UN REGALO DI NATALE

Ed ecco il mio regalo di Natale, commentarium. E’ un racconto di Shirley Jackson, contenuto nella raccolta Demoni amanti, traduzione di Riccardo Valla. La raccolta è fuori catalogo, quindi non credo di commettere peccato grave. Godetene, fate tesoro della sapienza di Jackson, e passate feste felicissime

Come una statua di sale

Per qualche ragione c’era un motivetto che continuava a ronzarle nella testa, quando lei e suo marito avevano preso il treno per recarsi dal New Hampshire a New York; mancavano da New York da quasi un anno, ma il motivetto risaliva a molto tempo prima.

Era una canzone di quando lei aveva quindici o sedici anni e non aveva mai visto New York, tranne che al cinema, e la città era fatta, per lei, di attici eleganti, abitati dai figurini di Noel Coward; di quando l’altezza e la velocità e il lusso e l’allegria che costituivano una città come New York si confondevano inestricabilmente con la noia dei quindici anni, e la bellezza era quella irraggiungibile e lontana dei film.
— Che cos’è, questo motivetto? — chiese al marito, e glielo canticchiò.
— Dev’essere di un vecchio film — aggiunse poi.
— L’ho già sentito — disse lui, e lo canticchiò a sua volta. — Però, non ricordo le parole.
Si appoggiò allo schienale. Aveva appeso i soprabiti, messo le valigie sulla reticella, e aveva tirato fuori la rivista da leggere in viaggio.
— Prima o poi, mi verrà in mente — le promise.
Lei, per un po’ di tempo, guardò fuori del finestrino, con una sorta di piacere segreto, assaporando l’estrema gioia di trovarsi su un treno in movimento, senza altro da fare, per sei ore, che leggere e dormire e andare nella carrozza ristorante, mentre a ogni minuto che passava si allontanava sempre più dai bambini, dal pavimento da spazzare, e anche le montagne sparivano dietro di lei e lasciavano il posto a campi e alberi troppo lontani da casa per essere come quelli di tutti i giorni.
— Adoro i treni — disse, e il marito sorrise e le rivolse un cenno d’assenso, senza abbassare la rivista.
Due settimane di libertà, due settimane incredibili, con tutto programmato, niente da combinare, salvo forse scegliere il teatro e il ristorante.
L’amico che abitava a New York e che era partito per un opportuno periodo di vacanza, in banca la cifra sufficiente sia per il viaggio a New York sia per le nuove tute invernali dei bambini. Il piacere, una volta superati i primi ostacoli, di veder cadere le difficoltà, come se niente avesse più osato fermarli, una volta presa la decisione.
La tonsillite del bambino era guarita come per magia. L’idraulico era venuto e aveva finito il lavoro in due giorni. Il sarto aveva fatto in tempo le riparazioni; il negozio di ferramenta poteva andare avanti da solo, una volta trovata la scusa di dover andare in città a cercare nuovi prodotti.
New York era ancora in piedi, non era stata messa in quarantena, il loro amico era partito come preventivato, e Brad aveva in tasca le chiavi dell’appartamento. Avevano lasciato detto a tutti dove cercarli telefonicamente, in caso di necessità; avevano un elenco di commedie da vedere assolutamente e un altro elenco di cose da comprare: garza, passamanerie, scatolette di cibi esotici, scatole ermetiche per l’argenteria. E alla fine il treno che faceva il suo dovere e che, correndo per tutto il pomeriggio, li portava legalmente, decisamente a New York.
Margaret guardò incuriosita il marito, inattivo nel bel mezzo del pomeriggio, su un treno, e gli altri fortunati viaggiatori, e la campagna illuminata dal sole; li guardò di nuovo tutti per controllare, e poi aprì il libro che si era portata per il viaggio.
Il motivetto le ronzava ancora nella testa; provò a canticchiarlo e sentì che anche il marito, sovrappensiero, lo accennava mentre leggeva la rivista.
Nella carrozza ristorante ordinò roast beef, come avrebbe fatto in un ristorante della sua città, perché non voleva passare troppo presto ai nuovi, allettanti piatti della vacanza.
Per dessert si fece portare gelato, ma non volle aspettare il caffè perché mancava solo un’ora all’arrivo a New York e lei doveva ancora mettersi soprabito e cappello e voleva gustarsi ogni gesto, e Brad doveva tirare giù le valigie e mettere via le riviste.
Rimasero fermi in piedi, in fondo al vagone, per l’interminabile percorso in galleria, presero varie volte le valigie in mano e poi le posarono dopo pochi istanti, per avvicinarsi un po’ di più, un centimetro alla volta, all’u-scita.
La stazione, per un breve periodo, fu un rifugio che li preparò gradualmente a un mondo di persone e di suoni e di luce, e che poi li tuffò nell’assordante realtà della strada.
