UN PAIO DI COSE SU QUELLO CHE VIENE CHIAMATO IDEALISMO MAGICO

Questa mattina gironzolavo su Facebook, sperando in acque più calme. Capito sul gruppo de La lingua batte e trovo un commento così (non importa di chi):

“Basta con questo idealismo magico! Non se ne può più: fra la Gheno, la psicologia d’accatto, le narrazioni, il decostruzionismo, il relativismo radicale e non so cosa ancora sono 30 anni che ci si propina sta cavolata. L’ipotesi sapiro-whorf (sic, nda) non è vera. Il linguaggio non crea nulla, La conoscenza non smuove il mondo: le rivoluzioni del passato, le grandi trasformazioni, le hanno fatte analfabeti che conoscevano 30 parole in croce. Su dai, cresciamo”.

Ora, a parte la confusione (Vera Gheno tirata in ballo, ormai, anche a proposito della ricetta della carbonara, e pazienza- fino a un certo punto), a parte i refusi, a parte la bassa considerazione della conoscenza oltre che della storia, questi concetti non sono isolati.
Qualche mese fa notavo con costernazione l’ennesimo articolo contro l’astrologia, per esempio. E non è certo cosa nuova che si attribuisca all'”idealismo magico” (forse il commentatore intendeva pensiero, ma prendiamola per buona) la decadenza e caduta della civiltà. Cito il commento, di per sé ininfluente come potreste giustamente rimproverarmi, perché è la spia di un modo di vedere molto più vasto: so di ripetere fino allo sfinimento che senza mito e immaginario siamo nulla, ma dal momento che sembra non esserci argine, insisto.
Anzi, cito Benjamin Labatut, l’autore di Quando abbiamo smesso di capire il mondo e Maniac. Che, attenzione, parlano, labatutianamente, di scienza e scienziati. Labatut, in un’intervista del 2021, dice:

“La realtà non basta. La realtà non ci è mai bastata. Da quando l’essere umano ha iniziato a pensare, ha ricoperto il mondo intero con uno strato di finzione. Se lo si toglie, di solito il risultato è terrificante. Perché senza la finzione il mondo non ha senso. Più che scrivere sulla scienza, mi interessa scrivere su ciò che la scienza scopre ma non riesce a comprendere, almeno non del tutto. E l’unico modo di avvicinarsi al cuore oscuro delle cose, o alle loro arterie più luminose e accecanti, è attraverso i meccanismi della visione interiore, che sono proprio quelli dell’arte e della finzione. Ci sono molte cose che si nascondono dietro i fatti, perché ai mostri non piace far vedere il proprio viso. Illuminare quello spazio, penetrare nei meandri della mente umana, richiede un atto creativo, qualcosa che sia pieno della stessa incertezza, e della stessa potenza e stranezza, che c’è nell’anima del mondo”.

Lo scrittore che citavo poco sopra è Giorgio Fontana, di cui ho immensa stima. E nel famoso articolo sull’astrologia, apparso su Lucy sulla cultura, dice fra l’altro:

“L’equivoco è il seguente: supporre una sorta di metafisica ufficiale dei nostri tempi che si inchina a nuove divinità chiamate Scienza o Ragione o Tecnica (quasi fossero termini intercambiabili), disdegnando tutto ciò che non può essere spiegato nei propri termini. Più ancora, un mondo privato dell’uso esplicativo di rapporti analogici o magici — un mondo dissacrato — indurrebbe in automatico a depredarlo e renderlo oggetto di un capitalismo feroce.
È una caricatura pericolosa, benché fondata su alcune storture evidenti dell’Occidente, così grandi da spingerci a cercare un singolo e comodo colpevole. Ma la mania di dominio universale, la fede cieca nel “progresso” scisso da considerazioni etiche, la riduzione della natura a mero oggetto di rapacità non derivano dall’impresa scientifica o dal razionalismo in quanto tali, bensì dalle sue applicazioni irresponsabili: e per correggerle è inutile invocare forze occulte o sperare che una nuova sacralità moderi i nostri tremendi appetiti”.

 

Credo che questo sia il punto su cui discutere: quello che alcuni chiamano neo-illuminismo o iper-razionalismo non induce a depredare il mondo. Semmai, è l’effetto del saccheggio di lunga data (volendo, anche del capitalismo): e nessuno, credo, si sogna di attribuirlo alla scienza, quanto a un atteggiamento generale di disprezzo verso quello che Fontana stesso cita, con un po’ disdegno, come incanto.
Voglio dire che forse, fra tutti gli argomenti a disposizione, prendersela con l’astrologia e in assoluto allargarsi fino a, uhm, quel famoso “idealismo magico”, è per me poco comprensibile. Ci muoviamo comunque, che lo vogliamo o no, sul terreno del sacro e del trascendente. Liberarcene, o proclamare che siamo abbastanza adulti per liberarcene, produce solo danni. Come ricordava Roberto Calasso, che sciocco non era.

 

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