IL GENRE BENDER DEL FANTASTICO

Su Repubblica di oggi trovate l’anticipazione del nuovo romanzo di Jonathan Lethem, Chronic city. Il titolo è “Fantascienza a Manhattan”, dal momento che l’autore intreccia realtà e fantastico nella sua storia. Non è la prima volta, per Lethem: nel 1994 il nostro vinse il premio Nebula con Gun, With Occasional Music, che venne definito un misto di fantascienza e hard boiled. Non molto tempo dopo, il New York Times si riferì a Lethem come un autore  genre bender. Se cercate su Wikipedia la definizione di “gender bender”, trovate che sta ad indicare “la persona che trasgredisce al comportamento previsto dal ruolo”. Sessuale, d’abitudine. Nel caso di Lethem, letterario.
Mi sembra che la vicenda di Lethem costituisca la chiosa migliore a quanto si discuteva ieri: prevedibilmente, c’è stato qualche commentatore che si è dichiarato schifatissimo dagli autori italiani di fantastico ammaliati da demoni e alabarde, e qualche altro che ne sottolineava l’ambizione a rinchiudersi nella famigerata nicchia.
La mia sensazione, invece, è che non pochi scrittori fantastici contemporanei puntino proprio al genre bender letterario di cui sopra. Con una particolarità che va ricordata: l’incursione nel non-reale viene osservata, registrata e persino apprezzata qualora venga da autori come il citato Lethem o, eventualmente, Murakami. Mal tollerata negli italiani, invece, per una questione di incertezza sul come collocarla: parlandoci molto chiaro, il fantastico nostrano viene – salvo eccezioni benemerite – considerato una risorsa per vendere molto, e non per tornare a quella che è stata la caratteristica più interessante della narrazione tutta. Il fantastico era l’epica dei popoli, mi ha detto recentemente un colto interlocutore. Invece, come ha scritto ieri Wu Ming 4 in un commento, è avvenuto che:
“Durante il secolo scorso si è imposta un’egemonia del realistico che accetta il fantastico solo in forma di 1) allegoria del reale; 2) allucinazione privata o passaggio onirico/psicanalitico. Il buon vecchio Todorov non smette di imperare, anziché imparare. Il fantastico “in quanto tale” (passami il termine, per capirci) è considerato ancora inammissibile all’attenzione della critica letteraria, ovvero roba per mocciosi o ragazzini immaturi. E pensare che invece per millenni, le favole (ovvero, le fairy tales, le storie “fatate”, “fantastiche”) sono state una forma letteraria fruita da tutti, grandi e piccini, come si suol dire. Oggi non più: agli adulti è concesso leggere le storie fantastiche solo per studiarle a fini antropologici, narratologici o sociologici, ma è considerato inconcepibile apprezzarle da comuni lettori”.
Il genre bender narrativo è, a mio parere, una via maestra da percorrere: e probabilmente sarà così, a dispetto dei bocconi amari che, tuttora, vengono ingoiati.

32 pensieri su “IL GENRE BENDER DEL FANTASTICO

  1. 1) Non sono un’accanita lettrice di fantasy/fantastico, la mia conoscenza di tale genere è inadeguata perciò preferisco intervenire poco nella discussione. Ad ogni modo, ieri, appena letto il post, ho istintivamente pensato alle Metamorfosi di Ovidio e ad Apuleio, salvo poi autocensurarmi un minuto dopo, ritenendo che questi esempi fossero OT rispetto alle tematiche proposte. Stamattina, scorrendo i commenti di ieri (mezza giornata lontano dal pc e rimango subito indietro…) mi accorgo non solo che quei classici sono venuti fuori nella vostra conversazione, ma che i 2 titoli sembrano essere supportati dalla frase ”Il fantastico era l’epica dei popoli” pronunciata dal colto e anonimo interlocutore (una frase, a parer mio, bellissima).
    Insomma, nella tradizione italiana il fantastico sembra avere radici nobili e antiche.
    2) “Durante il secolo scorso si è imposta un’egemonia del realistico…”
    Forse non sarebbe male partire proprio da qui, chiedersi perché ciò sia avvenuto.

  2. In questo nostro disgraziatissimo Zeitgeist il fantastico è l’unico linguaggio (il concetto di genere è più che defunto) adatto alla realtà. Quindi, l’unico realmente realistico. La sfida è proprio questa.

