, progressive ed evolutive. Le donne, per esempio, credevano di aver raggiunto i propri obiettivi già altre volte, dalla Rivoluzione francese in poi: invece, si torna indietro e di nuovo si procede e di nuovo si torna indietro.
Mentre si discuteva nell’Auditorium dell’Università, in decine di città italiane si preparavano le manifestazioni contro il femminicidio che si sono svolte ieri: e sono state tante, e sono state importanti, e i giornali hanno pubblicato fotoracconti e inchieste e statistiche, e speriamo che non sia solo per un giorno.
Ma mentre si discuteva, a me sono venuti in mente alcuni passaggi del libro di Guido Crainz, Il paese reale, che vi invito a leggere. Raccontando l’inizio degli anni Ottanta, e quello scivolamento dal noi all’io che oggi gli psicoanalisti chiamano – con giusta preoccupazione – narcisismo di massa,  e che il Censis, guarda caso, aveva predetto fin nel 1968 registrando una “intensificazione degli egoismi soggettivi”, Crainz riporta, semplicemente, brani di articoli. “Sposarsi in bianco torna ad essere felicità”, titola il Corriere della Sera nel 1982. Un anno prima, Adriana Mulassano firma sullo stesso quotidiano un articolo che si chiama “Perché il raso è rivoluzionario”, dove spiega che “grazie al femminismo le donne si sono talmente liberate da non aver più bisogno di travestirsi da uomini e da suffraggette per avere una credibilità”. Peccato, le risponderà Marina Luraghi, caposervizio moda di Annabella, che il rilancio del raso sia “frutto di una perfetta operazione commerciale”.
Sembrano discorsi dell’altro ieri, e invece risalgono a una trentina d’anni fa (basterebbe sostituire l’incolpevole raso con la copertina di un romanzo della James e il gioco di specchi sarebbe perfetto). A volte ritornano, certo: ma l’enfasi sui ritorni non è sempre spontanea. Sempre Crainz riporta parte di un documento della Rizzoli riservato allo staff direttivo del gruppo. Il testo era del 1977, si chiamava Scenario e diceva:
“Dal 1979 al 1981 crescerà la disaffezione per la politica e per i partiti, con i suoi contorni di calo della partecipazione e di ritorno al privato. Questi fenomeni hanno e avranno molte cause: un normale tracollo di pressione dopo anni di effervescenza collettiva; la frequente contestazione delle leadership esistenti…I partiti ne usciranno indeboliti: specie il partito comunista, verso il quale maggiori e più recenti erano state le attese”.
Ognun sa com’è andata. Però la storia dovrebbe essere letta e studiata, anche per cercare di non infilarsi nello stesso errore.
E vengo al secondo ammonimento, ancor più prezioso, ricevuto da Nelly Valsangiacomo. Pensare di isolare la questione della disuguglianza femminile dalle altre disuguaglianze non porta lontano. “Siamo tutti d’accordo nel condannare la disparità di genere”, ha detto (d’accordo a parole, ho pensato io). “Ma sicuramente se pronunciassi il termine “classi” cominceremmo a litigare”.
Allora, all’indomani di una giornata importante, sarebbe altrettanto importante – anzi, vitale – riflettere su questo punto: la questione femminile spalanca le porte su altre disuguaglianze, non solo di genere. Pensare di affrontare la prima mettendo da parte le altre condanna, a mio parere, alla sconfitta.
Buon lunedì.

12 pensieri su “UN NORMALE TRACOLLO DI PRESSIONE

  1. Vero, le disuguaglianze ci sono e non solo di genere.
    Ma è sbagliato considerare la teoria marxista del Conflitto di Classe come alla base di tutto. Altrimenti si continuerà a girare sempre in tondo, ripetendo gli stessi errori all’infinito. I cerchi non vanno chiusi. Vanno spezzati.

    Siamo in un momento storico tremendamente importante, perché la crisi culturale ed economica del nostro Paese ci dà proprio la possibilità di spezzarlo quel cerchio. E’ difficile cambiare, gli italiani sono insofferenti al cambiamento. Allora si guarda sempre indietro e mai avanti.

    Mi sento più vicina ai teorici del conflitto, che fanno capo a Max Weber. Ed in particolare al concetto di gruppi di interesse, potere a somma zero e status sociale. Che sono poi i problemi che ho riscontrato all’interno dello stesso movimento femminista.

    Cioè prendiamo ad esempio un soggetto: nome fittizio Cinzia.
    Cinzia fa parte del gruppo Donna, Insegnante, Mamma e Tifosa di un gruppo di calcio.
    Questi interessi non comportano richieste in conflitto tra loro ma ogni gruppo è spinto a difendere i suoi interessi e quindi ad acquisire potere. Ma è un gioco a somma zero, cioè il potere non è espandibile al’infinito. Dunque se il “potere” è conseguito da un soggetto, non è conseguito dall’altro!
    E qui subentrano i problemi reali, secondo me.