Lei vide tutto questo, per un attimo, dal marciapiede, e poi si trovò in un taxi che penetrava nel cuore di quella realtà; subito dopo, incredibilmente, si trovarono a farne parte e furono trasportati verso la periferia, e scodellati su un altro marciapiede, mentre Brad pagava l’autista e alzava la testa per guardare il palazzo.
— È proprio questo — disse, come se avesse dubitato della capacità del tassista di trovare un numero civico che gli era stato dato in modo così semplice.
La corsa in ascensore, e poi, come una scoperta, la constatazione che la chiave apriva la serratura. Non avevano mai visto l’appartamento dell’amico, ma aveva un aspetto ragionevolmente familiare: un amico che si trasferisce dal New Hampshire a New York porta con sé un’immagine di casa che non si può cancellare in pochi anni, e l’appartamento aveva così tanti lati noti che Brad si sedette immediatamente sulla poltrona giusta e Margaret provò una fiducia istintiva per i suoi lenzuoli e le sue coperte.
— Per due settimane, questa è casa nostra — disse Brad, e si stirò, sbadigliando. Dopo i primi minuti, entrambi si avvicinarono meccanicamente alla finestra; New York era sotto di loro, come previsto, e dirimpetto c’erano altre infinite case d’appartamenti piene di sconosciuti.
— È meraviglioso — disse lei. Giù in strada c’erano le auto, la gente, il rumore. — Sono così felice — disse, e baciò il marito.
Il primo giorno, fecero i turisti. Fecero colazione in un Automat e salirono in cima all’Empire State Building.
— Hanno riparato tutto — disse Brad, quando furono su. — Mi chiedo dove abbia picchiato, quell’aereo.
Cercarono di guardare giù da tutt’e quattro i lati, ma si vergognarono a chiedere.
— Dopotutto — disse lei, ragionevolmente, mentre rideva in un angolo — se si rompesse qualcosa di mio, non mi piacerebbe che la gente venisse a chiedermi di vedere i pezzi.
— Se tu fossi la proprietaria dell’Empire State Building, la cosa non ti darebbe fastidio — rispose Brad.
Per i primi giorni, viaggiarono sempre in taxi, e uno dei taxi aveva la portiera legata con lo spago; si indicarono il particolare e risero silenziosamente tra loro. Il terzo giorno, al taxi su cui viaggiavano si sgonfiò una gomma mentre erano sulla Broadway; dovettero uscire per cercarne un altro.
— Ci restano solo undici giorni — disse una volta Margaret. E poi, dopo che in apparenza erano passati solo pochi minuti: — Siamo qui da sei giorni.
Telefonarono agli amici a cui dovevano telefonare, e furono invitati per il week-end nella loro casa estiva di Long Island.
— Ha un’aria un po’ deprimente, in questa stagione — disse loro la padrona di casa, al telefono — e tra una settimana ce ne andremo via anche noi, ma non potrei mai perdonarvi, se non veniste almeno una volta a vedere la casa, adesso che siete a New York.
Il tempo era bello, ma freddo, con già l’annuncio dell’autunno, e i vestiti nelle vetrine dei grandi magazzini erano di colori scuri e facevano già pensare ai velluti e alle pellicce.
Margaret indossava tutti i giorni il soprabito e si metteva il tailleur. I vestiti leggeri che si era portata rimanevano appesi in armadio, e lei cominciava a pensare che forse le conveniva comprarsi un pullover in uno dei grandi magazzini: un capo poco pratico per il New Hampshire, ma che probabilmente andava bene per Long Island.
— Devo fare delle spese; mi occorrerà almeno un pomeriggio — disse a Brad, che si lasciò sfuggire un lamento.
— Non chiedermi di portare i pacchetti — disse.
— Tu non sei in grado di affrontare una giornata di shopping — gli disse lei, scherzando — dopo tutta la strada che hai fatto a piedi. Perché non vai al cinema o qualcosa del genere?
— Devo fare qualche compera anch’io — disse lui, con fare misterioso.
Forse pensava al regalo che intendeva farle per Natale; aveva pensato anche lei di comprare i regali a New York; i ragazzi avrebbero apprezzato le novità della metropoli, i giocattoli che non potevano trovare nei negozi della loro cittadina. In qualsiasi caso, disse: — Probabilmente, riuscirai a passare dai tuoi grossisti.
Andarono a trovare un altro amico, che aveva miracolosamente trovato un appartamento e che di conseguenza li avvertì di non badare all’aspetto della casa, della scala e del vicinato.
Tutt’e tre erano pessimi, e le scale erano tre rampe buie e strette, ma in cima c’era un alloggio vivibile. Il loro amico era arrivato a New York solo recentemente, ma ora abitava in due stanze, ed era stato immediatamente contagiato dalla mania tutta newyorkese dei tavolini sottili e delle basse librerie che facevano sembrare le sue stanze, in certi punti, troppo grandi rispetto alla mobilia, e in altri troppo scomode e ingombre.
