Scrive Gl D’Andrea che il fantastico italiano versa in un orrendo status quo. Di certo, vive una stagione complessa. Perchè da una parte viene considerato il salva-bilanci delle case editrici, dall’altra viene – almeno molto spesso – frainteso. Chiacchierando con un illustre psicologo che sa molto di letteratura, qualche giorno fa, gli ponevo proprio un quesito simile: perchè il fantastico viene considerato affare per bambini, nel nostro paese? Il caso della trilogia di Wunderkind, dello stesso D’Andrea, è illuminante: è fantastico inequivocabilmente adulto, ma viene distribuito come libro per dodicenni. Al punto che alcuni lettori, come la ragazza di questo blog, si chiedono sbigottiti: “Che qualcuno mi spiegasse che DIAVOLO CI FACEVA QUEST’ARMA nel reparto LETTERATURA PER L’INFANZIA?”
Poi ci sono le case editrici colte che cominciano a intuire che il fantastico è altra cosa: e che, diamine, ci sono stati illustrissimi scrittori italiani del passato che si sono dedicati al medesimo, per non parlare di chi continua a farlo sfuggendo alle etichette (Tullio Avoledo, per fare un nome italiano, Saramago e Murakami per farne due non nostrani). Ma la sensazione è che, fin qui, pensino ad un fantastico che non si dichiara come tale, pena la svalutazione letteraria.
Poi, ancora, ci sono i singolari comportamenti di chi fa informazione in rete sul fantastico, la fa in modo approssimativo e assume comportamenti che lasciano sbigottiti. Per esempio , il presidente della Delos Book, chiamato in causa da D’Andrea per l’informazione errata data su Fantasy Magazine sul suo romanzo (una scheda riferita al primo volume della trilogia invece che al secondo, e un brano del libro modificato), reagisce sul blog del medesimo con queste parole: “da oggi nessun sito Delos Books parlerà mai più dei tuoi libri”, suscitando la sacrosanta reazione di un cultore attento del genere come Elvezio Sciallis (leggete qui i commenti).
Ricapitolando: da una parte il fantastico non trova ancora la giusta credibilità fuori dalle proprie nicchie, mentre all’interno delle nicchie medesime si ragiona molto spesso in termini superficiali. Dunque? Non condivido l’aggettivo orrendo usato da D’Andrea: di certo, mi sembra che se si vuole lavorare su questo terreno così come, anni fa, è stato fatto con il giallo o il noir, bisogna imparare (tutti: critici, giornalisti web e quant’altro) a conoscere, amare e studiare davvero il genere e i suoi testi. Accadrà? Forse, dal momento che alcuni editori-scrittori-operatori si stanno muovendo in questa direzione. Accadrà presto? No. Non credo proprio.
La rivoluzione non sarà mai fatta dalla borghesia…quindi sono gli scrittori che devono farsi carico del cambiamento.
Cara Loredana, sarebbe forse più obiettivo da parte tua chiedere anche la versione dei fatti, il nostro indirizzo lo sai. Il motivo dell’embargo dei confronti di D’Andrea è sotto gli occhi di tutti: ogni volta che abbiamo segnalato i suoi libri lui ci ha coperti di insulti e invettive. Segnalare un libro è un servizio all’autore. Se si fa un errore, basta segnalarlo e viene corretto. Non è questo il modo d’agire di D’Andrea. Noi semplicemente non insistiamo a fornire un servizio sgradito.
Gentile Loredana, da appassionato di fantasy e lettore di Wunderkind (primo volume) ho seguito con sbigottimento l’intera faccenda. Inclusi i vituperii e gli improperi lanciati da D’Andrea sul suo blog.
In una società civile l’Autore avrebbe segnalato alla rivista l’errore, chiedendone la correzione; in una società civile non avrebbe sbroccato e minacciato cripticamente con frasi tipo “vedranno”, “si impiccheranno”, paventando infrazioni di copyright per quell’errore che è risultato una riga (vuota) saltata (così dice il D’Andrea sul suo blog).
Insomma, mi sembra il classico caso in cui si cerca di fare un po’ di rumore (un po’ di pubblicità, insomma) a spese altrui.
Buona idea, quindi, quella di Fantasy Magazine di non trattare più uno scrittore che minaccia denunce quando si parla di lui.
E buona idea, per me, smettere di leggere questo autore, come smisi di leggere Simmons (che amavo) quando si produsse in un comizio razzista sul suo blog.
Con amarezza,
Paolo Ragno
Segnalare un libro è un servizio al lettore, non all’autore. A mio modesto modo di vedere.
“il presidente della Delos Book, chiamato in causa da D’Andrea per l’informazione errata data su Fantasy Magazine sul suo romanzo (una scheda riferita al primo volume della trilogia invece che al secondo, e un brano del libro modificato)…”
Purtroppo questa sciatteria non riguarda solo il fantasy. Cito un esempio recente. La presentazione di *Altai* a Roma all’Auditorium (non ero presente, ma ho ascoltato il podcast). La persona che introduceva il libro e gli autori ha descritto in questo modo la trama del romanzo: *25 anni dopo Q, fuga di papa Paolo IV a Costantinopoli*.
I casi sono due: o stanno circolando apocrifi iperucronici di Altai di cui non sono a conoscenza, o la persona che aveva il compito di parlare del libro non era conoscenza della trama.
La seconda che ho detto?