  3. @ Anna Luisa: esatto. Dopotutto la parola realtà, come diceva Nabokov, privata delle virgolette, non ha alcun senso. E, permettimi di aggiungere, nell’epoca della Narrazione Totale solo la battaglia degli immaginari (e dei linguaggi, appunto) è l’unica Staingrado che potrebbe permettere un rovesciamento dello status quo. O almeno di arginare l’invasor…

  4. Penso che tu abbia ragione. Per chi racconta credo anche che il genre bender sia una conquista. Più che un punto di partenza, un punto di arrivo.
    Liz

  5. L’Odissea viola molte regole epiche dell’Iliade, l’Eneide le reimpasta, la Farsalia le stravolge proprio (e infatti c’è chi la chiama poema epico atipico, poema epico-storico, tragedia storica).
    Volendo, potrei continuare giù giù fino a Guerre Stellari o Il Signore degli Anelli. Ogni buon lavoro di un certo ‘genere’ è mutante rispetto ai suoi genitori e antenati.
    E così, a ogni generazione possiamo trovare qualcuno (non solo critici, eh!) pronto a dichiarare questa non è epica e gridare o tempora o mores.
    E però, a ogni generazione ci può essere anche chi, con pazienza o a colpi di intuizione, individua genealogie e parentele.
    Nel XX secolo, la produzione seriale di massa ha ridotto il concetto di genere a quello di standard, di etichetta, gabbia. Gialli, horror, fantasy, thriller, spionaggio… Concetto degenere, direi. Ma ci sono comunque stati figli mutanti e ricombinati, e i migliori (come dovrebbe essere naturale) ne hanno fatto di strada e hanno finito per uscire dai recinti dove erano confinati.
    Può sembrare paradossale, ma è Ian Fleming genera Le Carrè. Non credo di poter dire che Howard ‘genera’ Tolkien – eppure in un certo senso ne prepara i futuri lettori. Hammet e poi Chandler, fiori di pulp. Non ci sono solo discese nel peggio e degenerazioni!
    Insomma se il genere è una forzatura, la buona scrittura e i valenti scrittori hanno la forza di trascenderlo. Questo fatto per me così trasparente, purtroppo, non è un dato pacificamente condiviso. Dico queste cose a studenti di liceo e non pochi storcono il naso. Lo dico a studenti di Lettere e tanti storcono il naso; professori, non siamo messi meglio.
    I motivi non li so, ma scommetterei che sono connessi alla concezione elitaristica di cui gode ancora oggi la cultura letteraria in Italia (sempre più immotivata e autoreferenziale, al giorno d’oggi!) e agli scarsi investimenti nell’educazione e nell’alfabetizzazione in cui il nostro stato è quasi sempre riuscito a distinguersi.
    Se in Italia leggere fosse affare dei più e non, ahimè, hobby spesso snob ed elitario, generi letterari e generazioni di lettori e scrittori dialogherebbero in modo più sano e proficuo per tutti.

  6. A proposito di bocconi amari (e io ne so qualcosa) qui da noi e’ ancora mal digerita da intere fasce di lettori/appassionati, pur tutti appartenenti alla famosa ristretta nicchia, qualsiasi commistione di fantasy e fantascienza.
    Cioe’, una fantascienza non abbastanza scientifica, o un fantasy un po’ troppo rigoroso.
    Mentre in generale i lettori mainstream vedono il fantastico come roba da bambini, e stop. E le case editrici privilegiano cio’ che appare “markettabile”.
    Io non mi do’ per vinta e quando scrivo, se i risultati non sono quelli attesi, preferisco comunque pensare che non sono stata abbastanza brava, piuttosto che rifugiarmi nell’alibi del pregiudizio e dell’ostilita’ (anche se il vittimismo e’ una forte tentazione…)
    Comunque continuo a provarci.

  7. Cara Loredana, ho un momento topico… ho capito! Genre bender, di genere e di gender, ma una devinizione cambierà la percezione?

  8. “Mentre in generale i lettori mainstream vedono il fantastico come roba da bambini, e stop.”
    Passando in un reparto fantasy di una qualsiasi libreria non vedo come si possa dar loro torto. E’ un tripudio di paranormal romance, come diceva Loredana qualche tempo fa.