— Che posto incantevole — disse lei, quando entrò, e poi provò un certo dispiacere quando il padrone di casa si scusò: — Un giorno questa maledetta crisi degli alloggi finirà e io potrò andare ad abitare in un posto davvero decente.
C’erano degli altri invitati, che sedevano a parlare amichevolmente degli stessi argomenti di cui si parlava nel New Hampshire, ma che bevevano più di quanto si beveva a casa, e la cosa, stranamente, pareva non avere effetto su di loro; parlavano a voce più alta e i termini che impiegavano era-no più strani; i loro gesti, viceversa, erano più tranquilli, e muovevano un dito per cose che nel New Hampshire avrebbero portato a muovere un braccio.
Margaret disse molte volte: — Siamo qui solo per un paio di settimane, in vacanza — e disse: — È meraviglioso, così eccitante — e disse: — Abbiamo avuto una fortuna terribile; il nostro amico è andato fuori città proprio mentre noi…
Dopo un po’, le parve che la stanza fosse troppo stipata, troppo rumorosa; si recò in un angolo, vicino a una finestra per respirare meglio. Per tutta la sera, quella finestra era prima aperta e poi chiusa, a seconda della persona che le stava accanto e del fatto che avesse le mani libere o no; adesso era chiusa, e fuori si vedeva il cielo senza nuvole.
Qualcuno si fermò vicino a lei, e Margaret disse: — Senta che rumore c’è fuori. Peggio che qui dentro.
L’uomo disse: — In un quartiere come questo, c’è sempre gente che si ammazza.
Lei aggrottò la fronte. — Eppure, il rumore mi sembra cambiato. Voglio dire che ha un tono diverso.
— Sono gli ubriachi — disse l’uomo. — Si ubriacano per strada, poi lottano da un marciapiede all’altro.
Detto questo, si allontanò, con in mano il suo bicchiere.
Margaret aprì la finestra e si sporse all’esterno, e vide che c’era gente, affacciata alle finestre dell’edificio di fronte, che gridava, e altra gente, in strada, che guardava in alto e gridava.
— Signora, signora! — udì distintamente, dalla casa dirimpetto, e pensò: Parlano a me. Guardano tutti dalla mia parte.
Si sporse dalla finestra, e riuscì a distinguere quel che gridavano: — Signora, la sua casa brucia, signora, signora!
Chiuse la finestra e si girò verso la gente che c’era nella stanza. Alzando un poco la voce, disse: — Sentite, fuori gridano che la casa brucia!
Aveva paura che ridessero di lei, di fare la figura della sciocca e di arrossire davanti a Brad. Disse di nuovo: — La casa brucia — e aggiunse: — Lo gridano fuori — per paura di sembrare troppo agitata.
Le persone vicino a lei si girarono, e qualcuno commentò: — Dice che la casa brucia.
Avrebbe voluto correre da Brad, ma non riuscì a vederlo; non si vedeva neppure il padrone di casa, e la gente attorno a lei le era sconosciuta.
Non mi ascoltano, pensò. È inutile che resti qui. Perciò raggiunse la porta e la aprì.
Fuori non c’era fumo, non c’erano fiamme, ma lei continuò a ripetersi: È inutile che io rimanga qui, nessuno mi dà retta. In preda al panico, abbandonò Brad, e corse giù per le scale, senza cappello e senza soprabito, con un bicchiere in una mano e una scatola di fiammiferi nell’altra.
Le scale erano follemente lunghe, ma erano sgombre e sicure, e Margaret arrivò al portone e uscì sul marciapiede.
Un uomo la prese per il braccio e chiese: — Sono usciti tutti?
E lei rispose:
— No, Brad è ancora dentro.
Il carro dei pompieri giunse da dietro l’angolo, e la gente si sporse dalle finestre per guardarlo. L’uomo che teneva Margaret per il braccio disse: — È laggiù — e la lasciò.
Il fuoco era a due case dalla loro. Dietro le finestre si scorgevano le fiamme, e il fumo s’innalzava sullo sfondo scuro del cielo, ma in dieci minuti fu tutto finito, e i pompieri si allontanarono con un’aria delusa, per aver dovuto tirare fuori tutta la loro attrezzatura con il solo risultato di spegnere un fuoco da dieci minuti.
Margaret risalì le scale lentamente, imbarazzata, poi trovò Brad e si fece riportare a casa.
— Mi sono tanto spaventata — gli disse poi, quando furono a letto. — Ho perso la testa.
— Avresti dovuto cercare di dare l’allarme — disse Brad.
— Non mi davano retta — insistette lei. — Ho continuato a dirlo, e non mi ascoltavano, e allora ho pensato che potevo essermi sbagliata. Poi ho pensato di scendere a vedere che cosa era successo.
— Fortuna che non era niente di grave — disse Brad, soffocando uno sbadiglio.
— Mi sentivo in trappola — spiegò lei. — In cima a quella vecchia casa, con un incendio; è come un incubo. E, per di più, in una città che non conosco.