Anna Luisa, questa mi mancava. 🙂
Il problema è che io detesto i luoghi comuni che riguardano l’informazione culturale: e non mi piace che si accrediti il vecchio stereotipo “i giornalisti culturali non leggono i libri di cui parlano”. Tutto qui.
Perfettamente d’accordo con te. Il vecchio adagio che raccomanda di non fare di ogni erba un fascio è sempre valido.
Gentile Loredana, visto che scrive, qui, anche il vituperato direttore della Delos Books, mi permetto di fargli una domanda.
Signor Sosio, lei è “stato chiamato in causa” da D’Andrea? In che modo?
*25 anni dopo Q, fuga di papa Paolo IV a Costantinopoli*… a pensarci bene, potrebbe essere uno spin-off della Madonna! :-))
Paolo-senza-blog: attenzione a non deviare dal punto. Possiamo, se credi, elencare decine di casi in cui gli scrittori hanno reagito anche malissimo a una stroncatura o a inesattezze che li riguardavano. Il post – se noti – riguarda lo stato dell’informazione a proposito della narrativa fantastica, e la decisione di un “embargo” nei confronti d un autore mi sembra sorprendente.
Anna Luisa: in effetti….:)
Preciso: la Delos Book può scrivere qualsiasi cosa del mio libro, ci mancherebbe. Modificare (spaziatura, “a capo” e collegare proditoriamente un capitolo con un altro senza segnalare che si tratta di due capitoli distinti) ciò che ho scritto, non è solo sciatteria. Sulle denunce sorvolo, il mio tempo è più prezioso di quello di altri. Mi fermo qui, pensate quel che volete. (e grazie alla padrona di casa che ha capito benissimo quanto il problema non sia personale ma generico)
Ciao Loredana,
tu sei una critica, una giornalista web e quant’altro: se pensi di leggerlo o quantomeno di dargli un’occhiata, ti faccio inviare molto volentieri “L’acchiapparatti”.
Seguo da poco il tuo blog, spero che la mia offerta sia lecita e gradita.
Comunque, cara Loredana, è veramente avvilente sentirsi chiamare in causa in questo modo. “Informazione approssimativa”, e “sciatteria”, e via di questo passo. Il gruppo Delos Books pubblica cinque testate online dedicate in gran parte alla letteratura, pubblichiamo ogni anno migliaia di articoli e segnalazioni di libri. Su una mole di lavoro di questo genere è inevitabile che qualche errore possa saltar fuori, ma che diamine, sono siti web: basta segnalare e si corregge.
Non credi che il nostro sia un servizio utile? Non credi che il lettore italiano di fantasy, fantascienza, horror o degli altri generi ne tragga un servizio indispensabile?
E pensi davvero che sia un servizio positivo per la letteratura, il tuo, di criticare in modo, scusami, superficiale basandoti solo su quello che senti da 1 (un) autore? Perché non senti e riporti le opinioni degli altri migliaia di autori ben contenti di essere stati segnalati, recensiti, promossi dalle nostre testate?
Fare il censore della professionalità di colleghi non è quasi mai una scelta felice, ma se vuoi farlo le critiche sono sempre accettate, ma documentate e argomentate.
Seguo di tanto in tanto questo blog, ma non sono mai intervenuto. Francamente oggi era impossibile non farlo, visto che i fatti vengono riportati e presentati in maniera tanto frammentaria quanto parziale. Le mie posizioni rispecchiano quelle di Silvio Sosio e Paolo. Mi aspettavo una disamina più completa e spassionata di ciò che si è verificato, perché è inaccettabile il continuo e miope attacco di autori che hanno più ego che libri in libreria. Come giustamente dice Paolo: “In una società civile l’Autore avrebbe segnalato alla rivista l’errore, chiedendone la correzione; in una società civile non avrebbe sbroccato e minacciato cripticamente con frasi tipo “vedranno”, “si impiccheranno”, paventando infrazioni di copyright per quell’errore che è risultato una riga (vuota) saltata (così dice il D’Andrea sul suo blog).” Per favore, ricordiamoci sempre che prendersi troppo sul serio non fa bene.
Gentile Loredana, premesso che non sappiamo tutto quello che è successo, a meno che i diretti interessati producano l’intero carteggio, con le cose così come stanno a me pare evidente che il cosiddetto embargo è il risultato di un preciso desiderio del D’Andrea.
Che questo desiderio sia sfruttare Fantasy Magazine facendo rumore (del resto tattica funzionale, nella Terra dei Berlusconi…) o evitare l’indignazione.
Se vogliamo parlare di stato dell’informazione è, forse, meglio cambiar discorso. Siamo in Italia, non si può parlare di informazione senza prima parlare di politica.
Francesco Barbi: bravo è esattamente questo che vado dicendo.
Gentile Sosio, da giornalista io ho trovato avvilente la sua frase sull’embargo, in tutta onestà. Perchè, mi perdoni, questo suona come “chi parla male di Fantasy Magazine troverà le porte chiuse”. Non lo trova grave?
Quanto agli errori, è evidente che si commettono e che vanno corretti: nell’informazione cartacea quanto nell’informazione via web, che deve dimostrare professionalità allo stesso modo.
Sono intervenuta in questa vicenda unicamente per la dichiarazione che ha rilasciato: mi perdoni, ma l’informazione culturale non può basarsi sul consenso dei recensiti o dei segnalati. Tanto meno su Internet: ed è proprio perchè i vostri siti sono i più importanti del settore che occorre parlarne. Questa, spero, è una risposta anche per Azzolini: non mi interessa il modo in cui un autore si rivolge a una testata. Mi interessa l’embargo.