  9. è vero che il reparto “fantastico” è abbastanza penoso da esplorare, ma la cosa divertente è che ci sono un sacco di libri “fantastici” dissimulati nel reparto narrativa e i lettori mainstream non sembrano lamentarsene..o non si rendono conto che hanno di fronte un’opera di genere?

  10. Comincio a pensare che molti presunti “critici” o “lettori forti” sodffrano di una specie di analfabetismo di ritorno, indotto da un’ubriacatura di “realismo soiciale” che non sono mai più riusciti a smaltire. I generi letterari se esistono NON riguardano l’argomento dell’opera che, come ho scritto magari un po’ enfaticamente sul mio blog, è sempre il Medesimo:
    “Pare che un’opera sia realistica quando richiama o addirittura include più o meno esplicitamente frammenti della storia, della vita sociale o della cronaca contemporanea. Sarebbe realistico un romanzo che cita delitti di mafia o scandali sessuali del ventunesimo secolo più del “Signore degli Anelli” di Tolkien. Monumentale sciocchezza, questa, dal momento che l’unico realismo cui l’opera d’arte può e deve aspirare è quello dell’integrità e della coerenza della propria forma, la capacità del simbolo (metafora, se si preferisce), di alludere al mondo intero, non riproducendo una parte codificata dell’esperienza collettiva, ma proprio consentendo al lettore di fare quello che l’esperienza personale e la cronaca non consentono mai, cioè contemplare nel microcosmo dell’opera la sferica compiutezza dell’Essere parmenideo.
    E non si tratta di un accessorio della vita: sarebbe tale, la narrazione artistica, se si limitasse a “spiegarci” qualcosa che non sappiamo, a darci “un emozione in più” o a svelarci i retroscena di uno storico intrigo. Invece l’arte è necessaria allo spirito quanto il pane al corpo, proprio perchè è l’unico modo che abbiamo di contemplare nel simbolo la totalità.”
    A chi interessa, in coda a questo post ho messo anche un bel brano di Lakoff:
    http://valterbinaghi.wordpress.com/2010/04/30/alle-origini-della-narrazione17-il-racconto-dinvenzione-di-che-parla-con-un-testo-di-g-lakoff/

  11. È vero, nel fantastico affondano le radici della narrazione, del mito, dell’epica. Ma purtroppo il nostro panorama culturale è passato attraverso un’epoca in cui tutto ciò che distraeva dal conflitto di classe, per dirla in parole molto povere, era considerato evasione dalla realtà, che in quanto tale favoriva il rimbecillimento del popolo e il suo adeguarsi allo stato delle cose. Il principio, di per sé, può anche avere un fondo di verità, che ci offre tra l’altro la giusta angolazione dalla quale guardare più o meno tutto ciò che oggi passa in televisione, ma, adottato in modo totalizzante e acritico, quel principio ha fatto disastri. Oggi l’atteggiamento verso il fantastico si sta facendo meno monolitico, ma quel mondo culturale che si è formato negli anni del Grande Rigetto ancora oggi non riesce a discostarsi da quella pregiudiziale che considera, per esempio, Tolkien un autore per ragazzi, una storiella di elfi e altre creature strambe. Stessa sorte per Asimov, con quei ridicoli robot, o per Dick, chi se ne frega se le pecore elettriche sognano … Ed è grazie a questi preconcetti che si sviluppa quell’analfabetismo di ritorno di chi perde, tristemente, la capacità di comprendere un livello allegorico, una metafora, il senso del mito, e si nutre solo di reality messi su carta.

  12. mi colpisce dopo tutto quel che ho letto in questi giorni, come il fulcro resti sempre il medesimo, siamo esterofili e non vediamo cosa di buono cresce dalle nostre parti. Gli altri qualunque astrusità scrivano nei loro romanzi hanno diritto a un’etichetta (inglese) che dia loro una sorta di placet, i nostri come giustamente faceva notare Loredana son tutti cretini, tutti wannabe (siamo esterofili usiamo gli inglesismi). Tutti pieni di se stessi al punto da sproloquiare se qualcuno falcidia il loro lavoro facendo oltretutto informazione(?). Resto convinto che pur con tutta la litigiosità del caso emersa tra Natale con i monnezzoni e questi giorni con il de bello giellico siamo in presenza di un assai interessante movimento letterario del fantastico. Un qualcosa che negli ultimi anni come faceva notare Francesco Falconi sta assumendo caratteristiche precise.
    Sarebbe il caso di prenderne coscienza a livello diciamo ufficiale? Loredana docet.

