UN'ITALIA DECLINATA AL FUTURO

Terzo e ultimo giorno di presentazioni per Questo trenino a molla che si chiama il cuore. Bellissime, a dispetto della, ehm, stampa locale. Prima di affrontare l’ultima, questo pomeriggio alle 17.30 a Camerino, un piccolo ripasso del punto in cui siamo, e del quadro in cui rientra il progetto Quadrilatero, non solo devastante dal punto di vista ambientale, ma modello economico e finanziario perverso. L’articolo di Salvatore Settis su Repubblica di ieri.
Milano  invasa da Seveso e Lambro, Genova e la Liguria che spiano col fiato sospeso i loro torrenti, Alessandria allagata.
IL disastro annunciato che colpisce l’Italia a ogni botta di maltempo innesca ogni volta gli stessi effetti: i primi giorni pianti e lacrime, imprecazioni, ipotesi di mega- piani risolutori. Subito dopo, le chiacchiere si dissolvono nel nulla e si torna alla consueta strategia dell’oblio. Eppure quel che è in ballo è la vita dei cittadini, la salute del territorio, la salvaguardia delle generazioni future. Viceversa, ci industriamo a sbandierare alibi: cambiamenti climatici, bombe d’acqua, il fato, la sfortuna. Ma non ci sono scuse: non è vero né che questi disastri siano imprevedibili, né che siano recente novità, dato che già negli anni 1985-2011 si sono verificati in Italia 15.000 eventi di dissesto, di cui 120 gravi, con 970 morti (rapporto Ance-Cresme).
È vero invece che i governi d’ogni segno chiudono gli occhi per non vedere che l’Italia è il Paese più fragile d’Europa, col 10% del territorio a elevato rischio idrogeologico, il 44% a elevato rischio sismico, mezzo milione di frane in movimento. Un solo rimedio è possibile: mettere in sicurezza il territorio, programmare e avviare grandi opere di manutenzione e salvaguardia. Fare, per quel corpo di tutti che è l’Italia, quello che ognuno fa per il proprio corpo: non aspettiamo una malattia grave per andare dal medico, corriamo ai ripari da prima, sappiamo che prevenire è meglio che curare. Non si eviteranno tutti i danni, ma se ne ridurrà enormemente il numero, la frequenza e la portata.
Quali sono i costi di questa mancata manutenzione? Se- condo il rapporto Ance-Cresme, non meno di 3,5 miliardi di euro l’anno, senza contare morti e feriti. E quanto ci vorrebbe per mettere in sicurezza l’intero territorio italiano? Qualcosa come 1,2 miliardi l’anno, per vent’anni. Dunque l’opera di prevenzione, nei tempi lunghi, non è solo un investimento, è un risparmio. Ma proprio questo è il problema: i nostri governi rifuggono dai tempi lunghi, sono anzi afflitti da cronica miopia. Non sanno guardare lontano, non praticano la nobile lungimiranza predicata da Piero Calamandrei («la Costituzione dev’essere presbite »). Sono afflitti da strabismo, anche: davanti ai peggiori disastri, ne distolgono lo sguardo e sognano “grandi opere” (cioè grandi appalti), proclamando che da lì, e da lì solo, verrà l’agognato benessere.
E la storia si ripete: nel 2009, dopo la frana di Giampilieri (Messina) che seppellì 39 cittadini, il sottosegretario Bertolaso sostenne che era impossibile finanziare la messa in sicurezza dell’area, e due giorni dopo il ministro Prestigiacomo proclamò che bisognava affrettarsi a fare (su quelle frane) il Ponte sullo Stretto. Con identica sequenza, a far da contrappunto ai lutti in Liguria è venuta la dichiarazione del ministro Lupi alla Camera (10 novembre): «Io sono sempre favorevole alla realizzazione del Ponte e credo sia un tema che qualunque governo dovrebbe porsi».
Anziché leggere i segni premonitori dei prossimi disastri nel paesaggio deturpato, nell’assenza di piani paesaggistici regionali (invano prescritti dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio), nella mancanza di una carta geologica aggiornata (per il 60% del territorio dobbiamo accontentarci di quella del 1862!), ci stracciamo le vesti a ogni disastro, come se i colpevoli non fossimo proprio noi. Questa incuria, che coinvolge anche un’opinione pubblica incline a distrarsi, è ormai “strutturale”, un dato fisso dell’orizzonte politico italiano. A chi giova? A chi pratica una selvaggia deregulation, che nega ogni pianificazione di lungo periodo e in nome della libertà delle imprese e di uno “sviluppo” identificato con la speculazione edilizia calpesta i diritti dei cittadini e la tutela del territorio.
Nessun governo ha finora avuto il coraggio di fare una spregiudicata analisi degli errori, prerequisito indispensabile di ogni capacità progettuale. Anzi, nel recente Sblocca- Italia si prevede per la manutenzione del territorio un contentino di 110 milioni, a fronte di quasi 4 miliardi di spese in nuove “grandi opere” che accresceranno la fragilità del territorio. Dopo la Bre-Be-Mi, autostrada fallimentare e semivuota, avremo dunque la Orte-Mestre, con un beneficio fiscale di quasi due miliardi per le imprese costruttrici. Verrà perfino ripresa la costruzione della Valdastico, già nota come Pi-Ru-Bi (Piccoli- Rumor-Bisaglia), e lasciata poi cadere perché superflua. Ma l’unica, la vera “grande opera” di cui il Paese ha urgentissimo bisogno (e che genererebbe moltissimi posti di lavoro) è la messa in sicurezza del territorio. Per imboccare questa strada manca a quel che pare l’ingrediente essenziale: un’idea di Italia, un’idea declinata al futuro.