Ps. Alle provocazioni, ugualmente avvilenti, del signore senza blog non rispondo, se mi è concesso.
Gentile Loredana,
mi scuso se quel che ho scritto è sembrato una provocazione (anche se non capisco dove).
Però mi pare, a questo punto della discussione, che l’argomento sia “Perché Fantasy Magazine ha indetto l’embargo su D’Andrea?”
Ho capito bene?
Chiedo, perché dal post mi pareva un altro, il punto.
L’idea che io stia sfruttando Fantasy Magazine, o mi presti a un’operazione di marketing, non mi fa molto piacere, come immaginerà. L’argomento del post riguarda lo stato del fantastico e l’informazione sul fantastico. Mi sembra che la pubblica decisione di bandire uno scrittore dall’informazione medesima meriti attenzione.
“Gentile Sosio, da giornalista io ho trovato avvilente la sua frase sull’embargo, in tutta onestà. Perchè, mi perdoni, questo suona come “chi parla male di Fantasy Magazine troverà le porte chiuse”.”
Mai accaduto niente del genere. Se avesse indagato un po’ più a fondo avrebbe visto che la faccenda non è in questi termini. Il signor D’Andrea non ha “parlato male di FantasyMagazine”, ha lanciato insulti, invettive e persino minacce legali a causa di un errore su uno stralcio del suo libro pubblicato da FantasyMagazine. Non è accaduto una volta sola. È evidente che D’Andrea *non vuole* che FantasyMagazine parli di lui. Lo dico giusto per ristabilire la realtà dei fatti, poi se vuole andare avanti a fare una crociata contro i malvagi editori che embargano i poveri scrittori inermi è libera di farlo, è certamente un argomento eccitante, anche se fuori dalla realtà di questa situazione. Per quanto mi riguarda ho detto quello che avevo da dire, grazie per lo spazio concesso.
Provo a dire qualcosa sullo stato del fantastico dalle nostre parti: è un genere importato – e che purtroppo importa poco a livello letterario e di immaginario in generale. Paghiamo ancora i deficit del nostro romanticismo asmatico e zoppo. Il fantastico non è usato in quanto genere espressivo amato o necessario per l’autore, ma come espediente per l’introspezione che ancora domina le pagine dei nostri romanzi.
Non che sia un male assoluto, eh. Sirene di Laura Pugno funziona, come romanzo letterario – ma il fantastico è ancillare. Il codice di Perelà di Bontempelli è tutt’al più un pretesto.
Dylan Dog (quello di Paola Barbato forse anche più di quello di Sclavi) è unico proprio perché porta un fumetto fantastico a incedibili profondità esistenziali: ma ditemi chi se li fila Sclavi o la Barbato quando scrivono romanzi? In Francesco Dimitri il fantastico prevale, si sente un vero feeling tra loro… e infatti piega inevitabilmente sul britannico!
Tantissimi giovani che hanno la penna piena di storie fantastiche lavorano in un demimonde per bambini fatto di fumetti, di topi editori e scuole di pirati, senza avere occasioni di misurarsi con la letteratura. E poi, ancora, si vedrà come verranno accolti i Bambini nel bosco di cui parlavamo pochi post fa.
Restiamo in attesa di un genio che sappia coniugare mondi che ancora non si fanno vedere bene insieme, ‘letteratura’ e ‘fantastico’. È forse Umberto Eco? Sarà qualcuno che è capace di cogilerne l’eredità migliore? Chissà. Arriverà il nostro Borges, prima o poi – o per lo meno il nostro Neil Gaiman. Spero che sarà impossibile non accorgercene.
Paolo, anzitutto grazie per il commento: in secondo luogo, penso che i tempi potrebbero essere maturi per avere il Neil Gaiman che desideri. Mi pare, almeno, che ce ne siano i segnali.
Sosio, a me continua a sembrare che anche se un qualsiasi autore, non solo quello in questione, sbraita e insulta, l’atteggiamento di una testata non possa essere quello della porta chiusa. Mi sbaglio io, probabilmente, che devo dirle?
Uhm – a parte i refusoni di digitatura (sto rieducando un paio di dita sulla tastiera), c’è una correzione concettuale importante. A fine comment ‘letteratura’ va letto come ‘letteratura italiana’. Gome!
Paolo S., c’est moi!
Ehm…
Aldilà di tutto, è certo che in Italia abbiamo un serio problema col fantastico.
Non da parte del lettore/spettatore (scusate i miei continui riferimenti al Cine, ma è la mia zona), ma senza dubbio da parte degli autori e della critica.
Quali che siano le cause sociologiche, psicologiche, se non narrative, non saprei dirlo.
Però il problema c’è e se ne avverte la differenza.
Anche la mia generazione (diciamo di trentenni) cresciuta a Spielberg e Lucas e non certo a Bellocchio e Rossellini, ha ancora evidenti traumi ad affrontare il fantastico.
Ovviamente è colpa anche dei maestri (cattivi). Se arrivi a proporre una storia e loro ti dicono “ma che è sto demone? che so’ ste alabarde?”, non ti viene da continuare. Sai che si parla un linguaggio totalmente differente.
Certo, la letteratura è diversa. Puoi piazzare draghi di 30 metri senza dover sborsare una lira. Eppure editors e critici stessi hanno ancora la tara mentale del: “fantastico=libro per bambini”. Finché non schiodiamo questo insulso pregiudizio, io la vedo ardua.
