UNA PICCOLA STORIA

Giornate convulse in quel di Torino. Intanto mi  è arrivata una mail di Luca Tedoldi, che pubblico.
Le racconto una breve storia.
Ottobre 2008, comincio il mio laboratorio teatrale nella scuola media di Meda, dove avevo già insegnato. Il gruppo è composto da 18 ragazzi di prima media. “Cosa vi aspettate? Cosa volete mettere in scena?”
E qui una pioggia di proposte di mimesi dell’irrealtà televisiva. Balletti, gare, amici, nemici etc. Io sono spiazzato, oppongo il mio deciso rifiuto: “Ragazzi non se ne parla”. Non che pensassi a Shakespeare o a Beckett, ma almeno a qualcosa che avesse a che fare col teatro. Immaginazione, magia, essere altro da sè, mondi possibili, introspezione: queste sono le parole che hanno (o chissà, avrebbero dovuto) orientato il mio cammino. Della televisione non si è più parlato. Abbiamo giocato, abbiamo provato a stare in silenzio (davvero l’altro da sè per dei bambini scalmanati!).
Poi a gennaio ho proposto loro un testo. Racconta la storia di un bambino che, pian piano, perde la fantasia ed il movimento e si trasforma in un burattino inanimato, cioè in un personaggio televisivo. Acquisisce fama e libertà d’esibizione, perde fantasia (tre attori impersonavano il bambino, solo uno alla fine, da adulto) e facoltà di giocare. Bene, i ragazzi lavorano sul testo, ma senza capire(colpa mia) perchè il bambino, uscito dall’infanzia e finito nel pianeta televisivo, perda il moto e la libertà.
Il bambino, nel tempo A.T. (avanti Tv), corre sui prati, sputa, gioca a pallone, si azzuffa con gli altri, ascolta la musica, soprattutto ama le stelle e vuole osservare il cielo.
Dopo entra a far parte di  un mondo in cui le famiglie ridono, si prendono in giro e alla fine della puntata si amano per forza. La vivacità fisica è spenta, lui resta a casa a guardre il calcio, esce solo per andare all’Ikea.
Arriviamo al giorno della rappresentazione (9 giugno). Sala piena. Il pubblico (mezza scuola, alunni e prof) ride di fronte alle scene dell’infanzia scatenata e a-televisiva del protagonista; tace, quasi intimorito, davanti alle scene dell’assurda famigliola televisiva.
Perchè? Congettura. Le scene sulla tv erano satira di una pagliacciata, presa di distanza da una falsità; prendevano in giro una televisione che narra la realtà depurandola, rndendola leggera e innocua. Il pubblico è lì dentro, ergo non può avere distacco da sè.
Qualche mio collega mi ha detto che era un testo troppo difficile. Non l’han capito (forse non solo gli alunni!). Qualcuno avrà pensato: “Sì, è vero la tv è cacca! A che ora iniziano i Cesaroni?”.
Credo che l’esperimeno sia fallito. S’aspettavano dal teatro ciò che si attendono dalla tv: svago e spensieratezza. Temo che avranno dimenticato tutto già dopo mezz’ora.

17 pensieri su “UNA PICCOLA STORIA

  1. Non so se sia stato un esperimento fallito, forse dipende anche dalle aspettative. Se veramente nessuno lo avesse capito dovrei pensare che la rappresentazione teatrale non fosse semplice e chiara come il racconto nella mail. La piccola storia, che trovo molto interessante, di un lavoro teatrale sui mali della televisione, nato in controrichiesta dall’assefuazione a reificarne i messaggi più negativi.
    Forse se Luca avesse fatto comprendere il messaggio del testo almeno ad una parte dei suoi attori, non parlerebbe di fallimento, ma credo che il suo lavoro sia potenzialmente interessante come The Truman Show (dove neanche le smorfie di Jim Carrey riescono a strappare un sorriso).
    lucio