  13. @Milena d: con me sfondi una porta aperta 🙂 è il lettore mainstream che non pensa che ci sia qualcos’altro, oltre alle pile di vampiri e angeli innamorati.

  14. Dopo gli anni del Grande Rigetto il tempo della Grande Abbuffata, ovvero ‘Franza o Spagna purchè se magna’, ovvero, questo è ciò che vuole il mercato.
    Alla base, interessi di bottega, pubblicità, posti e prebende: un establishment critico invecchiato su modelli deteriori che dovrebbe essere sostituito da uno nuovo su modelli moderni, basati sulla narratologia, sulle neuroscienze, sul pensiero complesso, l’antropologia mitopoietica e il copincolla.
    In sottofondo il basso continuo: ‘i critici disprezzano i generi i critici disprezzano i generi i critici disprezzano i generi etc etc etc’
    Dopo generazioni che conoscevano la realtà attraverso i film, è il momento delle generazioni che la conoscono attraverso la tivù (che è meglio perchè a differenza del cinema è gratis), in attesa maturino le generazioni formatesi sui videogames.
    Brutta sorpresa: le vecchie generazioni di critici hanno potuto contare su posti pubblici nelle scuole o università e rubriche su giornali con tanto di stipendio; le nuove non saranno così fortunate e dovranno parlare di Tolkien gratis o quasi ma pare non se ne rendano ancora conto…
    (gender bender: quando non hai una trama originale, quando non sai creare dei personaggi, quando non hai idee personali, allora è il momento di mescolare gli stili e i generi nelle speranza che quel che non riesci a dire con un genere solo possa far finta di dirlo con due o tre e se non riesci a divertire puoi sempre farlo passare come simbolo della totalità)
    (p.s. personale: gli autori e lettori del fantastico non sono profughi del Darfur o delle favelas e se hanno una connessione a Internet non sono nemmeno così poveri per gli standard italiani. Parlargli con una certa franchezza non gli farà certo male – del resto s’è visto proprio qui, se non hanno un nemico esterno cominciano a dilaniarsi fra di loro)

  15. In tutta franchezza, Sascha, sei insopportabile.
    Hai già letto Lethem? Sai già che non ha idee? Sai già che ha scritto un romanzo senza trama originale? Come puoi nutrire pregiudizi di questo tipo? La tua non è franchezza: analogamente a quanto sostieni a proposito del Web, è puro, e spesso acidissimo, preconcetto. D’accordo: detesti i generi, trovi la Rete uno dei mali del mondo. Posso chiederti: secondo te, alla discussione, questo serve a qualcosa?
    A me, personalmente, no.
    Ma proprio no.