E chissà, come forse si diceva in qualche post fa, se le condizioni culturali in cui versa il nostro paese non siano anch’esse colpevoli di questo immaginario frustrato.
Frustrato è la parola migliore che ho al momento.
Gentile Loredana,
ho capito il fraintendimento. L’opinione (e non l’accusa, lo preciso perché, legalmente, sono cose radicalmente diverse) che ci fosse un tentativo sfruttamento era una delle possibili ipotesi per spiegare il comportamento irrazionale di D’Andrea, nulla ha a che vedere con lei.
È una delle possibili spiegazioni (non l’unica), fa parte di una mia opinione e spero di essere ancora legittimato ad esprimerla.
Personalmente (da lettore, non essendo un operatore del settore) è che il fantasy, in Italia, sia in ottimo stato mentre il fantastico (inteso come tutto il resto che non è canonicamente fantasy) si trovi ancora in uno stadio prenatale, soprattutto rispetto ad altri Paesi.
L’informazione si trova, invece, in uno stato disastroso. L’unica fonte affidabile d’informazione è, ritengo, Fantasy Magazine. Non esistono praticamente riviste a stampa, non esistono siti d’informazione non dico a livello professionale ma a livello, per lo meno, di quelle che nei Paesi anglosassoni chiamano “Pro-zine”, cioè “fanzine professionali” (questo è, secondo me, il livello di Fantasy Magazine: un’eccellente pro-zine).
Poiché ho un hobby il cui ambiente somiglia, per molti versi, a quello della letteratura fantastica (sono modellista), penso che il problema sia lo stesso: la “gente”.
La “gente” include, in questa accezione, sia il pubblico, sia gli scrittori. E molto spesso le due categorie coincidono, perché gran parte del pubblico che “partecipa” è, perlomeno, composto da aspiranti scrittori.
Per migliorare lo stato dell’informazione l’unica via che vedo è quella, grossomodo, che mi sembra aver intrapreso proprio Fantasy Magazine (mentre altre testate Delos non stanno percorrendo la stessa strada, credo, ma le seguo poco). Ovvero mettere l’informazione in mano a gente che faccia informazione, non letteratura.
Spero di aver dato un contributo utile alla discussione.
(Riguardo l’embargo, il signor Sosio ha confermato quel che pensavo, ovvero che sia stato causato dal desiderio di D’Andrea che Fantasy Magazine non parli più di lui).
io sono ancora basito. Quando riceviamo mail per i nostri errori, di solito, chiediamo scusa e correggiamo. Abbiamo corretto anche stavolta, ma non certo per lo strepitio. E’ un atto dovuto. Ma sentirsi “cappi al collo”… Perchè? Per una formattazione sistemabile in men che non si dica? Mio nonno diceva “solo chi non lavora non sbaglia”. Quando commetto un errore mi assumo le responsabilità e non le scanso. E imparo la lezione.
Del cosiddetto “embargo” mi assumo la corresponsabilità. Chi non sarebbe titubante ad avere a che fare con chi ti insulta preventivamente, senza provare un contatto? In ogni caso nel suo blog è il Sig. D’Andrea che esplicitamente dice che preferisce che non parliamo di lui. Per cui va bene così. A ognuno le sue occupazioni.
Gli avessi risposto picche ad una eventuale mail, avrei compreso qualsiasi reazione “energica”, ma io se non me lo avessero detto, del suo strepito sul blog non lo avrei saputo mai. Non seguo tutti i blog possibili e immaginabili. Ma ho una mail redazionale, alla quale, i lettori e gli scrittori lo sanno, rispondo in tempo reale o quasi. Autori, amici, uffici stampa, lettori, altri redattori; le segnalazioni possono arrivare dalla fonti più disparate, se c’è qualche refuso lo correggo al volo. Ho sempre ringraziato per la segnalazione dell’errore. Anche coloro che lo segnalano sul forum, e i miei post stanno lì a provarlo.
Oltretutto il Sig. D’Andrea ha le mail personali dell’autore del pezzo e di altri redattori, con i quali in passato i rapporti sono sempre stati cordiali. Con due righe di mail sarebbe stato ascoltato ed esaudito.
Sulla questione non credo di avere altro da dire Loredana, grazie dell’attenzione.
Ekerot, temo che frustrato sia la parola giusta. Al momento.
Paolo-senza-blog: io tento di fare un discorso complessivo sul fantastico proprio perchè mi sembra che una delle strade percorribili al meglio sia quella di concentrarsi per prima cosa sul macrogenere. Tullio Avoledo scrive narrativa fantastica ed è questo che mi interessa prima ancora di sottolineare a quali canoni della fantascienza risponda e quali trasgredisca.
Sull’informazione: non saprei dirti se un giornalista sia sempre e comunque meglio di uno scrittore nel fornire la medesima. Quel che è importante, mi pare, è il risultato.
Sulla vicenda D’Andrea, provo a farmi capire (anche da Emanuele Manco) con un aneddoto che riguarda il mondo del teatro. Aneddoto, credo, famosissimo ovunque.
Un bel giorno, un critico stroncò duramente un’attrice. L’attrice inviò al critico un barattolo di merda. Il critico rispose con un mazzo di fiori.
Per me, è una lezione, oltre che di stile, di professionalità.
Ps. Il critico, a quel che mi risulta, continuò a recensire l’attrice.