  2. Luca, prima di parlare di fallimento, dovresti sapere se a distanza di tempo qualcuno ancora se lo ricorda questo pezzo. Perché la vera differenza tra lo svago e spensieratezza fine a sé stesso e il teatro (ma qualsiasi tipo di intrattenimento) che ti semina un germe di critica, di pensiero sui mondi possibili che fa intravedere, è a mio avviso proprio questo.
    Cioè, il giorno che cadi dall’aereo senza paracadute e ti vedi passare la proverbiale vita davanti, secondo me ti serve di più aver visto anche una cosa che non capisci, ma che di suo questo germe di dubbio critico lo aveva, che non tremila glittershow.
    Insomma, prima di dire che potevi farlo meglio, che hai fallito, io direi che hai fatto un ottimo e lodevole tentativo, che in questo momento non puoi valutare, e che comunque sia andata ti ha insegnato qualcosa per il futuro.
    Non mi farei mai sviare da chi ti dice che un pezzo è difficile: un pezzo e difficile quando uno non lo vuole capire, perché capirlo significa confrontarlo con tutta una serie di scelte facili che ha fatto nella vita, e questo è difficilissimo per chi decide di mettersi in analisi, figurati per chi manco se lo sogna di mettersi in discussione.
    Io fossi in te andrei semplicemente avanti così (e, fossi in me, vado avanti cosi da 7 anni).

  3. Questo apologo mi sembra, più che altro, esemplificativo del perché la cosiddetta “egemonia culturale” ha così miseramente fallito.
    Porsi in maniera così acriticamente conflittuale “contro” la televisione è una scelta assolutamente perdente (oltre che sbagliata), perché la televisione, in realtà, è bellissima, e i bambini lo sanno bene. Chiunque si ponga acriticamente e didascalicamente “contro” il consumo di qualcosa di molto piacevole (il sesso, il fumo, la droga, l’alcol) è destinato a fallire, perché ogni sua affermazione si scontra inevitabilmente contro la realtà esperienziale del pubblico cui si rivolge.
    I bambini potranno far finta di aderire superficialmente al “progetto educativo” proposto dal testo teatrale di cui parla il racconto, ma, inevitabilmente, penseranno, più che altro, (giustamente e per fortuna) all’ora di inizio del loro programma preferito. E, così, trovandosi a dover scegliere tra due modelli antitetici, il “rifiuto” dell’orrenda televisione e il fascino della meravigliosa televisione, i bambini sceglieranno senza esitare (giustamente e per fortuna) il secondo, cui si consegneranno acriticamente, giustificati dall’impraticabilità del modello alternativo, del tutto inermi e senza difese.
    Se penso a me e alla mia infanza, alla mia adolescenza, mi rendo conto di dovere alla televisione e alla biblioteca di fantascienza di mio padre la maggior parte del mio immaginario. I sopravvissuti, il Prigioniero, Star Trek, UFO, i miei primi John Ford, Star Blazers, e, ancora prima, Pippi Calzelunghe, le Vacanze all’isola dei Gabbiani, il Tesoro del Castello senza nome… Sono state tutte esperienze vivificanti, molto più di una partita di pallone. Certamente, sono state esperienze molto più utili allo sviluppo della mia fantasia e della mia capacità di lettura del presente dei librini edificanti tipo Agnese va a morire o Fontamara che mi venivano imposti nella plumbea scuola media degli anni 70. Sono diventato un cittadino critico e democratico (e, marginalmente e incidentalmente anti-berlusconiano, visto che questa è la categoria che definisce il confine tra decenza e indecenza per molti italiani) molto più grazie a Star Trek che a Fontamara. Anzi, direi che sono diventato un cittadino democratico “nonostante” Fontamara.
    Se si cominciasse a guardare alla televisione non come al mostro da rinchiudere ma come a un elemento ineliminabile della nostra contemporaneità, al cui uso un bambino va educato e guidato proprio come lo si educa e guida alla lettura, alla socialità, alla pratica sportiva e così via, immagino che i risultati ottenuti da un tale progetto educativo sarebbero molto migliori e più confortanti di quelli descritti nella lettera di Luca.