— Be’, adesso è finito — disse Brad.
Ma per tutta la giornata seguente Margaret continuò a provare una forte insicurezza, anche quando andò a fare le spese da sola, e Brad andò a guardare certe nuove attrezzature, come previsto.
Margaret salì su un autobus diretto verso il centro, ma l’autobus era troppo pieno e lei non riuscì a raggiungere l’uscita, quando venne il momento di scendere.
Chiusa in mezzo ad altre persone, disse “permesso” e “devo scendere”, ma quando riuscì ad arrivare alla porta, l’autobus stava già ripartendo, e lei dovette scendere la fermata dopo.
Nessuno mi dà retta, disse poi a se stessa. Forse perché sono troppo gentile.
Nei negozi, i prezzi erano esageratamente alti, e i pullover, con sua grande delusione, sembravano identici a quelli del New Hampshire.
I giocattoli la riempirono d’orrore, tanto erano fatti a misura dei bambini di New York: orrende piccole caricature della vita degli adulti, registratori di cassa, piccoli carrelli da supermercato con frutta finta, telefoni realmente funzionanti (come se a New York non ci fossero abbastanza telefoni, minuscole bottiglie del latte dentro un cestino per trasportarle.
— Noi mungiamo ancora il latte dalla mucca — disse Margaret alla commessa. — I miei figli non capirebbero che cosa sono.
Era un po’ un’esagerazione, e lei, per qualche istante, provò un senso di colpa, ma in giro non c’era nessuno che potesse smentirla.
Pensò ai bambini della metropoli, vestiti come i loro genitori e attorniati da una civiltà meccanica in miniatura: una serie di registratori giocattolo in scala crescente, sempre più grandi, che li preparavano a quelli veri; milioni di piccole imitazioni di latta che li preparavano ai giocattoli inutili di cui era composto il lavoro dei genitori.
Comprò un paio di racchette per il figlio, che però non erano adatte alla neve del New Hampshire, e uno slittino per la figlia, pur sapendo che Brad ne avrebbe potuto fare uno più bello nel suo laboratorio di falegnameria, in mezz’ora.
Poi girò definitivamente la schiena alle piccole cassette della posta, ai cosmetici per bambine, ai minuscoli fonografi con appositi dischi mignon, uscì dal negozio e tornò a casa.
A quel punto, l’idea di prendere l’autobus le faceva sinceramente paura; si fermò all’incrocio e aspettò che passasse un taxi.
Nell’abbassare gli occhi sul marciapiede, vide per terra una monetina da dieci cent e pensò di raccoglierla, ma non poté chinarsi perché c’era troppa gente, e non osò farsi largo per paura che tutti la guardassero.
Posò il piede sulla monetina e immediatamente vide, a poca distanza, anche un quarto di dollaro e una moneta da cinque cent. Dev’essere caduto il borsellino a qualcuno, pensò, e in fretta posò l’altro piede anche su quelle monete. Poi vide due altri quarti di dollaro e un’altra moneta da cinque cent, nel rigagnolo sotto il marciapiede.
La gente passava in fretta, la urtava, e lei non osava chinarsi a raccogliere le monetine. Anche le altre persone che passavano videro quel denaro, ma tirarono avanti, e lei comprese che nessuno l’avrebbe raccolto. O la cosa li imbarazzava, o andavano troppo di fretta, o la strada era troppo affollata.
Poi si fermò un taxi, per far scendere qualcuno, e lei gli fece segno di attenderla. Tolse il piede dalle monetine e le lasciò dove stavano.
Il taxi si mise lentamente in moto, con qualche scossone; come Margaret aveva già potuto notare, il disfacimento progressivo non era solo dei taxi. Anche sugli autobus si aprivano fessure nella lamiera, dove c’erano saldature poco importanti; il cuoio dei sedili era screpolato e macchiato.
Gli stessi edifici si stavano lentamente consumando: in uno dei migliori negozi c’era un grosso buco nel pavimento, e la gente girava attorno alle transenne. Gli angoli dei palazzi si sgretolavano, trasformandosi in una polverina che fioccava lentamente sui marciapiedi, il granito subiva un’erosione di cui nessuno si accorgeva. Tutte le finestre che poté osservare nel viaggio di ritorno parevano avere i vetri rotti, forse tutti gli incroci erano spruzzati di una spolverata di monetine.
La gente correva più che mai. Una ragazza dal cappellino rosso comparve davanti al finestrino e sparì prima che lei potesse vedere com’era fatto il cappellino, nelle vetrine dei negozi, le luci erano abbaglianti perché si lasciavano scorgere solo per una frazione di secondo.
La gente sembrava costretta a una condotta frenetica che rendeva le ore di quarantacinque minuti, i giorni di nove ore, gli anni di quattordici giorni. I pasti erano elusivi fast food, consumati in una tale fretta che si aveva sempre fame, si era perpetuamente in corsa verso un altro pasto con altre persone.