Gentile Loredana,
non ho frequentato la scuola di giornalismo; ma amici e colleghi che l’hanno frequentata mi dicono che vi si insegna (o forse vi si insegnava, quindici anni fa, quando la frequentarono loro) che il linguaggio e l’approccio giornalistico sono ben diversi dal linguaggio e dall’approccio letterario.
Io penso che a un giornalista spetti il duro compito di fare informazione il più possibile neutrale (totalmente neutrale no, è impossibile, anche i giornalisti sono esseri umani con idee e simpatie); il giornalista deve dare i mezzi al pubblico perché si formi un’opinione corretta. È una visione troppo idealistica? Non so, ma vorrei che fosse così.
Lo scrittore ha tutt’altro ruolo: lo scrittore deve presentare le proprie idee al pubblico, imporle e sbandierarle con la violenza necessaria all’espressione artistica.
Riuscire a fare (alternandole) entrambe le cose è, per quel che vedo in giro leggendo ogni tanto romanzi di giornalisti-scrittori, abbastanza utopico. Non impossibile, forse, ma rarissimo.
In quanto a Saramago, Buzzati (perché dimenticarsi Buzzati?), Avoledo, sì, sarebbe un passo avanti se la “critica” tradizionale riconoscesse che sono anche scrittori di genere. Come sarebbe un passo avanti se gli scrittori smettessero di vergognarsi dichiarandosi “scrittori non di genere” e ammettessero: Sì, sono scrittore anche di genere.
Non conoscevo l’aneddoto della merda (è molto carino, lo riciclerò con i miei studenti); ma l’attrice aveva un blog su cui aveva scritto “Preferisco che il critico X non parli più di me”?
Aggiungo, scusandomi se faccio un errore di netiquette con un doppio post: non credo che sia una buona cosa concentrarsi su un macrogenere. Parte di esso – il fantasy – sta benissimo, prospera e produce anche erba cattiva (chiaro sintomo di iperfertilità).
Bisognerebbe invece concentrarsi sui generi trascurati – i fratelli minori – perché non vengano soffocati da “Oh un altro romanzo fantasy”.
Un po’ come distinguere tra noir e poliziesco, tra legal thriller e investigativo d’azione, dovremmo forse promuovere la distinzione tra fantasy classica e urbana, tra neogotico e weird.
Sempre, umilmente, una mia opinione.
Vedo che nei commenti si entra davvero molto nello specifico del caso D’Andrea-Fantasy Magazine. Caso che ho avuto modo di seguire ma sul quale non credo mi esprimerò, al momento.
Il punto focale di questo post mi sembrava però un altro: il fantastico, in Italia, sarà mai riconosciuto come un genere destinato anche a dun pubblico al di sopra dei 12 anni?
Io credo che sì, prima o poi la si spunterà, quando finalmente non saranno più i romanzi ad essere funzionali al marketing, ma viceversa.
Ma forse sbaglio.
Certo, il problema è ben più profondo e ha radici che vanno oltre il marketing. Eppure iniziare da lì mi sembrerebbe quantomeno appropriato.
Sì, ,ma solamente pensare di riempire un barattolo di merda, confezionarlo e spedirlo via posta a qualcuno per manifestare un segno di disapprovazione, ha in sè, in un certo senso, un valore artistico, geniale, è una pensata, è un atto. Come quando Guccini se la prese con il critico Bertoncelli nella canzone L’avvelenata. I due poi si chiarirono e divennero anche amici. Guccini rispose con l’arte, con una canzone. Ma sbraitare da un blog, insultando e minacciando per un errore che nel web è facilmente risolvibile non “invita”, non stimola nessun gesto come quello di mandare un mazzo di fiori. Questa è una reazione diversa.
@Paolo (che non ha blog): cito “Insomma, mi sembra il classico caso in cui si cerca di fare un po’ di rumore (un po’ di pubblicità, insomma) a spese altrui.”
GL è stato pubblicato da Mondadori. Pensi davvero che abbia bisogno di farsi pubblicità sul suo blog per vendere una decina di copie?
Sinceramente, non capisco perché qualsiasi protesta debba essere vista come un modo per pubblicizzarsi/attirare l’attenzione.
Ci sono persone che quando vedono una cosa che non gli piace s’incazzano. Se vedono che succede ripetutamente si incazzano ancor di più – io sono tra queste, tra l’altro.
Se si riscontra malcostume si fa bene a parlarne pubblicamente. Non per questo viene meno la civiltà.
Anzi.
@Ekerot: [chi non muore si rivede (riferito al sottoscritto)]. Nemmeno io ho le idee chiare sulle cause del nostro “problema col fantastico”, ma vorrei provare a ipotizzarne una. Forse dipende dal fatto che ci hanno abituati a considerare le storie in cui compaiono cavalieri, draghi, magie, esseri stravaganti, etc. come un prodotto fiabesco per bambini e ragazzini. Durante il secolo scorso si è imposta un’egemonia del realistico che accetta il fantastico solo in forma di 1) allegoria del reale; 2) allucinazione privata o passaggio onirico/psicanalitico. Il buon vecchio Todorov non smette di imperare, anziché imparare. Il fantastico “in quanto tale” (passami il termine, per capirci) è considerato ancora inammissibile all’attenzione della critica letteraria, ovvero roba per mocciosi o ragazzini immaturi. E pensare che invece per millenni, le favole (ovvero, le fairy tales, le storie “fatate”, “fantastiche”) sono state una forma letteraria fruita da tutti, grandi e piccini, come si suol dire. Oggi non più: agli adulti è concesso leggere le storie fantastiche solo per studiarle a fini antropologici, narratologici o sociologici, ma è considerato inconcepibile apprezzarle da comuni lettori.