  4. Be’, raccontato così sembra proprio un esperimento fallito; può capitare, l’importante è capire per quali ragioni e cercare di migliorare in futuro. Visto che si accenna a Shakespeare, io l’ho proposto Shakespeare, in terza media: abbiamo messo in scena il “Sogno di una notte di mezza estate”; alcuni di noi animatori erano scettici, invece si è rivelato un successo: uno dei punti forti è stato proprio il linguaggio di Shakespeare, per es. il modo in cui i protagonisti si offendono: invece di usare le solite “parolacce” escrementizio-genitali cui siamo abituati, se ne dicono di tutti i colori, con parole esplicite ma fantasiose e per questo… divertenti! Ho visto i ragazzini divertirsi come pazzi utilizzando spontaneamente quelle parole (e altre simili, inventate da loro sulla falsariga di quelle), per “insultarsi” a vicenda, ed è una cosa venuta da sé, senza nessun intervento “didattico” da parte nostra (cioè non siamo stati noi a farli riflettere sul linguaggio, lo hanno assimilato loro come possibilità liberatoria di gioco). In più Shakespeare parla d’amore (tema importante per i ragazzi e banalizzato dalla tv) e lo fa tanto con serietà quanto con leggerezza, sa far ridere e pensare. Mi sono stupita di quanto sia piaciuto ai ragazzi, li avevo sottovalutati… 🙁 Questo per dire che proporre qualcosa di alternativo alla tv significa proprio non parlare di tv: un teatro che mette in scena sempre di nuovo la tv (e tra l’altro in un modo moralistico – almeno a giudicare dal post – e quindi un po’ fastidioso) probabilmente non passa… ma non significa che ci si debba scoraggiare!:-)

  5. Caro Luca, una demonizzazione così superficiale e anacronistica della televisione mi lascia veramente perplesso. Spero sinceramente che a mia figlia non capiti mai di imbattersi in insegnanti, di teatro o altro, con vedute così ristrette. Mi sembra anche che tu abbia commesso un errore in quanto educatore: hai cercato più di esprimere te stesso, le tue idee e i tuoi pregiudizi, piuttosto che guidare la libertà di espressione dei ragazzi.

  6. sono molto d’accordo con Ilaria: la tv non va demonizzata, è un atteggiamento assolutamente snob. Anche perchè quelli che demonizzano la tv sono quelli che darebbero dei censori ai demonizzatori di internet…non si può essere così limitati. E’ ovvio che certa Tv fa schifo, ma non c’è mica solo “Uomini e donne” (che tra l’altro ho guardato per anni al ritorno da scuola sperimentando il concetto di sublime: ero -consapevolmente- incantata dall’orrore). Certo che la Tv, coem ogni emzzo, devev trovare i suoi linguaggi. Il reality ormai da anni si ripiega su sè stesso, ma è stato rivoluzionario. E adesso lo sono le serie tv americane prorpio perché hanno adottato nuovi linguaggi, tanto che superano il cinema. Quando la tv si rinnova proponendo nuove forme di linguaggio più aricolate (vedi Lost, ecc) che stimolano nuovi modi di pensare, nuovi approcci è un mezzo assolutamente valido. E’ inutile e distruttiva la tv che mostra dolore, volgarità ma allo stesso identico modo quella che ripropone l’ennesima trasposizione di un romanzo perchè semplifica ed induce alla pigrizia. Fare due puntate su Guerra e pace è ormai l’opposto di fare servizio pubblico, ma credo che invece è proprio quello che si aspettano ancora dalla tv ( e spesso la tv li accontenta pure) quei famosi demonizzatori di cui sopra.