E, di minuto in minuto, tutto accelerava impercettibilmente. Margaret montò nel taxi da una parte e ne uscì davanti a casa sua dall’altra; nell’ascensore, schiacciò il pulsante del quarto piano e, subito dopo, stava già scendendo, dopo avere fatto il bagno ed essersi vestita per andare a cena con Brad.
Uscirono a cena e tornarono a casa in pochi attimi, ancora affamati, e corsero a infilarsi nel letto per far arrivare più in fretta il momento della prima colazione e poi del pranzo.
Erano a New York da nove giorni. L’indomani era sabato e si dovevano recare a Long Island, per poi tornare a casa la domenica sera e il mercoledì successivo fare ritorno a casa, ma quella vera.
Margaret aveva fatto appena in tempo a pensarlo che si trovò sul treno per Long Island. Il treno era mezzo sfasciato, aveva i sedili rotti e il pavimento sudicio. Una delle porte non si apriva e i finestrini non si chiudevano.
Attraversando la periferia della città, lei pensò: È come se tutto viaggiasse talmente in fretta che la roba non resiste, va a pezzi per lo sforzo, le intelaiature volano via e le finestre cadono. Ma non osò arrivare alla conclusione, non osò dirsi che quella velocità da rompicollo era frutto di una scelta volontaria, era una corsa sempre più rapida, per arrivare più in fretta alla distruzione.
A Long Island la loro ospite abitava in un ennesimo pezzo di New York: una casa piena di mobili newyorkesi, come se fossero attaccati a un elastico, e li avessero tirati fin là, e adesso attendessero, tesi e pronti a ritornare di scatto in città, in qualcuno dei suoi appartamenti, non appena aperta la porta e scaduto il contratto d’affitto.
— Abbiamo sempre preso questo alloggio, da un’infinità di tempo — spiegò la padrona di casa. — Altrimenti, quest’anno non saremmo mai riusciti ad averlo.
— È un posto bellissimo — disse Brad. — Mi stupisco che non abitiate qui tutto l’anno.
— Be’, qualche volta bisogna anche tornare in città — rispose la padrona di casa, ridendo.
— Qui è ben diverso dal New Hampshire — disse Brad.
Comincia a sentire la nostalgia di casa, pensò Margaret. Dal giorno del-l’incendio, lei aveva paura dei gruppi di persone; quando gli amici cominciarono ad arrivare, dopo cena, riuscì a resistere per un poco, ripetendosi che erano al piano terreno, e che poteva scappare da una finestra; ma alla fine dovette scusarsi e andare a letto.
Si svegliò molto più tardi, quando Brad venne a dormire e disse con irritazione: — Abbiamo giocato agli anagrammi, che idea.
Lei rispose, con voce assonnata: — Hai vinto? — ma si riaddormentò senza ascoltare la risposta.
L’indomani mattina, lei e Brad uscirono a fare una passeggiata mentre i padroni di casa leggevano il giornale.
— Dopo essere usciti — li consigliò la loro ospite — girate a destra e fa-te circa trecento metri. Arriverete alla spiaggia.
— Cosa vuoi che gli importi della spiaggia? — chiese il padrone di casa. — Fa troppo freddo per andarci.
— Possono guardare il mare — rispose la moglie.
Perciò, scesero fino alla spiaggia; in quella stagione era spoglia, battuta dal vento, ma mostrava ancora qualche odiosa traccia del suo sgargiante piumaggio estivo, come se si credesse ancora calda e invitante.
Per esempio, lungo la strada c’erano molti appartamenti vuoti, e un chiosco solitario era ancora aperto, e reclamizzava coraggiosamente i propri hot dog e la birra analcolica.
L’uomo dietro il banco li guardò passare, con espressione fredda e indifferente. Brad e Margaret camminarono ancora a lungo, fino a perdere di vista le case, seguendo una specie di sentiero di ciottoli grigi, tra l’acqua grigia del mare da una parte e la sabbia grigia dall’altra.
— Immagina di tuffarti adesso — disse Margaret, rabbrividendo alla sola idea.
Ma la spiaggia le piaceva; aveva qualcosa di familiare e di rassicurante. Mentre lo pensava, le tornò in mente il famoso motivetto, che per associazione le fece riaffiorare due ricordi.
La spiaggia era quella dove lei aveva immaginato di vivere, quando era ragazza e scriveva per se stessa tristi storie di amori delusi, con l’eroina che si allontanava lungo la riva, tra il selvaggio mugghiare dei cavalloni; il motivetto, invece, simboleggiava il mondo dorato in cui si rifugiava per uscire dalla noia del vivere quotidiano: la stessa noia che la spingeva a scrivere quelle storie deprimenti.
Rise forte, e Brad si girò verso di lei e chiese: — Cosa ci trovi da ridere, in questa spiaggia dimenticata da Dio…
— Pensavo a quanto è lontana la città — disse lei, mentendo.