6 pensieri su “UN'ITALIA DECLINATA AL FUTURO

  1. …i disastri si susseguono mentre il “nuovo-nuovissimo” fa pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale lo “SbloccaItalia” con tantissime nuovissime cementificazioni.

  2. Parole sante. E pensa, cara Loredana (come stai? E’ un po’ che non ci sentiamo), a quanto pensiero, innovazione, tecnologia, etc. che si potrebbe fare rimettendo ordine al paese. Competenze che potrebbero poi essere sfruttate, esportate, trasformate in economia reale.

  3. Dovremmo forse capire che fanno parte del ‘made in Italy’ anche gli ottimi e avanzatissimi strumenti urbanistici di cui sono dotati i territori ! O la buona legislazione che riuscirebbero a difendere il passato e a riparare il futuro se solo diventasse ‘buone pratiche’. Che dietro l’enogastronomia c’è (anche) la cura, cioè il reticolo dei fossi puliti, la terra coltivata (e non abbandonata e quindi impermeabile). Che siamo anche noi umani e le nostre case, ‘paesaggio’. Ecco, allora adesso cloniamo la Lipperini e i doppi li mandiamo in giro a spiegare cosa c’è dietro le grandi opere e perché molti (di noi pure) non si rendono conto in tempo (magari dopo sì) di quanto sta succedendo esattamente sotto il nostro naso. E ci facciamo spiegare cosa c’entriamo noi con le sibille e le fate e i quadrilateri! Gran bel libro, grazie!

  4. Posso? Di Salvatore Settis segnalo anche il recente “Se Venezia muore”, Einaudi. Venezia, patrimonio dell’umanità, è in mano a una ristretta cerchia di briganti intenzionati a snaturarla dalle fondamenta e a trasformarla in una sorta di Nuova Rotterdam. Malgrado le promesse fatte, maxinavi sempre più incompatibili con la sopravvivenza della laguna continuano a sfilare imperterrite davanti a San Marco. Temo che le future generazioni, accanto al fenomeno del Brigantaggio Meridionale dell’Ottocento, dovranno prepararsi per l’esame di stato anche l’argomento del Brigantaggio Veneziano del xxi secolo, gestito da criminali in giacca e cravatta.

  5. Non è che i nostri politici hanno una visione miope, in realtà ci vedono benissimo, è che le grandi opere sono il bancomat dei partiti e della criminalità organizzata, quindi continueranno a far finta di non vedere..

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