  7. Sono Luca, ho scritto io la mail. Il discorso ha preso una strada che non m’aspettavo. La lettera è breve, il malinteso era prevedibile. I temi sottesi sono vasti, sono capace solo di alcune precisazioni.
    1 La televisione ed il suo luogocomunismo, per così dire. Non si tratta di essere pro o contro la televisione e basta. Il punto non è se essere con o contro Popper. Di tesi semplicemente contro la cultura televisiva siamo pieni ed ormai è la stessa televisione a parlar male di se stessa. E soprattutto, di cosa parliamo quando parliamo di televisione? E’ possibile che possa essere considerata da un solo punto di vista? Ma suvvia, è davvero facile scagliarsi, così genericamente, contro questo bersaglio; è uno sport nazionale, lo fanno tutti, soprattutto coloro che vogliono apparire saggi e anticonformisti. Io non sono né per Popper né per Aldo Grasso. Ripeto, bisogna capire di cosa stiamo parlando.
    Lo spettacolo non parlava affatto “dei mali della televisione”!!! Non intendeva fare una demonizzazione snobistica e acritica della stessa. Si tratta di una narrazione, non di un saggio o di una spiegazione, è un’opera teatrale, chiede di tenersi un po’ della sua indeterminatezza. Racconta la storia di una crescita, di una trasformazione, di un’ EDUCAZIONE. “Racconta la storia di un bambino che, pian piano, perde la fantasia ed il movimento e si trasforma in un burattino inanimato, cioè in un personaggio televisivo. Acquisisce fama e libertà d’esibizione, perde fantasia (tre attori impersonavano il bambino, solo uno alla fine, da adulto) e facoltà di giocare”. Come vedete non dico “ragazzi non guardatela” (la guardo anch’io, spesso), ma parlo dell’obbligo della fama e dell’esibizione. Cosa c’entra con il fatto che non tutto è Maria De Filippi? Che c’è anche Report, Blu Notte, Lost, Otto e mezzo, Palcoscenico, Star Trek, le inchieste di Iacona? Ho invitato i ragazzi ad essere se stessi, a non rispettare necessariamente i modelli che vedono le bambine belle e oche ed i maschi famosi e comici. Avrei potuto parlare della pubblicità, invece che della televisione; anch’essa registra e cristallizza degli stereotipi e li riproduce come una fabbrica. Il bambino, come il personaggio protagonista del mio spettacolo, ha il diritto di avere la sua eccentricità, la sua fantasia, i suoi doppi (da adulto diventa uno, fotocopia di se stesso). Di questo si tratta, altro che Pippi Calzelunghe sì o no.
    Poi Vittorio dice che la tv è meglio di Fontamara. Bene, ma non sarà certo demerito di Silone. Io preferisco Silone. Preferisco non essere rassicurato dalle famigliole allegre delle sit-com, preferisco non affossarmi nel divano perché qualcuno mi faccia ridere o mi rubi i tempi morti. Meglio i tempi morti. Ma non mi scandalizzo né mi vergogno se vado a cercarmi il meraviglioso nella televisione, come qualcun altro lo cercava una volta nei poemi cavallereschi.
    2 Lo snobismo è fastidioso soprattutto se proviene dalla cattedra. Ma altrettanto molesto è chi crede di combattere il moralismo semplicemente aderendo a tutte le merci che il mercato ci impone, come fossero piaceri naturali della vita (alcol, fumo, droga, televisione, sesso anaffettivo).
    3 Come parlare ai ragazzi. Se a loro piace sculettare su un palcoscenico è giusto che lo facciano? Se degli undicenni vogliono mostrare ad un pubblico di coetanei come sono bravi a recitare un corteggiamento, li lasciamo fare perché non dobbiamo scadere nel moralismo demonizzante?
    Perché, invece, non elogiare il coraggio di chi educa ad uscire da binari prestabiliti? Il coraggio di andare in rotta di collisione con le banalità propinate agli studenti, con le opinioni dei più, con modelli ripetitivi e convenzionali! Il coraggio di mettere in questione il senso comune, quello, ad esempio, che parcheggia i bambini davanti a mezzi di divertimento statici e poi s’illude di onorare il loro corpo, la loro vitalità, con gli sport agonistici.
    Il problema è che siamo davvero in pochi, microbi contro pachidermi.

  8. Caro Luca T.
    Non mi sembra che tu voglia un dibattito. Hai già deciso di essere buono e bravo; probabilmente hai scritto per avere applausi per il tuo coraggioso atto di controcultura popolare in una scuola media di provincia. Va bene: clap, clap, clap…
    Ti dico la verità: a me leggendo il tuo intervento è venuta in mente la scena del cineforum sulla corazzata Kotionkin in Fantozzi. Occhio a non essere bravo e democratico come il mega dirigente Guidobaldo Maria Riccardelli.
    Pace.