Il cielo, il mare e la spiaggia erano così grigi da far credere che si fosse al crepuscolo, invece che a metà mattina; Margaret cominciava a essere stanca e avrebbe voluto tornare indietro, ma Brad disse all’improvviso: — Guarda!
Lei si voltò e vide una ragazza che correva lungo la sabbia, con in mano il cappello e i capelli al vento.
— È l’unico modo per tenersi caldi in una giornata come questa — commentò Brad.
Ma Margaret disse: — No, ha l’aria impaurita.
La ragazza li vide e si diresse verso di loro, rallentando la corsa. Pareva ansiosa di parlare, ma all’ultimo momento esitò, come se temesse di sembrare sciocca, e li guardò tutt’e due, a disagio.
— Potete dirmi dove trovare un poliziotto? — chiese poi.
Brad si guardò attorno, ma vide solo la spiaggia sassosa. Rispose gravemente: — Qui attorno, non ne ho visto nessuno. Possiamo fare qualcosa per lei?
— Non credo — rispose la ragazza. — Ho proprio bisogno di un poliziotto.
Vanno sempre alla polizia, pensò Margaret, anche per un nonnulla. È come se questa gente di New York avesse scelto una parte della popolazione e l’avesse incaricata di risolvere tutti i problemi.
— Saremmo lieti di aiutarla, se possibile — disse Brad. La ragazza esitò ancora.
— Be’, se volete saperlo — disse infine, con una punta di irritazione — laggiù c’è una gamba.
Attesero educatamente che la ragazza si spiegasse, ma lei si limitò a dire: — Venite, allora — e fece segno di seguirla.
Li portò tra i bassi avvallamenti di sabbia, fino a un punto dove l’acqua entrava per qualche metro sulla spiaggia.
Sulla battigia, vicino all’acqua, c’era una gamba, e la ragazza la indicò e disse: — Eccola — come se fosse sua, e gli altri gliene avessero chiesto un pezzo.
Si avvicinarono e Brad si chinò con circospezione.
— È proprio una gamba — disse.
Sembrava staccata da un manichino: una gamba di cera, mortalmente pallida, tagliata con precisione all’anca e poco sopra la caviglia, piegata comodamente al ginocchio e posata sulla sabbia.
— È proprio vera — disse Brad, con un tono di voce diverso. — Ha ragione, ci vuole la polizia.
Tornarono insieme fino al chiosco e l’uomo degli hot dog ascoltò senza alcuna emozione, quando Brad chiamò al telefono la polizia.
All’arrivo della volante, tutti tornarono al punto dove c’era la gamba e Brad fornì ai poliziotti nome e indirizzo, poi disse: — Adesso, possiamo tornare a casa?
— E cosa diavolo volete star qui a fare? — chiese l’agente, con un umorismo piuttosto greve. — Aspettare che arrivi il resto?
Tornarono dai loro ospiti, e riferirono del ritrovamento; il loro amico si scusò, come se avesse dato prova di cattivo gusto nel permettere ai suoi invitati di incappare in una gamba umana. La moglie disse con interesse: — A Bensonhurst hanno trovato un braccio; l’ho letto sul giornale.
— Uno dei soliti regolamenti di conti — disse il marito. Quando furono nella loro stanza, Margaret disse all’improvviso: — Suppongo che cominci dalla periferia.
Brad chiese: — Che cosa, cominci?
E lei rispose, in tono isterico: — Ad andare in pezzi la gente.
Per assicurare ai loro ospiti di non avere dato peso all’incidente della gamba, si fermarono fino all’ultimo treno del pomeriggio per New York.
Quando furono di nuovo nell’appartamento, Margaret ebbe l’impressione che il marmo dell’ingresso fosse già invecchiato leggermente; in due soli giorni, si vedevano già molte nuove fessure. L’ascensore si era un po’ arrugginito e un fine velo di polvere si stendeva su tutte le suppellettili, una volta entrati nell’appartamento.
Nell’andare a letto, non si sentirono affatto a posto; l’indomani mattina, Margaret disse subito: — Oggi non esco.
— Non sei mica sconvolta per ieri? — chiese Brad.
— Niente affatto — rispose lei. — Sento solo il bisogno di riposarmi.
Dopo qualche discussione, Brad decise di uscire da solo; doveva incontrare ancora qualche persona e vedere qualche posto, nei pochi giorni che gli rimanevano.
Dopo avere fatto colazione insieme all’Automat, Margaret tornò da sola nell’appartamento, con un libro giallo che si era comprata per strada. Appese al portamantelli soprabito e cappello e si sedette accanto alla finestra, con il rumore della strada e della gente che saliva dal basso, e il colore grigio del cielo dietro le case dirimpetto.
Non devo preoccuparmi, disse a se stessa, è assurdo pensare sempre a cose del genere, rovinarmi la vacanza e rovinarla a Brad. È inutile preoccuparsi, sono solo idee mie, senza fondamento.
