UNO SFOGO: LE BRUTTE PERSONE CONTRO GINO CECCHETTIN

Permettete uno sfogo. Sono di cattivo umore, nonostante la palestra e le relative endorfine, perché aprendo la posta mi sono trovata svariate richieste, in certi casi anche un filino imperative, per un passaggio di qualche libro a Fahrenheit. Ora, qui ripeto per la decimillesima volta che è alla redazione che vanno rivolte le richieste medesime e non a chi conduce, né via mail, né via messenger o instagram e neanche via piccione viaggiatore.
Ma approfitto per porre una domanda. Non a chi mi ha scritto, tranquilli.
Leggo sui social cose orrende sul libro di Gino Cecchettin, Cara Giulia, che è uscito ieri. Quando dico orrende intendo in senso letterale. Persone che lo accusano di non essere “esperto del settore” (perché voi, invece?). Persone che lo descrivono come “affetto da un disturbo di personalità”. Persone che lo accusano di voler prendere tutta la luce dei riflettori.
Care bruttissime persone, solo una domanda: ma perché dovreste aspirare solo voi alla luce dei riflettori? Perché siete così pronte alla condanna e vi sentite immuni dalla critica? Perché non tollerate un rifiuto, una risposta mancata, un’indifferenza verso i vostri pregiatissimi lavori? Infine, perché non riuscite a credere a quello che io, nel mio assai piccolo, vedo invece come un gesto d’amore e di rimpianto? E lo scrive una che non ama molto, come è noto, i memoir (con i soliti distinguo) e che all’ennesimo libro dove si raccontano i propri cari perduti sospira un po’, un po’ tanto, anche quando sono molto belli.
“Perché è un’operazione commerciale”, gnagnerano le brutte persone. Ah, ma davvero? Perché tutti gli altri libri, belli brutti medi alti bassi, cosa sono? Per caso li distribuite gratis agli angoli delle strade?
Sedici anni va Javier Marìas, in un’intervista, disse questo:

«In Italia è stata ormai chiaramente abbattuta la frontiera tra ciò che si può dire o non dire in pubblico. Il linguaggio da bar, quello che io preferisco chiamare “linguaggio da caverna”, si è trasferito alla politica. È una forma superiore di demagogia, perché non si tratta solo di dire alla gente ciò che vuole sentire: il fatto che i politici adottino in pubblico il linguaggio crudo e brutale che dovrebbe essere confinato nel privato, gli dà legittimità. E ricompare nella bocca dei cittadini, ma con una veemenza molto superiore. Il pericolo è innegabile, perché può sempre accadere che ciò che si è detto si decida di metterlo in pratica, che si passi dalle parole ai fatti».

Sedici anni fa. Pensate prima di parlare, qualche volta. Io oggi non l’ho fatto, mea culpa, per questo il post è quello che è. Per una volta.

 

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