  9. Sì, ma il problema secondo me è che, da quel che si capisce dalla mail, tu hai calato dall’alto un certo copione da recitare, che (sempre da quel che si evince dalla mail, la realtà sarà certo più complessa) propone/impone uno schemino secondo me un po’ troppo didascalico (l’infanzia libera e spontanea che a causa della tv diventa solitaria, poco fantasiosa e omologata), e che soprattutto non è frutto di una condivisione con i ragazzi. Infatti poco dopo tu dici: “come parlare AI ragazzi”, non “CON” i ragazzi. Secondo me il problema è qui… tu hai messo in scena i tuoi valori e il tuo modo di pensare, ma quanto il testo è stato discusso, condiviso, concertato, modificato insieme a chi lo doveva recitare? Questo non significa che se a loro piace sculettare devono autenticamente farlo, ma non ha senso che non lo facciano solo perché tu gli dici di no. Forse poteva essere un’occasione per scambiare ed eventualmente costruire punti di vista diversi. Te lo dico sinceramente: se a me da bambina amante di Mila e Shiro o Holly e Benji, che facevo immancabilmente merenda alle 4 guardando BimBumBam (crollasse il mondo io ero lì) mi avessero imposto di recitare un copione in cui il “messaggio” era che mi rovinavo a guardare BimBumBam (sto semplificando)… mi sarebbe venuto un po’ il nervoso! 😉

  10. “Io non sono né per Popper né per Aldo Grasso.”
    Pur non essendo io un grande fan né dell’uno né dell’altro, direi che si vede.
    “Si tratta di una narrazione, non di un saggio o di una spiegazione, è un’opera teatrale, chiede di tenersi un po’ della sua indeterminatezza”.
    L’indeterminatezza non è una caratteristica in sé dell’opera teatrale. Se è un’opera tagliata con l’accetta come quella che hai descritto, seppure sommariamente, te ne do atto, non puoi pretendere che chi ne legge colga indeterminatezze assolutamente incoglibili.
    “Acquisisce fama e libertà d’esibizione, perde fantasia (tre attori impersonavano il bambino, solo uno alla fine, da adulto) e facoltà di giocare”
    Be’? Tutti quelli che acquisiscono fama e libertà di esibizione perdono fantasia e facoltà di giocare? Ma che cosa vuol dire? Bob Dylan ha perso la fantasia da quando è andato in televisione? Non capisco proprio.
    “Poi Vittorio dice che la tv è meglio di Fontamara”
    Hai appena detto “di cosa parliamo quando parliamo di televisione? E’ possibile che possa essere considerata da un solo punto di vista?”. Di solito, quando si fa un’affermazione, si cerca di rimanerle coerenti almeno per un paio di paragrafi successivi. Invece, tu torni immediatamente a parlare di “tv” in generale, identificandola con le “famigliole felici delle sit-com”.
    Io ho detto, se leggi bene, che quando facevo le medie e mi imponevano letture plumbee, per un dodicenne, come Agnese e Fontamara, la televisione che guardavo costituiva un salutare antidoto di immaginazione, di fantasia e di modernità, e lo penso ancora. Senza contare che l’affermazione “preferire Silone alla tv” è insensata quanto quella “preferire le mucche ai mercoledì”.
    “Ma altrettanto molesto è chi crede di combattere il moralismo semplicemente aderendo a tutte le merci che il mercato ci impone, come fossero piaceri naturali della vita (alcol, fumo, droga, televisione, sesso anaffettivo).”
    Ancora una volta, mi hai letto male. Leggere male non è una gran premessa, per uno scrittore, se devo essere sincero. Io non ho incitato a “aderire acriticamente” alle “merci” estetotrope; ho solo detto che porsi contro di esse semplicemente dicendo che sono il Male, quando invece chiunque le esperimenti è in grado di dire che sono bellissime, è una strategia affatto perdente, come è dimostrato ampiamente da qualsiasi proibizionismo. Non ho detto che bisogna aderire acriticamente al loro consumo, ho detto, al contrario, che bisognerebbe educare al loro consumo in maniera completamente diversa rispetto a quella che hai tentato di usare tu. E le tue stesse considerazioni finali sul successo della tua iniziativa mi confermano nella mia idea.
    “li lasciamo fare perché non dobbiamo scadere nel moralismo demonizzante?”
    No. Cerchi di educarli senza usare il moralismo demonizzante che hai usato tu. Ripeto quanto ho detto prima: Se si cominciasse a guardare alla televisione non come al mostro da rinchiudere ma come a un elemento ineliminabile della nostra contemporaneità, al cui uso un bambino va educato e guidato proprio come lo si educa e guida alla lettura, alla socialità, alla pratica sportiva e così via, immagino che i risultati ottenuti da un tale progetto educativo sarebbero molto migliori e più confortanti.