Ecco, tanto vale che aggiunga una celebre citazione d’annata:
“Tra coloro che hanno ancora abbastanza buon senso da non ritenere le fiabe perniciose, l’opinione più diffusa sembra essere quella secondo cui esiste un rapporto naturale tra esse e la mente dei bambini, un rapporto dello stesso tipo del nesso che lega il loro organismo e il latte. Ritengo che si tratti di un errore, nella migliore delle ipotesi dovuto a un sentimento mal riposto e quindi commesso soprattutto da chi, per qualsivoglia motivo personale (come ad esempio la mancanza di figli), tende a considerare i bambini quali esseri di specie a sé stante, quasi una razza diversa, anziché quali membri normali, ancorché immaturi, di una famiglia particolare e della famiglia umana in generale. In effetti, la connessione istituita tra bambini e fiabe non è che un accidente della nostra storia. Le fiabe [fairy tales], nel moderno mondo alfabetizzato, sono state relegate nella stanza dei bambini, così come mobili sciupati o fuori moda vengono relegati nella stanza dei giochi, soprattutto perché gli adulti non vogliono più vederseli attorno e non si preoccupano se vengono maltrattati.”
J.R.R.Tolkien – Sulle fiabe, 1939
Sì Loredana, ci sono i segnali, poi però bisogna anche avere chi li decodifica!
Comunità degli scrittori, pubblico e critica… insomma, penso che manchi un contatto tra la sana palestra ‘industriale’ e ‘preartistica’ di fumetto, libri per ragazzi, reportage giornalistico & co e l’editoria dei grandi, dove a volte ci si trova più per frequentzione di amici degli amici che per meriti veri e propri. Ci sono la serie A, la serie B e ci sono, troppe volte, enormi difficoltà a fare il salto mentale tra le 2 categorie.
Ekerot, ci capiamo al volo. Pensa un po’, tu mi opponi Lucas e Spielberg a Rossellini e Bellocchio. E dire che abbiamo Mario Bava, Lucio Fulci, il primo Pupi Avati… che hanno pur detto qualcosa, nel fantastico. Li conosci bene, ma non li metti neanche a gareggiare.
Io ho fatto la stessa cosa nel mio elenco, dimenticandomi di Italo Calvino!
Prendiamo il profilo di Calvino da wikipedia: “è stato uno scrittore italiano. Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato forse il narratore italiano più importante del secondo novecento. Ne ha frequentato tutte le principali tendenze letterarie, dal Neorealismo al Postmoderno ma restando sempre ad una certa distanza da esse e svolgendo un proprio coerente percorso di ricerca”.
Il suo periodo fantastico, non solo in wikipedia, è semplicemente ricondotto alla fascinazione per le fiabe e le tradizioni popolari. E invece, Calvino benaltro… Bisogna cercare molto, nella critica, per capire che non è tutto qui. Ma se li leggi, invece, non è immediato il godimento fantastico?
Ci sono i buoni segnali, eppure c’è ancora una cesura, una vera e propria autocastrazione nel fantastico ‘made in Italy’… Condivido in linea di massima quanto scrive WM4, ma sulle cause c’è ancora da cogitare parecchio!
a distanza di 26 anni,questi giorni ho rivisitato uno dei miti fondativi della mia adolescenza,ghost story di Peter Straub(altrimenti noto come la casa dei fantasmi) un monstre sacré del genere di cui se non vado errando si discute,e con gli occhi rinnovati dal discernimento ho potuto apprezzarlo diversamente senza sentirmi sminuito(ho fatto cose molto peggiori.Leggere la nausea e il muro di Sartre a 15 anni per esempio)
Cara Ayame,
la tua opinione è sensata, ma mi permetto di farti notare che ci sono molti motivi per desiderare pubblicità, e che pubblicare presso un grande editore non significa automaticamente vendere molto. Tutto qui. Resto, perciò, della mia opinione.
Tornando in tema, è forse il momento di smettere di cercare “antenati illustri” che facciano entrare il fantastico in salotti letterari più o meno blasonati.
La gente (i romanzi) che cammina con le proprie gambe, in Italia, c’è, e si chiama Valerio Evangelisti, Francesco Dimitri, Giovanni De Feo, Lara Manni…
Riconoscere il “genere” è, io penso, più importante che riconoscere i “nonni” del genere.
“25 anni dopo Q, fuga di papa Paolo IV a Costantinopoli”
Emmagari l’avesse fatto! Forse oggi saremmo una società laica 🙂
Ma il lettore di fantastico medio se gli mettiamo in mano Le Città Invisibili di Calvino che fa? Apprezza o si lamenta che non ci sono i demoni e le alabardi di cui parla Ekerot?
Quanto alla smania di ottenere riconoscimenti ufficiali da parte della critica per il ‘genere’ invece che di tentare di raggiungere il pubblico con mezzi propri, il volere a tutti i costi che gli scrittori ‘mainstream’ si inchinino al genere e ammettono che i disprezzati autori di genere avevano ragione fin dal principio per quanto male scrivessero, di che si tratta se non di quel ‘risentimento’ sul quale non si può costruire nulla di buono, di sicuro non un romanzo?