    Sono perfettamente d’accordo con la teoria psicoanalitica del “narcisismo di massa” e l“intensificazione degli egoismi soggettivi”.
    Infatti i nostri interessi e scopi personali ci hanno messo in conflitto all’interno degli stessi gruppi di appartenenza. Non prendiamo in considerazione il fatto che la competizione ci porterà a raggiungere “potere” a discapito di qualcun altro, che non lo raggiungerà.

    Queste molteplici voci e interessi contrapposti non fanno altro che causare ulteriori fratture e disuguaglianze, contribuendo alla creazione di micro-gruppi che non ce la faranno mai a dare voce ai propri interessi. Innescando così un sistema di frustrazione generale.
    Quello che sta accadendo anche al nostro sistema politico.

    Il “potere” è ovviamente da intendersi anche come “status sociale”.
    Quindi più che di classe parlerei di disuguaglianze di status.

    Una società democratica naturalmente dovrebbe tener conto di tutte queste voci e problematiche e assicurare che quelle più “ragionevoli” abbiano la meglio, creando un certo equilibrio.
    Ma se qui ognuno è portato a fare solo i propri interessi ed acquisire un suo status, passando sopra a tutto e tutti, anche al cadavere di sua madre, allora non ne usciremo.

    Bisogna tornare ai concetti e valori chiave.
    La povertà fortunatamente aiuta, a comprendere ciò che davvero più conta nella vita.
    Bisogna porsi una serie di domande e accettare che le risposte non faranno spesso i nostri interessi ma quelli della collettività.
    Ma quella principale è: saremo pronte a sostenere quelle Donne, Insegnanti, Madri e Tifose che parleranno per noi?

    scusate il commento lunghissimo

  2. Mi rendo conto di cantare fuori dal coro. Io continuerò a difendere la mia disuguaglianza, a pretenderne il rispetto ma a sottolinearne le caratterestiche, le prerogative del mio essere donna e non uomo. Sono convinta che non siamo fatti per essere tutti uguali, fare le stesse cose, avere gli stessi compiti, diritti e doveri. Nella vita ci sono infiniti ruoli da giocare e ciascuno più soddisfare a pieno chi li interpreta, secondo la propria inclinazione naturale. Tutti insieme dobbiamo liberarci da chi pretende di dettare cosa è bello, cosa non lo è, cosa è degno di ammirazione e cosa no.

  3. Una piccola precisazione per Giorgia: temo che questo sia l’equivoco numero uno. Non si tratta affatto (e sarebbe orribile pensarlo) di voler essere tutti uguali. Ma di poter avere, tutti, le stesse possibilità di vivere la vita che ci sembra più consona a noi. Sostenere che qualcuno vuole dettare le leggi del giusto e del bello significa perpetrare la deformazione (a volte – non nel tuo caso – portata avanti in pessima fede) secondo la quale chi si batte per le pari opportunità, non solo di genere, è prescrittivo.
    Sara, bellissimo commento. Unica considerazione: temo che occorra tornare a parlare proprio di classi.

  4. Credo che sia necessario fare una precisazione sul concetto di classe, che da quello che emerge dal commento di Sara mi pare un po’ confuso. Nel capitalismo la società è divisa in classi perché c’è una piccolissima parte della società che ha in mano le redini del potere economico, è proprietaria delle fabbriche, delle mega-holding che contengono di tutto, delle banche e via dicendo, e poi c’è il famoso 99%, ci sono tutti gli altri che quel potere non ce l’hanno.
    Fare i conti da femministe con la questione di classe significa fare i conti con il fatto che quando c’è una crisi (e nel capitalismo ce ne sono periodicamente) le donne ne sono colpite in un modo peculiare, perché vengono rispedite in casa, nelle cucine, a fare da tappabuchi al welfare che non esiste più; perché finiscono per essere licenziate o precarizzate più degli uomini, e questo ha un’influenza enorme sulla loro possibilità di essere autonome, di poter scegliere per sé e di avere voce nelle scelte della famiglia. Significa capire che se gli imprenditori appoggiano gli integralisti cattolici contro la legge 194 non è solo perché sono dei bigotti che odiano le donne (verissimo) ma soprattutto perché in campo ci sono degli interessi economici enormi, e quindi la questione è culturale fino a un certo punto. Significa capire che insegnare alle donne a liberarsi degli uomini violenti ha senso fino a un certo punto quando quelle donne non hanno lavoro e lasciare il marito significa per loro finire sotto la tutela di qualcun’altro (padre, nuovo compagno ecc) o per strada.

  5. Concordo con Adrianaaaa e aggiungerei anche la necessità di una presa di coscienza importante dei propri diritti da parte di tutte quelle classi più schiacciate dalla crisi e dalla logica del liberismo sfrenato.
    Molti lavoratori non hanno rappresentanza o hanno un peso sociale-contrattuale pari a zero (ad esempi tutti i collaboratori mal pagati o sfruttati del mondo dell’editoria come si diceva qualche post fa, i traduttori, gli illustratori, ecc).
    Molti giovani si trovano costretti ad accettare contratti o condizioni lavorative indegni di questo nome ma spesso non sanno a chi rivolgersi, hanno paura o hanno troppo bisogno di lavorare per poter rifiutare.
    Molte donne non sanno dell’esistenza di centri antiviolenza e di una rete di supporto e continuano a subire.
    Spezzare questo circolo di solitudini e ricominciare a parlare di classi e diritti è ormai vitale per questo paese.