  11. Non mi spaventa il dibattito, anzi. Se ho parlato di fallimento è perchè so di aver sbagliato qualcosa, no?
    Avrò peccato di autoritarismo, mi dite voi. Probabile. Ma guardate che il testo è stato costruito a partire dalle attività di laboratorio, sui ragazzi e le loro caratteristiche, tant’è che molti colleghi, che insegnano nelle loro classi, se ne sono accorti prima che io lo dicessi. E, ripeto, Holly e Benji, li amavo anch’io.
    @Vittorio
    L’ansia di polemica ci fa solo perdere tempo. Io ho detto questo, tu hai capito quest’altro, si vede che non sei nè per Popper nè per Grasso (ma cosa vorrà dire? Si capisce solo che voleva essere un insulto!)… Dai su, restiamo sul punto. Lo dico in modo lapidario:sulle letture plumbee delle medie ho provato la tua stessa esperienza. Bene. I miei piccoli attori si son divertiti e mi hanno tutti ringraziato: nulla di plumbeo.
    Quando m’inviti a stare lontano dal proibizionismo moralistico, ti dico, Vittorio, “Ma certo che son d’accordo!!!”, non volevo fare nessuna crociata contro il Male televisivo, nessun sermone vetusto, nessuna invettiva unilaterale. La mia memoria è ricca di splendide fantasie d’origine televisivA. Le tue precisazioni sono utili, ma poi virano verso la contrapposizione frontale. Te lo chiedo perchè sono disponibile a darti ragione: dove sta il mio moralismo demonizzante, dove l’ho usato?
    Perchè non parliamo di teatro, del posto dell’arte in un contesto come quello scolastico? Della necessità di parlare CON i ragazzi della varietà dei mondi possibili, dell’immaginazione, di una vita non solo dedita al mito del successo e della bellezza?

  12. “Te lo chiedo perchè sono disponibile a darti ragione: dove sta il mio moralismo demonizzante, dove l’ho usato?”
    Ecco, il passaggio “Il bambino, nel tempo A.T. (avanti Tv), corre sui prati, sputa, gioca a pallone, si azzuffa con gli altri, ascolta la musica, soprattutto ama le stelle e vuole osservare il cielo. Dopo entra a far parte di un mondo in cui le famiglie ridono, si prendono in giro e alla fine della puntata si amano per forza. La vivacità fisica è spenta, lui resta a casa a guardre il calcio, esce solo per andare all’Ikea” mi pare un tipico esempio di moralismo. Non so se sia demonizzante o meno, però: ho ripreso questa espressione dalla tua prima replica. Come se la famiglia prima della televisione fosse felice. Mi piacerebbe guardare qualche dopocena di una famiglia media italiana degli anni 20; immagino che effusione di gioia.
    Non trovo che ci sia nulla di male nel litigare e nel contrapporsi, purché si argomenti. Mi dispiace solo che, come noti giustamente, non sia possibile parlare di quanto hai fatto, ma solo del fatalmente breve riassunto che Loredana ha postato qui.
    Sul ruolo dell’arte nella scuola non saprei veramente che cosa dire; so, però, avendo qualche volta “letto” qualche programma televisivo insieme a dei ragazzi, anche se più grandi di quelli di cui parli tu, che è molto più utile insegnare loro a leggere i trucchetti, anche banali, con i quali un Tg cerca di manipolarne la visione del mondo, che dire loro che leggere è meglio che guardare la Tv. Perché tanto poi la tele la guardano lo stesso. E poi, non è vero che è meglio. Io sono convinto che, estraendo a caso un libro ogni mille dalle giacenze di una qualsiasi libreria, e un programma ogni mille dal palinsesto televisivo di una settimana, mettendo dentro analogico, digitale e satellite, la probabilità di pescare una selezione di opere curate, intelligenti e fantasiose è molto maggiore con la tele che con i libri.

  13. Ecco, perché non hai usato la cattiva letteratura per ragazzi, come idolo polemico, lodando, per contrapposizione, la buona televisione? Questo sì che sarebbe stato “coraggio di mettere in questione il senso comune”!

  14. @Vittorio
    Sul metodo ti seguo: figurati se proibisco o demonizzo o sermoneggio o terrorizzo…Altro, però, è la scelta valutativa. E qui non accolgo con favore l’esempio delle giacenze delle librerie… No.

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