  16. Quel mattino di primavera del 2008, Jeanne appena uscita dal suo palazzo in rue Vaux, a Parigi, XX arrondissement, percepì un rumore che riconobbe subito. Eppure, l’aveva sentito solo una volta, ed era stato quasi quarant’anni prima.
    Il rumore di un corpo umano che si schianta per terra.
    Una decappottabile che spandeva musicaccia inchiodò, degli spilungoni incappucciati che risalivano la china si immobilizzarono e lungo il marciapiede dove giaceva il corpo una signora con un cane fece due passi senza vedere nulla poi alzando gli occhi si bloccò di colpo e altre persone ancora smisero di muoversi. In pochi secondi l’insieme dei passanti finì di passare, formando un semicerchio davanti alla facciata del commissariato dal quale era caduta la donna.
    La macchina ferma continuava a pulsare suoni, e ci fu qualche secondo vestito soltanto dagli indolenziti battiti dei bassi. Poi la donna stesa sul marciapiede cominciò a tremare dalla testa ai piedi. Nessuno si mosse.
    Tranne Jeanne. Senza avere coscienza dei propri movimenti, si ritrovò inginocchiata vicino alla donna per terra.
    Jeanne vide che aveva una ventina d’anni, dei tratti asiatici e che stava morendo. Con le dita andò in cerca delle sue dita. La morente l’afferrava.
    – Parti tranquilla, ragazza mia.
    Dopo aver pronunciato queste parole, Jeanne fu colta da un vuoto, poi si trovò in piedi, a contemplarsi le mani e gli avambracci coperti di sangue.
    – Non avrebbe dovuto farlo.
    Quella che aveva parlato: occhi azzurri, capelli corti, sulla trentina, tenuta nera elegante.
    – Cosa?
    – Non avrebbe dovuto toccarla. Bisognava aspettare i pompieri. Del resto, sono arrivati.
    Frastuono brutale di una sirena che si spegne di colpo.
    Bagliori della delicata luce primaverile sui caschi e sulla sottile coperta metallica. Tizi alti chini sulla morta per praticarle il bocca a bocca.
    – Siamo obbligati finché il medico non dichiara il decesso – spiegò un altro pezzo d’uomo. – A meno che la testa non sia separata dal corpo.
    – Lei è italiana? – domandò la donna in nero a Jeanne mentre si scostavano.
    – Perché me lo chiede?
    – Ha parlato alla vittima in italiano. In un momento come quello…
    Non terminò la frase. Jeanne capì quello che voleva dire. «In un momento come quello, non ci si controlla».
    Il momento in questione doveva essere passato perché Jeanne le avrebbe mollato molto volentieri una sberla, ma si astenne.
    – Vada a farsi fottere – si limitò a rispondere.
    – Non prima di finire il servizio – ribatté la donna in nero prendendo dalla tasca posteriore una tessera barrata col tricolore. – Capitano di polizia Fleur Dipietri.
    Ha un documento d’identità?
    – È illegale soccorrere le persone?
    Il capitano sospirò:
    – No, certo, ma lei è un testimone importante, dovrò interrogarla.
    – Non ho con me la carta d’identità, ma abito qui – disse Jeanne. – Al terzo piano. Il palazzo a destra del commissariato, quello da cui la gente passa dalle finestre. Mi chiamo Jeanne Lhomond.
    Dietro di lei una voce urlò:
    – Ho visto tutto! L’hanno buttata dalla finestra! Assassini! L’ha visto anche lei, eh, Jeanne? – No, disse Jeanne, non ho visto.
    E scappò via.
    Una mezz’ora più tardi, nei dintorni del commissariato bruciavano le prime macchine, dei fumi lacrimogeni si alzavano sul boulevard de Belleville e l’incaricato del potere dell’oligarchia francese in un comunicato dell’Eliseo dichiarava che non sarebbe stata tollerata alcuna violenza. Nello stesso momento, dopo aver messo alcune cose in una sacca, dissolto la scheda del cellulare nell’acido, preso tutto quello che poteva da un bancomat e abbandonato le carte di credito su una panchina, Jeanne si diede alla latitanza.

  17. Ho sentito ben parlare di Lethem, speriamo bene.
    A parte questo trovo che la definizione stessa di “commistione di generi” sia figlia(stra) dell’etichettamento forzato della narrativa. Che è amica del “io so’ mainstream e voialtri GENERI nun sete un…”, per parafrasare il Marchese del Grillo.
    E il fatto che faccia notizia è buono da una parte e meno dall’altra, perché significa ancora che si sta dando troppa importanza all’incasellamento (“oddio, ma questo qui non scriveva mica fantastico! e che ci fa l’alabarda spaziale a Manhattan? AIUTO!”). Però pace, e se serve per la causa (del fantastico, che NON è un genere a mio avviso) tanto meglio.
    Mitico Wu Ming 4.

  18. Il genre bender sembra una cosa grandissima e bellissima (e chi ha letto Lethem o Murakami già lo sa), però non mi pare che qua da noi ci sia qualcuno in grado di provarci con qualche possibilità di successo.
    I motivi ve li potete immaginare.
    Soprattutto mi pare che in Italia ci sia un’ignoranza ENORME su quali siano caratteristiche, evoluzioni e meccanismi del genere fantastico, cosa che invece un Lethem conosce a menadito.
    Poi se avete qualche esempio capace di dimostrarmi il contrario ben venga, sarò più che felice di leggermi qualcosa nato in italia e all’altezza degli autori citati.
    (Uno dei pochi tentativi di genre bender nostrano poteva essere forse Guerra agli umani, ma il risultato, almeno da quel punto di vista, è davvero terribile. Secondo me.)

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