Il perfido motivetto continuava a ronzarle nel cervello, con il suo carico di dolcezza e di profumi costosi. Le case dall’altra parte della strada erano silenziose e forse vuote, a quell’ora della giornata; Margaret cominciò a muovere gli occhi al ritmo del motivetto, da una finestra all’altra. Scivolando in fretta sulle prime due, il motivetto durava esattamente quanto le finestre di un piano; poi uno stacco e un salto al piano successivo. Il numero delle finestre era sempre lo stesso, e il motivetto aveva sempre lo stesso numero di battute. Un piano dopo l’altro…
Dovette fermarsi all’improvviso perché le parve che il davanzale dell’ultima finestra su cui aveva passato lo sguardo si fosse improvvisamente sgretolato, trasformandosi in una cascatella di sabbia. Quando tornò a guardarlo, vide che era intatto, ma a distruggersi era stato adesso quello sopra o quello sotto, e alla fine si trasformò in polvere un angolo del tetto.
È inutile preoccuparsi, si disse, abbassando gli occhi sulla strada. Non devo pensare a cose simili.
Ma, dopo avere guardato a lungo la strada, si sentì girare la testa; perciò tornò nella piccola camera da letto dell’appartamento. Aveva rifatto il letto prima di scendere a colazione, ma ora tolse coperte e lenzuola e lo rifece lentamente, spianando ogni grinza del lenzuolo e dedicando un’attenzione particolare agli angoli.
— Questo è fatto — disse poi, a voce alta, quando ebbe finito, e tornò alla finestra.
Ma quando guardò la casa di fronte, il motivetto riprese a ronzarle nella testa, e una finestra dopo l’altra vide i davanzali trasformarsi in polvere e cadere sulla strada.
Allora abbassò lo sguardo sul davanzale della sua finestra, cosa che non aveva mai fatto prima, e vide che era parzialmente corroso. Quando toccò il marmo, qualche briciola si staccò e cadde giù.
Erano le undici; Brad era andato a vedere certi saldatori per il negozio e non sarebbe tornato prima dell’una, sempre che tornasse per quell’ora. Margaret pensò di scrivere a casa, ma cambiò idea prima di riuscire a trovare carta e penna.
Poi le venne in mente che avrebbe potuto fare un sonnellino, cosa che non aveva mai fatto la mattina, e andò a stendersi sul letto. Non appena si fu sdraiata, però, sentì che il palazzo tremava.
Inutile preoccuparsi, si ripeté, come se fosse una formula magica contro le streghe, poi si alzò e si infilò soprabito e cappello. Vado a prendere le sigarette e una busta di carta da lettere, pensò. Arrivo solo fino all’incrocio.
Il panico la colse mentre scendeva con l’ascensore; era troppo veloce. Quando mise piede nell’androne, solo la presenza di alcune persone che aspettavano di salire le impedì di correre via.
Camminando lesta, uscì dal palazzo e si trovò in strada. Lì si fermò per qualche istante, colta da un’improvvisa ansia di tornare indietro. Le automobili correvano più che mai, la gente andava di fretta come sempre, ma a impedirle di tornare sui suoi passi fu la paura dell’ascensore.
Arrivò all’incrocio e, seguendo la fiumana di persone che andava avanti, attraversò in fretta la strada, con un clacson che le strombazzava sulla testa e qualcuno che gridava dietro di lei e uno stridore di freni. Correndo ciecamente, arrivò sul marciapiede opposto, e laggiù si fermò e si guardò attorno. Il camion proseguiva e svoltava, la gente le passava accanto, spostandosi per non urtarla.
Nessuno mi ha visto, si disse, per rassicurarsi. Quelli che mi hanno visto sono già andati avanti. Entrò nel drugstore e chiese le sigarette; adesso, l’appartamento le sembrava più sicuro della strada, una volta capito che, per salire, poteva usare le scale.
Quando uscì dal negozio e s’incamminò verso l’incrocio, si tenne il più possibile accanto al muro, senza spostarsi per lasciar passare la gente che usciva dai portoni. Giunta all’incrocio, guardò con attenzione il semaforo: era verde, ma le parve che mancasse poco al giallo. Meglio aspettare, pensò, non voglio finire sotto un altro camion.
La gente, comunque, le passò davanti senza fare la stessa considerazione, e qualche persona rimase bloccata in mezzo alla strada quando arrivò il rosso. Una donna, più paurosa degli altri, si voltò e tornò di corsa sul marciapiede, ma gli altri rimasero fermi in mezzo alla strada, sporgendosi prima avanti e poi indietro a seconda del traffico che correva nei due sensi. Una persona approfittò di una breve interruzione nella fila di macchine per arrivare di corsa al marciapiede opposto; le altre persero qualche istante prezioso e furono costrette ad aspettare.