Diciamolo, se il fantastico italiano vendesse quanto quello tradotto ci sarebbero tutte queste lamentazioni? Un romanzo di Avoledo diventerebbe migliore se gli potesse appiccicare sopra un’etichetta di ‘genere’? Le etichette sono fondamentali: metti mai che uno per sbaglio leggesse qualcosa del genere ‘sbagliato’, che ‘non gli piace’! Un pericolo da evitare ad ogni costo!
Quanto all’egemonia del realismo nel secolo scorso, beh, si tratta appunto del secolo scorso: combatterla oggi richiede altrettanto coraggio che il combattere contro il comunismo oggi e rivendicare l’importanza del fantastico oggi altrettanta eloquenza che versare acqua in mare (fate un giro per cinema e negozi di fumetti e videogiochi e poi venitemi a dire quanto sia marginale il fantastico oggi…)…
Signor Sascha, mi permette di sentirmi offesa? Cosa pensa, che chi legge o scrive di demoni e alabarde non legga altro? Veramente, il suo commento dimostra una mancanza di conoscenza del fantastico oggi da lasciarmi senza parole.
Ps. Quanto alla smania: guardi che qui non smania proprio nessuno. Molto semplicemente, si sarebbe contenti se la critica non utilizzasse in via esclusiva le categorie di cui parlava molto giustamente Wu Ming 4.
Al di là della (triste) vicenda FM vs D’Andrea, che, è evidente, non è l’oggetto del post, mi interessa la discussione generale (e come non potrebbe?) sul fantastico.
In particolar modo mi ha colpita l’osservazione di Paolo S., nello specifico, e cito “Il fantastico non è usato in quanto genere espressivo amato o necessario per l’autore, ma come espediente per l’introspezione che ancora domina le pagine dei nostri romanzi”.
Innanzitutto, perché mi ritrovo nella definizione di quelli che usano il fantastico come pretesto, e poi perché fin qui avevo ritenuto che invece questo fosse un valore aggiunto del genere. Voglio dire, nella mia visione delle cose il fantastico, ma anche il genere in toto, è uno dei mezzi tramite i quali esprimere determinati concetti, un modo di raccontare storie. Dipende dalla sensibilità dell’autore scegliere il fantastico, il giallo, il noir, o il mainstream. E d’altronde, la capacità di trattare gli stessi argomenti del più blasonato mainstream con uguale (se non maggiore, come sostiene da sempre G.L.) efficacia l’ho sempre trovata una cosa positiva. Quindi, forse sono io che non ho capito bene cosa Paolo S. intendesse dire.
Per il resto, non posso che concordare con Tolkien e Wu Ming 4 che lo cita. E aggiungere che manca un po’ lo “spirito di corpo”: gli autori del fantastico si parlano poco, manca quella circolazione di idee che secondo me aiuta il genere a crescere.
@Sasha: non vorrei essere stato frainteso. Io non stavo facendo un discorso letterario. Il fantastico è stato reso commericiale e sdoganato, certo, ma in che modo è tutto da valutare. In Italia (si stava parlando delle patrie lettere) il fantastico è ancora considerato un genere per ragazzini poco cresciuti. In molti casi, per altro, lo è: la produzione fantasy è zeppa di romanzi fotocopia o tirati via. Tuttavia, come in ogni genere narrativo, c’è anche roba buona, che però stenta a essere presa sul serio. Ho provato a ipotizzare che questo sia dovuto a un rapporto perverso con la letteratura fiabesca, surrettiziamente fatta coincidere con la letteratura per l’infanzia (o la prima adolescenza, o la tarda adolescenza, o il crossover, o gli young adults, e via costruendo nicchie di pubblico sempre più settorializzate). Insomma tutto fuorché letteratura e basta. Ho citato Tolkien perché si poneva questo problema in tempi non sospetti, cioè intercettava un tendenza in atto nella prima metà del Novecento, che però mi sembra sia giunta fino a noi. Il passo che ritengo più interessante è cioè questo: “considerare i bambini quali esseri di specie a sé stante, quasi una razza diversa, anziché quali membri normali, ancorché immaturi, di una famiglia particolare e della famiglia umana in generale”. La società occidentale contemporanea ha un problema con l’infanzia? Io credo di sì, e anche se certo non ho i titoli né le consocenze per sviscerare la questione approfonditamente, credo che questo problema si rifletta anche in ambito narrativo. Tutto qui.
Sascha, la centralità del fantastico oggi è innegabile, in quasi tutte le forme di espressione, però sempre fantastico d’altrove è. Per dire, la letteratura è proprio il settore che se la cava meglio, visto che un manipolo di autori di genere c’è (i già citati Dimitri, Evangelisti, D’Andrea, Manni, Palazzolo, e altri), ma negli altri campi? Nel fumetto il fantastico è quasi monopolio dei manga, se si eccettua la versione grafica delle Cronache del mondo emerso (che ricordiamo com’è andata a finire…) i fumettisti nostrani sono neorealisti come non mai, concentrati come sono sui fatti di cronaca nera e politica. Nei videogiochi, l’unica software house italiana di una certa rilevanza (Milestone) è specializzata in giochi sportivi. Nel cinema, stendiamo un velo pietoso.
Insomma, il punto è che in ogni campo il fantastico in Italia è ancora poco supportato, nonostante il successo di quello straniero. Non che in sé sia un problema: nessun appassionato di genere morirà se non potrà fruire di prodotti italiani. Però il fantastico, per la sua natura (cfr. la profondità nel saggio di WM4 “Tolkien e i cohabiters) è il genere che più si presta alla cultura partecipativa e all’interazione tra autori e fan, tra alto e basso. Snobbare questa tendenza non vuol dire tanto fare un torto agli autori e ai lettori, ma perdere un treno. L’ennesimo.