  6. “Pensare di isolare la questione della disuguglianza femminile dalle altre disuguaglianze non porta lontano”
    Trovo questo punto davvero centrale.
    Una volta, un paio d’anni fa, in una serata organizzata da un gruppo di femministe, dissi che era vergognoso mancasse in Lombardia una legge contro l’omofobia. Mi trattarono a pesci in faccia, quasi le stessi insultando, quando invece io reputavo si dovessero unire le forze, non insistere nel marcare territori, segnare confini, decidere chi era dentro e chi fuori, chi aveva ragione solo per nobiltà di sclatta o torto per destino di genere.
    Ovviamente parlo per quella serata, mica per tutte le persone che hanno a cuore questi temi.
    (ciao Lippa, momento difficile, ma cerco sempre di non perderti di vista)

  7. D’accordo sulla puntualizzazione di Adrianaaa, che si potrebbe approfondire.
    Riguardo al primo ammonimento della Valsangiacomo, direi che ci sono diversi tipi di regressione, quella ad esempio che vede un ritorno a certi ruoli tradizionali e modelli stereotipati, come fosse una moda ma con forme ‘attuali’.
    E la regressione che reintroduce i modelli mai veramente superati delle proprie madri e nonne, che non riguardavano affatto solo i ruoli familiari, ma lavoro, risparmio, benessere, studio – e non consideravano diritti quanto invece è stato poi (almeno parzialmente) acquisito: congedi di maternità, istruzione, sanità, ecc.
    Noi non abbiamo avuto uno stato sociale che abbia portato avanti i diritti delle donne e di altre categorie come in altri paesi, e cioè non abbiamo avuto nemmeno il tempo di assimilare e considerare indispensabili questi diritti, non ci siamo potuti abituare a un buon welfare che ora è minacciato, non sappiamo (non tutte) insomma cosa voglia dire vivere in un contesto che abbia realizzato stabilmente certi miglioramenti. Di sicuro questo vale per tanta parte d’Italia, ed è da queste realtà che viene il pericolo a parere mio.

  8. Tutto vero. Ma io andrei avanti: cos’è il progresso per un essere umano? Si può comprendere il progresso di una “liberazione”. dell’affermazione di un’idea di mondo, ma il progresso di una persona? L’affermazione dell’idea, quando ottiene risposte concrete nel mondo, anche cambiandolo, questo “noi”, corrisponde a un noi reale, cioè un noi che non è soltanto un immagine astratta ma un insieme di persone fisiche che progrediscono insieme? E’un progresso collettivo reale? E’un progresso vero della condizione individuale?

  9. Ho compreso cosa si intende per classe sociale Adrianaaa, è un concetto chiave ed ho compreso anche le problematiche di cui parli, figurati le vivo sulla mia pelle, ogni giorno e non posso che essere d’accordo.
    Ma continuo a non stringere il campo solo intorno al concetto di “classe”.
    Proprio per questo torno a fare la domanda a cui però nessuno ancora mi ha risposto.

    Le vogliamo sostenere o no queste Donne o Uomini che possono fare per noi quello che vorremmo venga giustamente fatto?

    Faccio un esempio, le primarie: l’unico che ha parlato di femminicidio è stato Vendola. Non è arrivato al ballottaggio.
    Non sto dicendo che lo dovevamo votare in massa ma è un dato di fatto.

    Esiste il candidato o la candidata perfetto/a? Dov’è? Lo/la sostengo subito.
    Facciamolo. Facciamocela arrivare, indipendentemente dalla “classe”.

    Perdonatemi ma parlare di parlare di Capitalismo riferito all’Italia mi fa tenerezza 😉

  10. Secondo te sarebbe cosa utile votare Vendola perché ha “parlato” di femminicidio? Secondo te farebbe la differenza, quando poi Vendola si troverebbe in coalizione con i maggiori sostenitori del governo Monti, gente che ha appoggiato la macelleria sociale nella quale viviamo?
    In che senso parlare di Capitalismo riferito all’Italia ti fa tenerezza? Siamo il paese che ha dato i natali a gente come Agnelli, Marchionne, Berlusconi, Riva…

  11. Le disuguaglianze di genere hanno a che fare con le altre disuguaglianze nel senso in cui le donne sono le più deboli tra i deboli nelle crisi economiche (come dice bene Adrianaaaaaa…) e, coi bambini, nelle guerre che fanno di loro bottino e campo di battaglia. Questo però non significa, oggi come ieri, che l’emancipazione femminile abbia rappresentato un’indicazione per superare le disuguaglianze di classe: le donne al potere agiscono come gli uomini e, se il welfare non c’è, potendo si rifiutano (giustamente) di occuparsi dell’accudimento. Chi non può rifiutarsi sono le donne senza potere. Le pari opportunità di genere effettivamente non hanno nessun senso in un sistema economico sregolatamente diseguale.

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