QUATTRO ANNI DOPO

Quattro anni fa, cominciava. Non eravamo ancora chiusi nelle case, almeno a Roma, ma stavamo per esserlo.

Ricordo che stavo preparando la lettura di Testamenti di Margaret Atwood per Radio3, con Viola Graziosi e Laura Palmieri. Ricordo che quella lettura sarebbe avvenuta in una sala vuota, solo noi e, a distanza, i tecnici. Ricordo che l’8 marzo non ci sarebbero state piazze, e per questo la serata si chiamò “Come se fosse una piazza”.
Ricordo tutto. Ricordo di aver scritto e pensato che la mia paura era  che una situazione inedita, che ci spaventava e ci separava, tirasse fuori il peggio di noi. Ricordo di aver letto cose che non avrei voluto e non vorrei mai più leggere. Demonizzazioni di persone che “entrano in un supermercato col naso rosso” e “andrebbero arrestate subito”. Scenari dove i giovani, ovviamente debosciati per anagrafe, ciucciano canne passandosi tonnellate di coronavirus. E i vecchi, si sa, son maledetti perché escono a fare una passeggiata, che crepino subito, si diceva.

Sibilava, nel nostro terrore collettivo, uno strano desiderio di ferocia, e sì, chiudete tutto, e che sia ordine, e che sia repressione. Ricordo di aver pensato ai romanzi post-apocalittici, dove chi sopravviveva provava immediatamente a restaurare le regole, ma quelle regole erano molto più restrittive e reazionarie del mondo di prima. Ordine, perbacco, si è ben visto cosa è successo con la democrazia: sono arrivati gli zombi (o Captain Trips).

Ricordo di aver sognato e detto: proviamo a cambiare il finale, seguiamo quello che ci viene detto, siamo prudenti, ma non cediamo al sospetto reciproco, recuperiamo quella parte di umanità che magari abbiamo negato quando si parlava di migrazioni, di precariato (che mostrava allora tutta la sua barbarie), di terremoto, anche. Proviamo non a far uscire la nostra zona d’ombra, ma quella, che da qualche parte esiste, luminosa. Proviamo, anche perché ringhiare sui social non serviva prima e adesso serve ancora di meno.
Sono passati quattro anni, e abbiamo dimenticato: non tutto, ma molto. Non tutti, ma molti. Non abbiamo ancora capito, davvero, cosa ci sia successo. E questo, questo è il danno maggiore.

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