Poi tornò il verde, e mentre le auto rallentavano, Margaret scese dal marciapiede per passare, ma un taxi che svoltava a tutta velocità la spaventò e la costrinse a ritornare a precipizio sul marciapiede.
Passato il taxi, era ormai troppo tardi per approfittare del verde, e Margaret si disse: Ho tutto il tempo che voglio, posso aspettare un altro verde, non vedo perché farmi bloccare in mezzo alla strada.
Un uomo accanto a lei batteva impazientemente il piede per terra, in attesa che finisse il rosso; due ragazze s’inoltrarono di qualche passo sulla carreggiata, per indietreggiare poi di un passo quando una macchina sfrecciava accanto a loro, e per tutto il tempo non smisero di raccontarsi chissà cosa.
Dovrei stare accanto a loro, pensò lei, ma poi le due ragazze tornarono indietro, ritornò il verde, l’uomo che batteva i piedi si precipitò ad attraversare, e le due ragazze aspettarono un momento e poi attraversarono lentamente, continuando a parlarsi, e Margaret, che aveva già messo avanti il piede, decise all’improvviso di aspettare.
In un attimo, attorno a lei si formò una piccola folla; erano scesi dall’autobus e attraversavano tutti in massa, e Margaret ebbe l’impressione di essere presa in mezzo a loro e trascinata via con la forza, quando si mossero all’unisono per passare. Perciò si fece strada disperatamente in mezzo al gruppo, controcorrente, e andò ad appoggiarsi contro il muro e aspettò che quella sensazione le passasse.
Cosa penseranno di me, si chiese, e cercò di rizzare la schiena e di comportarsi normalmente, come se aspettasse qualcuno.
Guardò l’orologio e aggrottò la fronte per la sorpresa, ma si disse: Devo avere proprio un’aria idiota, chi vuoi che mi abbia visto, sono tutti di corsa. Si avvicinò di nuovo all’incrocio, ma il verde finì proprio in quel momento e lei pensò: Vado nel drugstore e mi faccio dare una coca, cosa ci torno a fare, nell’appartamento?
Il padrone del drugstore la guardò senza riconoscerla; lei si sedette e ordinò una cocacola, ma all’improvviso, mentre beveva, venne di nuovo colta dal panico e pensò alla gente che era vicino a lei quando aveva cercato di attraversare la prima volta: gente che adesso era a chissà quanti isolati di distanza, che aveva attraversato dieci incroci a partire dal momento in cui lei era stata presa dall’agitazione. Quella gente aveva già fatto un miglio di strada, solo perché era andata avanti senza preoccupazione mentre lei cercava di trovare il coraggio.
Pagò in fretta l’uomo, resistette alla tentazione di dirgli che se aveva lasciato il bicchiere a metà non era perché la cocacola fosse cattiva, ma perché si era accorta di essere in ritardo, e tornò in fretta al suo incrocio.
Appena arriva il verde, si ripromise con fermezza. È assurdo. Ma il verde giunse a tradimento, prima che lei fosse pronta, e nell’attimo che le occorse per fare mente locale, venne spaventata dalle auto che svoltavano e dovette risalire sul marciapiede.
Guardò con desiderio il negozio di sigari sul marciapiede di fronte, e la sua casa d’appartamenti proprio dietro, e si chiese: Come farà, la gente, ad arrivare laggiù? E capì che avere quella perplessità, ammettere quel dubbio, era stato sufficiente a perderla.
Venne il verde, e lei guardò il semaforo con odio: un meccanismo cieco, che si spegneva e si accendeva, verde e rosso, privo di volontà e privo di significato.
Guardando timidamente attorno a sé, per vedere se qualcuno la osservava, tornò indietro di un passo, di due, finché non fu lontana dall’incrocio. Ritornata nel drugstore, attese un segno di riconoscimento da parte del padrone e non ne ravvisò: l’uomo la guardò con la medesima apatia di poco prima. Senza alcuna espressione, le indicò il telefono; non gliene importa, pensò lei, non gli importa niente, che io telefoni o no.
Non ebbe il tempo di sentirsi come una sciocca, perché risposero immediatamente al telefono e furono molto gentili e glielo rintracciarono subito. Quando suo marito rispose, leggermente sorpreso, ma non allarmato, lei riuscì solo a dire: — Sono nel drugstore qui all’angolo. Vieni a prendermi.
— Che cos’è successo? — Brad non pareva eccessivamente ansioso di venire.
— Per piacere, vieni qui a prendermi — disse, rivolta alla nera cornetta del telefono, che poteva o non poteva riferirlo poi a lui. — Per piacere, Brad, vieni a prendermi. Per piacere.

Un pensiero su “UN REGALO DI NATALE

  1. Lo leggerò senz’altro.
    Intanto buone feste, Dama Lipper.
    Speriamo che il 2019 sia un anno… non so cosa dire di quest’anno.
    Allora ti auguro di poter fare tante chiacchiere al caffè con gli amici.

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