Mah…. dire che con il fantastico italiano stiamo conciati male mi sembra pero’ eccessivo. A che fantastico ci si riferisce? Lasciamo i Calvino e i Buzzati, scendiamo (per così dire) a piano terra, cioè agli autori di genere, che però sanno raggiungere risultati eccellenti, e hanno anche avuto edizioni non in collane specializzate e traduzioni all’estero. Ci sono Evangelisti, Altieri, Masali, Vallorani, e vari altri che non sto a elencare, alcuni dei quali hanno scritto e continuano a scrivere opere notevoli.
Nella “quaestio” D’Andrea preferisco non entrare. Vedo che in Italia la storia (con la “s” minuscola) si ripete da più di 50 anni. Continuiamo ad essere quattro gatti e continuiamo a scannarci:-)
Saluti,
Vikkor
“Nel fumetto il fantastico è quasi monopolio dei manga, se si eccettua la versione grafica delle Cronache del mondo emerso (che ricordiamo com’è andata a finire…) i fumettisti nostrani sono neorealisti come non mai, concentrati come sono sui fatti di cronaca nera e politica”
Ah, il neorealismo minimalista intimista e impegnato della Bonelli.
@vikkor: nessuno qui ha detto che in Italia siamo conciati male con il fantastico in termini di produzione narrativa, caso mai si è detto proprio il contrario. Ma te la sentiresti di dire che gli autori da te citati godono della stessa considerazione di altri più mainstream? Ovvero: non ti pare che la settorialità di genere si traduca troppo spesso nell’incapacità di valutare un’opera letteraria in quanto tale, a prescindere dal fatto che vi compaiano fantasmi o elfi, e finisca quindi per diventare segregazione di genere? Gli stessi editori italiani che pubblicano narrativa fantastica sanno di cosa si tratta? La leggono? O la considerano soltanto una moda letteraria economicamente vantaggiosa, in cui buttarsi alla cieca pubblicando tutto il pubblicabile? In altre parole: che tipo di discorso si produce intorno alla letteratura fantastica? E’ almeno lontanamente paragonabile a quello che si è fatto sul noir (fino alla nausea) negli ultimi anni o sul romanzo storico? Non ti pare che gira e rigira quando si parla di fantasy et similia entrino sempre in causa valutazioni generazionali, sociologismi spiccioli, analisi sulle abitudini degli adolescenti, etc. insomma tutte robe collaterali alle opere stesse?
Magari sbaglio. Forse è solo un’impressione mia.
@ buoni presagi eh, come diceva il mio prof: la Vera Letteratura sa dissimulare il proprio artificio. Penso proprio si riferisse a Nathan Never 🙂
@ Licia, ti faccio una domanda che per me fa da spartiacque: tu ami il fantastico, le sue possibilità, i suoi autori? Tu un grande classico lo analizzi dal punto di vista del Potenziale Fantastico (Le metamorfosi di Ovidio=10, I promessi sposi=1)
Se la risposta è sì (Test: Chi butteresti dalla torre, Proust o Lovecraft? o Che libro ti porti sull’isola deserta?) e ciò che scrivi è coerente con ciò che ami, per come la vedo io non usi il fantastico come espediente. Scrivi cose fantastiche perché è lì che sta la tua immaginazione, e se hai cose profonde da dire vengono fuori da sole nel giardino del fantastico. E se hai una forza espressiva che buca la pagina e tocca i cuori, anche se usi il fantastico anzi proprio perché usi il fantastico, darai qualcosa di unico ai lettori ed essi lo riconosceranno come grandioso al di là del genere. Uso il futuro, perché siamo in Italia. Il fenomeno che descrivo in Gran Bretagna si verifica con regolarità almeno dal XIX secolo, qui da noi… mpf.
Se la risposta è no, non ami il fantastico e lo stai usando come espediente per dire qualcosa, come Bontempelli di sicuro, ma in un’altra epoca, o Laura Pugno forse – e parlo solo di chi ho letto – beh… devi avere veramente capacità di scrittore sovrumane per lasciare una traccia. Esempio estero: Non lasciarmi, di Ishiguro. Gran romanzo, neanche ti accorgi subito di quanto sia immerso nel fantastico – ma l’impressione è che sia ancora e comunque ‘solo’ un diario intimo + what if. E ti lascia l’impressione che, dopotutto, il ragazzo abbia fatto di meglio.
Insomma, la mia ipotesi (estrema) è: il fantastico può secernere letteratura, la letteratura non può aggrapparsi in un fantastico che non sia già al centro del suo cuore.
aggrapparsi A un fantastico, uff. E quant’altro…
@buoni presagi: hai ragione, aver dimenticato la Bonelli è imperdonabile. Però non credo che il mio ragionamento ne venga stravolto: correggimi se sbaglio, ma negli ultimi anni le novità del fumetto italiano che hanno ottenuto più spazio mediatico sono le opere tipo quelle edite da BeccoGiallo (sia chiaro, non sto dicendo che questi siano fumetti sbagliati o inutili, per carità!).
Non posso che concordare sull’affermazione di Wu Ming 4.
E’ innegabile che molti editori si siano lanciati sulla fantasy (o fantastico) come onda commerciale, ignorando spesso i contenuti. Questo il motivo spesso di una scarsa qualità.